di Antonio Di Spirito
L’emergenza Covid-19, in assenza di un vaccino, ci ha lasciato, come unica “cura” efficace per bloccare la diffusione della pandemia, il distanziamento fisico fra le persone, rinchiudendoci in casa.
Tutto ciò, nel mondo del vino, ha avuto un grosso impatto: sono stati cancellati tutti gli eventi, fiere, anteprima e degustazioni, che normalmente si svolgono ad inizio anno, proprio quando si presentano le nuove annate.
Per fortuna ci è venuta incontro la tecnologia con applicazioni come zoom, skype, ecc., per ritrovarsi a degustare vini.
Nei giorni scorsi la Delegazione del Lazio dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino, nella persona di Manuela Zennaro, con il supporto di Maria Grazia D’Agata dell’Agenzia Giornalistica MGLogos, ha organizzato un Webinar per la degustazione di quattro vini (due bianchi e due rossi), di cui un bianco dei Castelli Romani e tre vini della Ciociaria, alla presenza delle produttrici e con la partecipazione di alcuni giornalisti molto esperti dei territori di provenienza dei vini proposti. La degustazione è stata condotta abilmente dalla preparatissima sommelier Claudia Massa.
I vini del Lazio, commercialmente, scontano ancora il luogo comune di “vinelli”, di vini dalla discutibile qualità a vantaggio della quantità. Già da qualche anno si è invertita la tendenza, ma a livello nazionale, sembra che se ne siano accorti in pochi.
Il primo vino presentato è un bianco di Monteporzio Catone:
Poggio Le Volpi – Epos Riserva 2017 Frascati Superiore DOCG (Euro 13)
Rossella Macchia, presente alla degustazione in rappresentanza dell’azienda, ha parlato di questo vino, il cui nome – Epos vuol dire Racconto – è legato, naturalmente alla favola di Esopo “La volpe e l’uva”, visto il nome dell’azienda guidata da Felice Mergè dal 1996, che ha intrapreso un percorso virtuoso verso la qualità, adottando il motto “Ripetersi in modo costante”.
Questo vino fermenta in tini di rovere a temperatura controllata; poi resta sui lieviti in legno ed acciaio per oltre sei mesi; affina in bottiglia per altri sei mesi.
Il colore è paglierino intenso; al naso si presenta ricco di profumi, che vanno dai fiori bianchi alle erbe officinali, alla salvia, poi note affumicate, frutti tropicali e su tutto aleggia un profumo di mandorla; il sorso è agrumato, sapido e minerale; si sente molto il territorio di origine vulcanica; è molto fresco, scorrevole e persistente.
Si passa in alta Ciociaria, a Serrone in contrada La Forma, per un vino bianco prodotto con passerina del frusinate dall’azienda Giovanni Terenzi. La figlia Pina ci parla dell’azienda e di questo vino.
L’azienda nasce negli anni ’50 del 1900 e negli anni ’70 investe in tecnologia proprio per crescere in qualità ed innovazione.
La passerina è un vitigno tradizionalmente coltivato da sempre in Ciociaria, anche se non in maniera esclusiva, ma in comproprietà con il vicino Abruzzo e nelle Marche. A differenza delle altre due regioni, però, non ha ancora trovato una connotazione di rilievo nel contesto nazionale. Con questo vino, però, mi sembra di aver trovato la strada giusta.
Terenzi – Zerli 2018 Passerina del Frusinate IGP (Euro 12)
Dopo un’attenta selezione dei migliori grappoli provenienti da un vigneto impiantato oltre 60 anni fa ed una pressatura soffice, il mosto fermenta in legno e matura per 6-8 mesi in barrique e completa il ciclo maturazione con 6 mesi in bottiglia.
I profumi non sono intensi, ma ben definiti e compongono un ampio spettro olfattivo; fiori bianchi, note di pesca ed agrumate di mandarino, erbe aromatiche e leggere note di vaniglia; l’acidità è notevole, il sorso è agrumato, asciutto, sapido ed una leggera speziatura sulla lingua; fresco e scorrevole. Un pizzico di consistenza in più lo porterebbe a livelli qualitativi molto alti.
I vini rossi assaggiati erano a base cesanese, anche se a diversa percentuale.
