di Tommaso Esposito
Zia Margherita mi chiedeva sempre: T’e magne ‘e mennìccule?
E io deluso, ché andavo da lei per le pizzelle e i panzarotti, quasi piangevo non sapendo cosa fossero.
Le lenticchie sono!
Già, nemmìccola, Vicia Lens lenticchia dettaglia Federico Gusumpaur nel suo Vocabolario Botanico dal napoletano.
Soltanto per vezzo eufonico Zia Margherita declinava mennìccule.
Nel lo Cunto de li Cunti infatti c’è scritto:
E tornanno la sera chillo medesemo giovane, la regina, che steva sopra lo fierro e no sceglieva nemmiccole, recanoscette ch’era lo figlio e l’abbracciaie strettamente.
E ancora:
Cercanno co le sproccole l’accasione de scrofoniaresella, no iuorno pigliaie dudece sacche de legumme confose e mescolate ’nsiemme, ch’erano cicere chiechierchie pesielle nemmiccole fasule fave rise e lopine.
Legumi, dunque, che verdi non son buone ricorda don Vincenzo Corrado cuoco nel settecento, ma secche si.
Le preparava come i fagioli in ogni modo.
Io vi do questa ricetta.
Ah, per essere precisi, ‘e menniccule di zia Margherita erano le lenticchie più grandi, non quelle piccole piccole di Castelluccio.
Altamura era più vicina.
Ingredienti per 4 persone
Lenticchie gr 450
Olio extravergine di oliva cl 80
Aglio spicchi 2
Pomodorini del piennolo o di collina 6
Prezzemolo abbondante
Sale e pepe qb
Pane cafone quanto piace
Procedimento
Lasciare in ammollo qualche ora le lenticchie.
Riporre in una pentola alta con acqua fresca.
Lessare per un oretta. Saranno quasi cotte.
Aggiungere l’olio, l’aglio, i pomodori, un po’ di prezzemolo e sale.
Completare la cottura togliendo l’aglio.
Aggiustare di sale.
Un po’ brodosa dovrà risultare per servire in scodella con il pane, ancora prezzemolo, un filo d’olio e una macinatina di pepe.