di Gennaro Miele
I grandi viaggi non sempre hanno destinazione in affollate metropoli ma bensì permettono di trovare luoghi che come una chiave aprono dentro di sè porte dietro le quali si trovano nuove esperienze umane e ricordi lontani.
Il mese di settembre vede lo chef giapponese Yoshimi Hidaka impegnato in uno dei suoi annuali tour italiani, alla ricerca di sapori che gli diano rinnovata ispirazione da infondere nella cucina italiana di cui è promotore da decenni nella sua terra e nei suoi due ristoranti, tra i quali il celebre Acqua Pazza di Tokyo.
È questo il continuum di un viaggio iniziato negli anni ottanta, quando da stagista ha varcato i templi come l’Enoteca Pinchiorri (Firenze), il Don Alfonso 1890 (Sant’Agata dei Due Golfi) ed altri in cui è iniziata la sua scoperta dei profumi mediterranei.
Uno dei ricordi maggiormente carichi di commozione è rivolto al suo mentore, il cui nome tutt’oggi rappresenta la parola ‘’cucina italiana’’, il Maestro Gualtiero Marchesi.
Il crocevia in cui il racconto dello Chef si è snodato è Sant’Agata dei Goti, nelle storiche Cantine Mustilli, dove la padrona di casa Paola ha accolto lui ed il suo entourage alla ricerca della suggestione dei piccoli borghi.
Il racconto dello Chef si apre mentre sui tetti bassi dell’antica città si stende una leggera pioggia autunnale, il rumore sommesso la fa somigliare al lento scorrere d’acqua dei giardini orientali, dove la meditazione regna allo stesso modo in cui la pace domina le preparazioni gastronomiche più armoniose.
Il suo percorso, spiega assaporando la selezione di vini autoctoni, Falanghina, Piedirosso ed Aglianico, è stato pioneristico per l’epoca.
Oggi un giovane chef ha a disposizione strumenti come i corsi d’alta cucina presso la scuola Alma, ma a quei tempi l’unica palestra disponibile era la cucina, dove tutto accade e viene compiuta la magia della creazione dei piatti, in quei tempi l’apprendimento era dietri i fornelli, nella silenziosa osservazione del Maestro.
Negli anni ottanta, si precisa, in Giappone la cucina italiana era una sorta di mistero diversamente da quella francese largamente diffusa ed apprezzata.
Lui è da ritenersi, per tale motivo, un ambasciatore nella nostra cultura ed il suo lavoro è oggi profuso nella ricerca di prodotti nuovi ed originali come pomodorino del piennolo, colatura di alici e piccoli caseifici.
L’interesse crescente per la cucina italiana ha portato gli operatori del settore ad impiantare coltivazioni di prodotti di origine italiana, scelta non sempre supportata dalle differenti condizioni climatiche e territoriali.
Un prodotto d’eccellente qualità non è solo frutto di uno studio scientifico atto alla sua replicazione, le variabili ambientali ed umane ne determinano le sfumature cromatiche e gustative, inimitabili altrove.
È questa unicità che ‘’costringe’’ Chef Hidaka a ritornare sulla scia della curiosità professionale e della nostalgia personale.
La cucina italiana è stata per lui una scelta, una sfida vinta nel Giappone delle tradizioni che lo ha portato ad essere membro dell’ACCI, Associazione Cuochi Cultura Italiana, nella divulgazione della cultura culinaria del Belpaese.
Il suo racconto scorre in modo semplice, spontaneo ed elegante al pari dei vini che empiono i calici, note di colore che riflettono il volto serafico dello Chef nel cortile dove le pietre levigate dal tempo accolgono i suoi passi.
Sono lontani, ormai, i giorni della gioventù italiana, lontani come lo è la superfice della strada al di sotto della quale lui si inoltra per ammirare l’indefinibile fascino delle cantine Mustilli scavate nella roccia, in quella silenziosa penombra che confina e si confonde con il calare della sera.
Il commiato dello Chef è di elegante compostezza orientale, un rispettoso e silenzioso inchino prima di scendere quei gradini in pietra nel ventre della terra che accoglie la storia del vino del Sannio, storia che ora fa parte del suo diario di ricordi.
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