di Pasquale Carlo
Le foglie di vite che cadono a terra, ai piedi di un contadino novantenne, e queste sue parole: “è cambiato tutto, sono cambiate le persone, ognuno ha preso un’altra strada” sono una delle scene più suggestive e forse le frasi più toccanti di un documentario veramente ben fatto.
Le scene sono girate a Boscotrecase, ai piedi del Vesuvio, e a pronunciare quelle parole è Carmine Ametrano, uno dei pochi contadini che in questa zona ancora produce vino secondo i canoni di una tradizione antica, che affonda le sue radici nell’antica civiltà pompeiana. Non mancano richiami alla grande tradizione artigianale del centro vesuviano: la lavorazione e produzione di botti di legno.
Sedici minuti ricchi di storia, gesti, fatica, quotidianità, semplicità. Sedici minuti intensi, raccontati con sensibilità da un’artista multimediale e filmaker che vive a New York. Il suo nome è Noriko Sugiura ed è di origini giapponesi. Attraverso i suoi lavori sensibilizza il pubblico sulla condizione umana, la natura, l’ambiente e la storia di persone che vivono nell’ombra.
Ed è all’ombra del Vesuvio che ha deciso di girare le scene di quello che poi è diventato il docu-film “Zio Ninuccio”, raccontando la storia di Carmine seguendolo nella quotidianità del suo duro lavoro, che ha iniziato quando era un ragazzino e che si ostina a portare avanti dopo più di settant’anni. Una vita intera vissuta alimentando un viscerale legame con la terra; lo stesso legame che questo lavoro cerca di esplorare. La storia di Carmine non è soltanto la storia di un uomo, ma soprattutto il racconto di una tradizione che sta scomparendo e, allo stesso tempo, è una storia che vuole far riflettere sul futuro (?) di questa terra. Le sue parole sono pura malinconia quando affiorano i ricordi dei suoi avi, che realizzavano botti di legno e hanno sempre lavorato la terra, e sono piene di dignità quando afferma che, senza le persone, le macchine non servono a nulla, se non ad alleviare il peso dei lavori.
Boscotrecase un tempo era il paese del vino e dell’artigianato. Di tutte le fabbriche di botti ne è rimasta una, ed i vecchi contadini muoiono lasciando terreni ormai abbandonati da nipoti che rincorrono il miraggio una vita “migliore”. Una tradizione millenaria che rischia di finire, ripresa con merito da aziende a gestione familiare come i Sorrentino o i Russo.
Ma il merito va anche a “Zio Ninuccio”, che ha già raccolto grandi consensi oltreoceano, grazie anche alla superba fotografia ed alla scelta delle musiche. Il cortometraggio è stato presentato lo scorso 30 maggio al Directors Guild of America, vincendo tre premi: ‘Best Documentary’, ‘Excellence in Editing’ ed infine ‘Outstanding Documentary’. Inoltre, a settembre, parteciperà al Wine Country Film Festival di Kenwood, in California, ed al concorso di cortometraggi “La Grande Abbuffata”, a Napoli.
Probabilmente, mai nella sua lunga vita di duro lavoro Carmine aveva pensato di diventare ‘famoso’, ma il suo volto segnato dalle rughe del tempo e la sua amata terra sono riusciti ad entrare nel cuore di quanti hanno assistito alla proiezione dell’opera di Noriko Sugiura, realizzata per la Macilardi Media.
La regista è laureata in ‘Communication and Culture’, ha conseguito un master in ‘Media Arts Production’ presso la City University di New York e lavora fianco a fianco con NGO ed organizzazioni no profit in giro per il mondo.
Trovate la scheda tecnica del documentario, il trailer e tutte le info a questo link: http://zioninuccio.com
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