Vito Paternoster, mister Aglianico

Pubblicato in: Il vino del Sud: i protagonisti

Così l’azienda leader della Basilicata ha cambiato passo

Vito Paternoster, 50 anni a novembre, mancato professore di educazione fisica, è al timone della storica azienda di Barile, da sempre punto di riferimento per gli amanti dell’Aglianico del Vulture. Ma non solo: la cantina, da poco trasferita dai locali nel centro del paese nella tenua all’uscita della superstrada Potenza-Melfi, ha conservato nella sua gamma il Moscato dolce, l’Aglianico frizzante, ha introdotto il Fiano. Insomma, una offerta variegata che nel cuore conserva però soprattutto il Don Anselmo. Con lui e gli amici del Vulture abbiamo trascorso alcuni tra i momenti più belli e gratificanti della nostra attività: un territorio magico, in bilico fra la fiaba e le tracce di Federico II.

Vito, il tuo destino nel tuo cognome: da piccolo sapevi che già avresti dovuto fare vino nella vita?
Ti rispondo con il mio solito slogan che è anche diventato una pagina del catalogo aziendale, poiché penso renda l’idea di sentirsi Paternoster: la storia, la tradizione, le passioni, la responsabilità dei primi…. Un patrimonio che senti fortemente addosso, a volte anche in maniera ingombrante, ma che ti riempie di orgoglio e ti guida per sempre.

Quale è stato il tuo primo rapporto con il vino e quando hai iniziato a lavorare in azienda?
In un certo senso il vino ha sempre accompagnato e condizionato il nostro percorso, perché l’abbiamo odorato da piccoli (casa paterna è posta sulla cantina storica) ma, personalmente non ho avuto un buon rapporto iniziale. Per me il vino era una certezza, era lì. Io invece ero molto preso dalla mia adolescenza, dall’amore per lo sport, dal rincorrere qualche ragazzina. Insomma ero un po’ troppo vivace, tant’è che mio padre pensò bene di mettermi in collegio (a Trani dai Padri Barnabiti). Poi quasi per caso, ma già da adulto, fuori dalle mura di casa mi resi conto che il nome Paternoster, al ristorante, in qualche locale, era veramente importante e funzionava molto di più che parlare di Vulture o di Aglianico di territorio. Ancora oggi è un po’ così… Allora qualcosa ti si smuove, non puoi continuare a fare il distratto e poco alla volta ti trovi dentro fino al collo. Tuttavia non volli improvvisare del tutto la mia presenza in azienda, feci qualche viaggetto in Italia ed all’estero a trovare qualche produttore famoso (anche qui scoprii di essere già noto) soltanto per osservare, per capire meglio, per verificare se il lavoro di casa era ben fatto. Alla fine ti rendi conto che non sei proprio messo male. Hai tra le mani una materia prima che grazie al Padreterno (questa volta non a Paternoster) non è seconda a nessuno, anzi… Un territorio che se ben organizzato può dare un determinante supporto d’immagine all’attività e allora vai. Ed è così che quest’anno sulla soglia dei miei cinquant’anni, dicono ben portati, compio ben ventisette Vinitaly!

In che periodo i Paternoster iniziarono a produrre vino?
Nonno Anselmo, classe 1896, vignaiuolo, cacciatore, socialista (quasi partigiano), nel 1925 apre la sua cantina nella parte alta del paese vicino la stazione ferroviaria. Era lì che cominciavano i traffici di uve verso nord ed in questa attività di mediazione, seleziona, imbottiglia ed etichetta da subito le prime bottiglie di Aglianico. Papà Pino lo affianca sin da ragazzino, gli studi a Conegliano Veneto e poi la guerra. Riesce a ripartire e diventa una figura professionale importante per l’azienda e per la vitivinicoltura del Vulture. Dota l’azienda di un assetto tecnico-manageriale e la proietta nel mercato con le varie presenze, dapprima a tutte le edizioni della fiera del Levante di Bari, sino agli anni ’70 e successivamente ai Vinitaly sin dalle prime edizioni. Diventa corrispondente della rivista Il Torchio molto in voga negli anni ’50 e partecipa a convegni, sperimentazioni e tutte le attività di settore che purtroppo si svolgevano fuori dai confini della regione (Puglia e Campania). Era comunque importante rimanere aggregati e non rischiare l’isolamento. Negli stessi anni l’etichetta Paternoster è l’unica a comparire nel catalogo Bolaffi dei vini, a cura del caro Luigi Veronelli che rimpiangiamo moltissimo, essendo stato in visita da noi in cantina svariate volte. Negli stessi anni lo affiancano dapprima i figli Anselmo, il primogenito e successivamente Sergio, appena più piccolo di me, entrambi tecnici. Anche loro decidono di avere delle esperienze al di fuori dell’azienda, salvo a ritrovarci tutti comprese le sorelle Rosalba e Anna nel nuovo progetto di casa, la costruzione della nuova cantina a Villa Rotondo. Una struttura modernissima ben inserita nel contesto dei quattro ettari circostanti che fanno da cornice. Grazie allo spirito imprenditoriale del papà ci ritroviamo questo luogo che è tra i più belli e suggestivi dell’intero Vulture.

