di Raffaele Mosca
La rinascita del rosato parte dal vigneto: questo è quanto emerso nel corso del webinar organizzato dalle Donne della Vite con Lallemand Italia. L’ Italia, che è dietro a Francia, Stati Uniti e Spagna in termini di volumi produttivi, deve ancora trovare la via maestra per sdoganare questa tipologia dagli stereotipi che l’attanagliano. Le personalità di spicco nel mondo dell’enologia italiana intervenute alla conferenza – Mattia Vezzola e Luigi Moio su tutte – si sono trovate d’accordo sul fatto che il malcostume del rosato come vino di ripiego, prodotto alla bell’e meglio, vada combattuto partendo da una gestione più oculata e sostenibile della vigne e delle uve.
Luigi Tarricone, direttore del CREA di Turi (BA), ha fatto il punto sull’effetto che il riscaldamento globale sta avendo sulla viticoltura nel sud Italia in generale e, in particolare, sulla produzione di vini rosati. “ I problemi che registriamo sono la diminuzione del gap tra temperature diurne e notturne, che porta a una difficoltà nella fissazioni degli antociani e dei precursori aromatici, e un anticipo della fase di maturazione che causa spesso uno squilibrio tra maturazione fenolica e maturazione tecnologica”. In questo contesto, lavorare in maniera oculata e sostenibile in vigna è assolutamente indispensabile. Per quanto riguarda i nuovi impianti, bisogna valutare sistemi diversi dal filare – per esempio la pergola o l’alberello – che possano diminuire il rischio di scottature delle uve, e scegliere portainnesti più resistenti alla siccità. Nelle vigne già esistenti, invece, bisogna puntare al miglioramento dell’attività micro-biologica del suolo attraverso pratiche come l’ inerbimento e il sovescio e gestire in modo adeguato l’irrigazione per evitare lo stress idrico. Possono tornare utili, per evitare danni o scompensi, sostanze naturali come la caolina, minerale che protegge l’apparato fogliare dalle scottature, e i lieviti inattivi, che favoriscono la fissazione dei precursori aromatici.
D’importanza della gestione del vigneto parla anche il professor Luigi Moio: “ Il grande rosato si fa progettando l’uva, con il giusto vitigno e il giusto luogo. L’ armonia tra suolo, pianta e uomo è fondamentale”. Quanto all’impatto del cambiamento climatico asserisce: “ bisogna fare attenzione alla crescita del PH, perché i rosati non hanno elementi che li schermino naturalmente dall’ossidazione. E’ un problema ancor più grave del crollo dell’acidità”. Su questi aspetti il professore lavora da anni con la sua equipe e ha scoperto, tra le altre cose, che non c’è acidificazione che tenga: la perdita dell’acidità naturale causa anche la perdita irreversibile di precursori aromatici e di malvidina, che nel caso dei rosati è necessaria per avere il giusto colore. Dunque bisogna lavorare in vigna e, in questo processo, è essenziale anche limitare l’utilizzo del rame. “ Il rame può causare l’ossidazione dei precursori aromatici – spiega Moio – e in un grande rosato non possono esserci tracce ossidative.”
L’appello più accorato è quello di Mattia Vezzola, rinomato enologo e titolare di Costaripa nella Valtènesi, enclave vinicola sulle sponde del Garda dove tutte le produzioni più importanti sono in rosa. “ Il problema è sì il cambiamento climatico, ma anche la vocazionalità” afferma Vezzola. Troppo spesso il rosato viene prodotto in zone non adatte o, ancor peggio, da uve di scarsa qualità che non possono essere utilizzate per gli altri vini. “ I rosati devono essere viticoltura, non colore e, come tutti gli altri vini, devono esprimere il loro territorio di provenienza. Non è mortificante trovare rosati che durano quattro mesi?”. Il punto di partenza, a suo dire, è proprio la materia prima: un grande vino rosa deve nascere da grappoli colti nel momento giusto, che non siano acerbi, perché altrimenti si rischiano aromi erbacei e note amare in bocca, ma nemmeno sovramaturi. “ C’è bisogno di una viticoltura dedicata come in Provenza – spiega – In questo modo si produce un vino che per me è l’essenza dell’anti-formalismo: incisivo, ma facile da bere e da abbinare con qualunque tipo di cibo”.