di Antonio Prinzo
Aglianico, che bella parola, che grande vino e poi quando aggiungi del Vulture, che eleganza e che mineralità. Gira e rigira siamo sempre qui, in questo nostro Sud che ci fa soffrire, ci fa incazzare, ma non ne possiamo fare a meno, perché il cuore e il sangue stanno li e da li non si muovono. Ogni mattina apro queste pagine e trovo notizie e articoli che mi fanno sperare che non è tutto perso, ma che in tanti si lavora e si lotta per affermare i valori di questa terra, nonostante le mille difficoltà, nonostante la politica, nonostante uomini che meriterebbero di essere chiusi in una barrique di quinto passaggio e abbandonati in mare, al largo, molto al largo.
Non ero mai stato nel Vulture, il profilo del vulcano lo vedi da lontano una bella natura ti avvolge quando passi dai laghi di Monticchio con l’Abbazia di S.Michele sospesa nel verde e poi cerchi le vigne e finalmente le trovi su queste colline dolci dove il giallo del grano si mischia al verde delle viti. In tutta l’area della Doc non si arriva al milione di ettolitri di produzione, pochi i grandi che producono al massimo 300.000 bottiglie, tante le piccole case che producono qualche decina di migliaia di bottiglie. Paternoster, Cantine del Notaio, Martino, D’Angelo, Cantine di Venosa e poi Fucci, Macarico, Eleano, solo per dirne qualcuno, solo per parlare di quelle che conosco e ho provato, qualità buona e anche eccellente. Di una in particolare vorrò parlare dopo che avrò riassaggiato qualche bottiglia che ho in cantina.
Adesso al ritorno di questo viaggio in Basilicata mi piace tornare sul territorio e su come è organizzato, perché questi due giorni passati nel Vulture m hanno dato la sensazione di qualcosa di incompiuto, dal caos urbanistico di Barile e Rionero alla scarsa accoglienza nelle cantine. E’ facile, molto facile quando si presenta il grande giornalista e degustatore farsi aprire le porte, ma è più importante trovarle aperte quando si presentano l’appassionato o il turista, molto più importante perché il turismo del vino è una delle chiavi per lo sviluppo del nostro paese.
Chi mi conosce sa quanto amo ad esempio i vini del Notaio, ma non è possibile arrivare alla nuova cantina riconoscendola perché vista in qualche foto e capire che sei li perché con una potente lente d’ingrandimento puoi leggere il nome sul citofono, citofono che non ho premuto perché due giorni prima al telefono mi è stato spiegato che dovevo prenotami con ben più largo anticipo. Le strade del vino queste sconosciute si potrebbe dire, non so ho avuto la sensazione che in questa area (come in tante altre di questo paese) non si faccia sistema, peccato veramente peccato. Non ci vuole poi molto, qualche licenza edilizia in meno, qualche demolizione in più, un po’ di cartelli e le cantine aperte perché il futuro lo si costruisce così, con generosità e qualche brindisi in più con noi poveri consumatori e appassionati.
Rompicapo
Il nodo, caro Antonio, è molto semplice: la maggior parte dei produttori meridionali passa ancora molto tempo a pensare alle bottiglie che il vicino riesce a vendere piuttosto che a quelle che non vende perchè pensa a quelle che vende il vicino.
Quando si vive fuori, come nel tuo caso, tutto ciò è ancora più evidente.
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