di Alessandro Manna
Certo sarà complicato per un campano ricordare del suo primo morso di pizza: per noi è praticamente un cibo dello svezzamento, appena si può (e spesso anche prima) uno zio indulgente, una nonna affettuosa, un genitore stremato, spezza uno spicchietto e lo passa allo svezzato. Però ognuno di noi ha memoria di certe pizze mangiate, in alcuni casi per la bontà del disco di pasta farcita, in molti altri casi per una serie di rimembranze di situazione che in quel boccone hanno trovato un fissaggio assoluto per la memoria. Cibo endemico, dunque, e cibo jolly, pasto diffusissimo e talvolta inconsapevole: sono proprio queste le caratteristiche che rendono la fatica di Monica Piscitelli “Guida alle migliori pizzerie Napoli e Campania” un vademecum prezioso.
La guida è stata presentata giovedì scorso a Caiazzo, nell’Aula Consiliare, alla presenza del Sindaco (e Consigliere Provinciale) Stefano Giaquinto, dell’Assessore alle Attività Economiche e Produttive Antonio Di Sorbo, dell’autrice, di Luciano Pignataro (che della guida ha scritto la prefazione) e della giornalista e produttrice di vino Manuela Piancastelli, su impulso dei fratelli Pepe, terza generazione della storica pizzeria caiatina, insignita dalla guida dei riconoscimenti “Top 5 margherita” e “Pala d’oro”.
Gli amministratori hanno ovviamente incentrato i loro interventi sull’orgoglio (genuinamente) campanilistico e sulla valenza che cibo e produzioni di qualità hanno come ambasciatori di marketing territoriale.
Ed effettivamente prestigioso è che nella carta di una delle pizzerie più importanti di Los Angeles (e Franco Pepe ha preannunciato una cosa simile anche a Chicago) esista una pizza Caiazzo, omaggio del proprietario del locale al “ripieno con la scarola” dei fratelli Pepe.
Orgoglio e nostalgia sono stati i leitmotiv dell’intervento prima di Franco Pepe, poi dei fratelli Antonio e Massimiliano, ed infine di un vecchio collaboratore (ora proprietario in Scozia di una pizzeria in stile Pepe). Ma il pizzaiolo non è più un umile preparatore di napoletane e margherite, è anch’egli inserito nella considerazione generale che ai protagonisti del cibo ha giustamente reso merito, sia in quanto dispensatori-di-bontà, sia in quanto conservatori di tradizioni e saperi preziosi: e così che nascono le perfomance pizzaiole in giro per il mondo, la Las Vegas a Londra, da Milano a Tokio.
Ed è così forte la capacità evocativa della pizza che Luciano Pignataro – assoluto opinion leader enogastronomico campano – rispolvera i suoi studi filosofici per paragonare la pizza (equazione a troppe variabili per avere una soluzione unica) al fiume eracliteo, dove non ci si immerge due volte nella stessa acqua: non esistono due pizze eguali e questo difetto di costanza diventa un punto di forza di un cibo che in quanto tondo vorrebbe includere tutto e tutti i gusti.
Monica Piscitelli chiarisce, infine, i perché ed i per come della guida: uno strumento simile non c’era (e questo nasce prima coma app per telefoni e tablet e solo poi arriva su carta), e soprattutto non c’era una raccolta delle storie dei pizzaioli e della tradizione di ciascuno di loro.Il racconto delle persone (e dei loro padri, madri e nonni) è infatti l’inizio di ogni scheda, che solo dopo classifica e attribuisce onorificenze. Certo, pochi giudizi sono più soggettivi di questo, tutti ci riteniamo esperti mangiatori di un cipo ancestrale come la pizza, ma le classifiche hanno un senso per il lettore soprattutto quando, usati alcuni parametri condivisi, della guida si capiscono i meccanismi. Per il resto, come sottolineato sia da Pignataro, sia da Manuela Piancastelli, la funzione principale delle guide è quella di elenco ordinato.
E insomma, pur non ricordando -con buona pace di Phillippe Delerm – il primo morso di pizza ognuno di noi ha una classifiche delle pizze che ricorda come incredibilmente buone e di altre, diventate tracce inscalfibili della memoria per tutto il contorno emozionale che a quel miscuglio di pasta pomodoro e mozzarella si è incollato.
E quindi il lavoro di Monica Piscitelli è prezioso ed intelligente, utile e necessario per la conoscenza di microstorie meritorie, ma come ben sapevano i nostri antenati, “De gustibus non disputandum est”.
PS: nel delizioso chiostrino del Palazzo Comunale c’erano assaggi di specialità caiatine (mozzarella de “Il Casolare”, la birra “Karma” e “Il Castello delle Femmine” di Terre del Principe) e ovviamente c’era le pizze a libretto di Pepe, tenute in caldo nella tipica caldaia napoletana da trasporto. E qui c’è da confessare la mia personale rimembranza proustiana: il primo boccone assoluto di margherita no, ma la prima pizza nella caldaia sì; fuori allo stadio San Paolo, la prima volta allo stadio per un amichevole estiva del Napoli di Savoldi.
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