Il cesanese è un vitigno molto antico; fu introdotto nei territori compresi fra la valle dell’Aniene, la parte orientale della provincia di Roma, e la zona a nord di Frosinone; quei territori erano abitati dalle popolazioni italiche degli Equi e degli Ernici fin dall’anno 1000 a.C. e divennero, poi, colonia romana nel 133 a.C.
Il termine “Cesanese” deriva dal fatto che per impiantare quelle viti, occorreva disboscare intere colline; il vino, quindi, era prodotto nelle “caesae”, “luoghi degli alberi tagliati”.
Tale operazione fu eseguita soprattutto dai veterani ai quali i Romani, dopo aver assoggettato quei popoli, assegnarono quei terreni
I Cesanesi, fondamentalmente, sono due ed il primo a descriverli separatamente, quali due sottovarietà, fu Flavio Mengarini nel 1888: quello ad acino grosso o «Comune» o «Velletrano», e quello ad acino piccolo «d’Affile».
Il 29/05/1973 il Cesanese del Piglio ha ricevuto il riconoscimento D.O.C.
Il vitigno ha sempre dato problemi di tenuta nel tempo e spesso perdeva colore.
Finalmente, in tempi più recenti, si arrivò a fare una selezione massale dei migliori cloni, ad effettuare degli studi specifici sulle caratteristiche del vitigno e quali fossero i metodi di vinificazione più idonei. Furono individuati i migliori 7 cloni, su oltre 50, i più adatti ai terreni della D.O.C.
Furono adottate tecniche agronomiche più drastiche, soprattutto nei diradamenti e nella ricerca della maturazione “tecnica” assolutamente sicura per i ruvidi tannini. In cantina la bassa temperatura di fermentazione, mantenuta tra i 15 e i 18 gradi centigradi, permette processi fermentativi lenti (spesso si va oltre i trenta giorni) che, uniti a continui rimontaggi, delestages e scuotimento delle masse in macerazione, aiuta ad estrarre gli antociani da una buccia molto dura. Anche con i lieviti è stata effettuata una scelta territoriale: sono stati prelevati in uno dei vigneti più vecchi e tipici della zona, selezionati e moltiplicati in colture di laboratorio ed utilizzati da quasi tutti i produttori.
Nel maggio 2008 il Cesanese del Piglio ottiene la D.O.C.G.
Colacicchi – Romagnano 2014 Lazio IGT (Euro 38)
Carla Trimani ci ha raccontato che l’azienda è stata fondata dal maestro di musica Luigi Colacicchi negli anni ’40, quando iniziò ad impiantare barbatelle bordolesi per “rinforzare” il cesanese.
Negli anni ’90 l’azienda è stata rilevata dalla famiglia Trimani e si estende per circa 6 ettari di vigneti. Questo vino è un blend composto al 50% da cesanese ed il restante da vitigni bordolesi: cabernet sauvignon, merlot ed una piccola percentuale di petit verdot; matura un anno in botte grande ed affina lungamente in bottiglia.
Rubino cupo impenetrabile; profumi di viole e rose appassite, frutti di bosco, marasca, pepe nero ed una leggerissima nota affumicata; potente e fruttato al palato, è freschissimo, scorrevole ed ha buoni tannini. L’annata è stata fra le peggiori di questo scorcio di secolo, la materia non è proprio tanta, visti i vitigni utilizzati, e si evince da una leggera nota calda nel cavo orale; pur tuttavia ha una forte personalità. Sarebbe interessante provare un’annata migliore!
Casale della Ioria – Torre del Piano Riserva 2017 Cesanese del Piglio DOCG Superiore (Euro 22)
Marina Pinzari ha presentato la propria azienda, nonché l’ultimo vino in degustazione. Le uve, cesanese di Affile, provengono da un vigneto di 4,2 ettari impiantato nel 1986 e che ricade nel comune di Acuto. Dopo la fermentazione malolattica, che avviene in acciaio, il vino matura lungamente in barrique ed affina, poi, in bottiglia.
Il colore è rubino cupo, appena sfumato sull’unghia. E’ un vino che assomma, sia al naso che al palato, caratteristiche del vino giovane e del vino strutturato e materico. Profuma di viola, fiori appassiti, rosa fresca, frutta rossa croccante e carrube, leggere note mentolate e cioccolatose; il sorso è succoso, saporito, fresco, appena un po’ caldo in gola, ma i 15 ° di alcool sono ben nascosti nella imponente materia; è scorrevole ed agile e la speziatura finale chiude in armonia.
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