di Gemma Russo
C’è poco da fare, le migliori chiacchierate si fanno mangiando insieme. E io e il signor Procolo Di Costanzo ce ne facciamo una veramente particolare. Siamo commensali ad una tavola immaginaria, dove le portate sono rigorosamente a base di pesce.
Non poteva essere altrimenti, visto che Procolo Di Costanzo, classe 1930, puteolano di nascita, è stato pescatore.
Pozzuoli è la più grande delle cittadine flegree. Da sempre, il proprio mercato del pesce è conosciuto e rinomato, specie nel periodo natalizio, da quanti vogliano acquistare pesce fresco, all’ingrosso o al dettaglio.
Ѐ questa una tradizione conservata nel tempo, ma che con il passare dello stesso ha perduto parte della bellezza e della fragranza originaria.
Tante le cause, tra cui l’intensificarsi del fenomeno del bradisisma, che, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio dell’80, ha spopolato la cittadina, facendole perdere le proprie radici, profondamente legate al mare.
Negli anni ’90, i tempi erano cambiati. Il mare non era più così redditizio, soprattutto se commisurato all’immane lavoro da fare. Di mezzo si erano messe leggi che recepivano regolamenti europei, incentivanti alla resa.
Ѐ la cultura della fabbrica a caratterizzare quel periodo. Con essa, sono cresciute le generazioni nate in quegli anni.
Ma, l’identità puteolana resta legata al proprio mare.
A custodirla, sono alcune storiche famiglie di pescatori, tra cui i Di Costanzo. Per generazioni, hanno vissuto in quel porticciolo chiamato Darsena o anche “O’ Valione”, ai piedi del Rione Terra, rocca tufacea su cui fu costituita, nel 194 a.C., la colonia romana di Puteoli, “porto di Roma” nell’età augustea.
In quel porticciolo seicentesco, si “pescava e mangiava pesce”, racconta, “o poco o assai, il pesce c’era sempre. A me, sono sempre piaciute le seppie m’buttunate con mollica di pane, uova e salame. Mia moglie Vincenza le fa cuocere in un sugo abbondante, che si insaporisce con la seppia e viene una cosa speciale. Quando facevo il pescatore, le seppie non mancavano mai. Buona pure la pasta, condita con quel sugo! Viene una cosa sciuarella sciuarella”.
L’espressione “sciarella sciuarella”, pronunciata in dialetto puteolano, rende bene la delizia del piatto.
Ma, chiedo a Procolo di una ricetta in particolare, quella de “O’Carere”, antesignano povero dell’odierna zuppa di pesce.
“Quando eravamo in mare”, spiega, “specialmente in estate, restavamo a mangiare sulla barca. Avevamo a poppa un cucinino di fortuna. Uno scorfano, una triglia, un manfrone, uno sbaraglione, mormora, polpo e seppia. Tutto si metteva a cuocere con aglio, prezzemolo, acqua di mare. Se c’erano, mettevamo qualche pomodoro e pane duro”.
Ad essere cucinati, erano i pesci intrappolati nelle maglie delle reti, detti “sugati” perché i predatori divoravano a questi le interiora e ne mangiucchiavano, in generale, il corpo.
Non avevano mercato, per cui venivano cucinati a bordo durante le dure giornate di lavoro.
Il nome del piatto, “O’Carere”, probabilmente proviene dal modo in cui era chiamata la pentola d’alluminio con manici scuri, utilizzata per la cottura a bordo.
Riproduciamo il piatto nella cucina di Nicola Buono de La Fattoria del Campiglione, da sempre impegnato nel recupero e nella valorizzazione di piatti della tradizione puteolana e flegrea.
In una pentola capiente, s’appresta a fare sobbollire l’acqua di mare, nella quale pone il pesce. Qualche pomodorino per dare del colore. Pochi minuti e il pesce è cotto. Pone tutto nel piatto da portata.
Di cosa sa? Di mare, quello stesso che Procolo Di Costanzo, con i figli Nicola, Enzo e Nunzio varcava a bordo di Andromeda, gozzo puteolano di 11 metri.
Quel mare che “fa stare bene”, fa determinato, “è bello. Per me lo è stato. Mi ha permesso di portare avanti una famiglia numerosa. Nel sonno, pesco ancora. Bisogna essere svegli quando si va per mare”.
Foto di Marina Sgamato
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