Ci sono state difficoltà in questi passaggi generazionali?
Nonostante il lieto fine devo ammettere che gli scontri fra tutti noi ci sono stati, eccome se ci sono stati! Personalmente ci litigavo ogni dieci minuti. Ricordo liti violente a proposito dell’ultimo restyling delle nostre etichette ed il nome “Synthesi” attribuito ad un nostro Aglianico, molte volte ho temuto il peggio…

Come si posiziona il vostro vino sui mercati nazionale e internazionale?
Il marchio Paternoster grazie a chi ci ha preceduto, è venuto subito fuori dall’anonimato dell’intero territorio che commerciava prodotti sfusi. I principali utenti erano pugliesi e campani, grazie soprattutto alle nostre bollicine alle quali cominciavamo ad affiancare l’ Aglianico in versione classica. Le varie fiere come già accennato ci hanno offerto migliore visibilità sia in Italia che all’estero ed ora si tratta di ottimizzare e capillarizzare il mercato, compatibilmente al numero di bottiglie a disposizione. Oggi il vino si vende sotto casa, a causa della forte territorialità che riguarda il mercato nazionale ed è diventato un pò un problema per tutte le regioni. Mentre l’export è rappresentato dai mercati di elezione del vino: Nord Europa, USA, Canada, Giappone, Scandinavia, gli ultimi Cina e Russia che sono ancora da esplorare meglio. In generale, mi sento di commentare che non è tutto oro quello che luccica poiché, ad un successo celebrato e parlato del Vulture, non corrisponde sempre il miglior consenso, sia nei consumi che nei prezzi. Con questi due aspetti dovremmo fare bene e meglio i conti tutti.

Avete mai pensato di abbandonare l’Aglianico? Come mai questa regione è rimasta fedele a se stessa?
Mai pensato, forse per una sorta di inconscio patto di fedeltà con il nostro vitigno principe. Noi non lo tradiamo e lui ci ricambia in profumi, eleganza, mineralità, e tante altre belle cose.

Da vinificatori e produttori. Cosa implica questo salto?
Pur non possedendo molta superficie vitata, non ci siamo mai sentiti complessati, anzi, aver lavorato da sempre nelle varie contrade di Barile e dei centri vicini, ha rappresentato un punto di forza poiché siamo riusciti ad imprimere migliore complessità e personalità al nostro Aglianico. Ancora oggi, i nostri venti ettari, sono dislocati in sette poderi diversi tutti in comune di Barile e tanti sono ancora i conferenti privati che ci seguono da anni con la loro fiducia e collaborazione.

Vantaggi e svantaggi di lavorare in Basilicata?
La sicurezza che ti da il tuo territorio è impagabile, soprattutto nel nostro lavoro. Lo conosci bene, sei fuori dal caos di altre regioni più vivaci, riesci sempre ad ottenere risultati accettabili anche in condizioni non sempre favorevoli. Essere invece lontani dai luoghi canonici di promozione, di approvvigionamento di materie prime, servizi, professionalità specifiche, cultura del lavoro, mentalità chiuse, ancora di paese, rappresentano gli svantaggi.

Soffrite di più la concorrenza pugliese o campana?
Parlare di concorrenza con altre regioni oggi, non penso sia corretto. Secondo me concetti quali sinergia, sistema Italia,soprattutto nel nostro comparto sono fondamentali. Penso che l’Italia del vino sia riuscita a trasmettere negli anni al mondo intero, le diversità, le peculiarità di ogni territorio vinicolo e ciò per noi rappresenta il punto di forza più importante che fa ancora la diversità con gli altri paesi competitors. In generale la minaccia la vedo più arrivare dal mondo dell’industria del vino. Certo però che, a proposito di concorrenza, scherzosamente aggiungo che gli amici della Campania rompono un po’ le scatole…

Quali sono i rapporti fra i produttori? Perchè nonostante i successi commerciali non si riesce a creare un consorzio che funziona?
I rapporti interpersonali sono ottimi, ma quando si tratta di mettere nero su bianco, di prendersi un impegno, di fare un passo indietro, scatta una sorta di latitanza generale che sinceramente non so analizzare. Certo è che questa è la causa dei nostri problemi, perché non siamo ancora riusciti a dotare il nostro Vulture di quegli strumenti che vanno da una piantina viticola, una strada del vino, sottozone se occorrono, sino ad arrivare alla tanto sospirata ed aggiungerei meritata DOCG. Si sappia però che Paternoster in ogni iniziativa comune c’è sempre stato e ci sarà sempre, a differenza purtroppo di tanti altri, storici e nuovi arrivati che assumono un atteggiamento stracomodo di attesa improduttiva.

La politica vi è stata vicina? Vi ha aiutato? O vi penalizza?
«Per alcuni versi in passato ci ha anche aiutati, ma oggi la sentiamo lontanissima. E’ ancora imbrigliata da logiche partitiche, di scambio di voti, ogni assessorato di turno dura pochissimo e demanda a quello successivo il programma in corso e così via. E poi a volte, purtroppo, c’è anche incompetenza».

Quali sono le migliori annate di Aglianico che hai in memoria?
Le migliori 1985 – 1988 – 1990 – 1992 – 1993 – 1994 – 1995 – 1997 – 1998 – 1999 – 2000 – 2001 – 2004 – 2005 – 2006 – 2007, da osservare meglio.

Le peggiori?
Le meno buone si dimenticano e comunque ne cito solo tre: 1986 – 1991 – 2002.

Oltre l’Aglianico, ci sono possibilità per altri vitigni? Quali secondo te?
Abbiamo provato altri vitigni, un filare qua e la tra chardonnay e pinot noir (cruccio di ogni viticoltore) e non vengono male. Con questi suoli, a questa altitudine e con queste escursioni viene tutto bene… ma c’e ancora tanto da fare con l’Aglianico!

Cosa fai nel tuo tempo libero?
Un po’ di sport tra calcetto e tennis, musica e qualche lettura ma non disdegno la frequentazione del paese e del bar con gli amici, quando posso

Cosa significa la cantina che hai fatto con tuo cognato Rino Botte?
A Rino ho voluto dare un aiuto, un sostegno morale ma anche concettuale del suo progetto. E’ partito con il vino in testa ed appena è ritornato non ha perso tempo a proporsi come produttore. Con lui ho condiviso e condivo tutt’ora molti concetti. Oggi cammina con le sue gambe e ci riesce molto bene essendo rigoroso, determinato e folgorato da questa sua nuova veste.

Quali sono i produttori non lucani che ti piacciono di più?
Per non far torto a nessuno, non faccio citazioni, ma ammiro moltissimo gli storici e quelli del vino made in Italy anni ’80 che hanno rivoluzionato e comunicato al mondo l’importanza ed un concetto di qualità del vino Italiano diverso, più moderno e legato ad ambiente e territorio.

Cosa ti da maggiormente fastidio?
La cravatta, l’incoerenza, i condizionamenti, tra l’altro molto ricorrenti nel nostro mondo.

Quando finisce il lavoro e inizia il piacere?
Davanti ad un nuovo grande vino, di qualsiasi provenienza accompagnando magari con grandi piatti non necessariamente d’autore, anche di cucina povera.

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Se rispondessi che sogno ancora un grande Aglianico sarei banalissimo, ma non è da escludere. Poi a cinquant’anni i sogni sono tanti, possono essere pericolosi, trasgressivi, ….e allora,vietato sognare. Puoi solo sognare per i tuoi figli (ho due femmine) sperare in un loro processo di crescita sano, sia fisico che intellettuale, e di questi tempi è già tanto.


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