di Pasquale Carlo
La degustazione per i quaranta anni della piccola azienda vitivinicola Bosco si è trasformata in scenario ideale per riflettere sulla storia enologica della terra beneventana degli ultimi quattro decenni, vale a dire da quando è iniziato il percorso in bottiglia del vino sannita. E di percorso ne è stato fatto da quando Salvatore Venditti (il cui ricordo resta la vera “anima” di questa cantina) dava il via alle sue prime etichette. Era il 1974, a Castelvenere ancora tutto parlava di sfuso e soprattutto di uve vendute al mercato napoletano (le bottiglie di Ciabrelli arriveranno nel 1976, quelle di Venditti l’anno successivo). Poco distante, in quel di Guardia Sanframondi, solo da poco più di un decennio si era messa in moto l’avventura de ‘La Guardiense’, mentre l’altra cantina sociale, quella di Solopaca, era stata fondata otto anni prima.
Ad arricchire ulteriormente questo discorso storico, il materiale messo a disposizione dall’architetto telesino Vincenzo Vallone, che ha ricordato l’iniziativa pioneristica messa in campo da presidente della Pro Loco, quando nel 1977 diede il via alla ‘Mostra dei vini tipici della Valle Telesina’, con le terme – di quella che allora si chiamava ancora solo Telese – che facevano da “sfondo” ad una delle prime vetrine promozionali con lo sguardo oltre i confini localistici.
I calici hanno poi spostato l’attenzione sulla storia enologica castelvenerese. In particolare su quella dei calici barbera, visto che la degustazione proponeva le ultime due annate del Beneventano Barbera ‘Don Bosco’ e del Beneventano Barbera ‘Armonico’. A Filippo Venditti è toccato spiegare i percorsi produttivi dei calici. A Luciano e Maria Grazia De Luca è invece toccato scendere nelle profondità dei vini. Con un giudizio finale unanime. Un vino “femminile”, ha sottolineato la delegata dell’Ais Benevento, come giustamente ricordava anche il titolo dell’incontro ‘Bella, rossa… quarantenne’. Luciano ha invece ancora una volta sottolineato la tipicità e soprattutto la capacità di stare a tavola che caratterizza questo vino.
In passerella ‘Armonico’ 2011 e 2012. Pur presentandosi con carte d’identità simili, le differenze sono emerse al naso, facendosi sempre più evidenti al palato. All’impianto olfattivo classico di frutti rossi e rosa, il 2012 ha sprigionato note più ampie, con infiltrazioni di viola e ciclamino, per restare tra i fiori. Differenza anche al passaggio in bocca, dove l’annata più recente è riuscita ad andare oltre soprattutto per freschezza, non dovuta solamente all’annata, ma ad un frutto particolarmente integro nel calice.
Il discorso si inverte parlando, invece, delle etichette ‘Don Bosco’. Etichetta – come ha precisato Filippo – che viene prodotta solo nelle annate migliori, vale a dire in quelle in cui le condizioni climatiche permettono il leggere appassimento del frutto sulla pianta. Un discorso difficile per questo vitigno, che tra i punti di debolezza segna proprio la facile e veloce deteriorabilità della buccia. L’annata 2012 mostra tutti i tratti distintivi di questo prodotto: pienezza di frutto, estrema piacevolezza per via del buon residuo zuccherino accompagnata, sostenuta freschezza. La versione 2011 gode di una marcia in più, tanto da far pensare ad un parallelo con il mondo dell’Amarone della Valpolicella, dello Sforzato valtellinese. Insomma – come focalizzato da Luciano – un vino da meditazione.
Non è mancato nemmeno il passaggio sul lato critico della storia: quello del nome. “Per presentare questo vino – le parole sono sempre di Luciano – bisogna prima dire quello che non è. Che è tutt’altra cosa rispetto all’omonimo piemontese, tra l’altro conosciuto in tutto il mondo. Insomma, un grande handicap per la comunicazione”.
Un nome che tuttavia Castelvenere si porta dietro da tempo, almeno da prima del secondo conflitto bellico. Nel 1940, ad esempio, Raffaello Marrocco, nel descrivere ‘L’agricoltura, l’industria e il commercio’ de ‘Il Matese’ (Editrice Rispoli Anonima, Napoli), illustrava: <<Alcune zone vitate danno uve speciali, come la “Bombini” e la “Pergolani” di Roccamandolfi, la cui produzione sorpassa i duemila quintali l’anno e si esporta all’estero in speciali cestini; nonché vini, anch’essi speciali come il “Ciprigno” e il “Barbera” di Castelvenere, il “Malaga” di Sanframondi, il “Solopaca” di Telese, S. Salvatore e S. Lorenzello, il “Pallagrello” di Piedimonte e Capriati ecc., vini gradevolissimi, deliziosi, robusti, che vanno dal rosso cupo al giallo ambrato, dal rosa delicato al rubino brillante>>.
Un mistero, dunque, che va avanti da circa un secolo.
Poco misterioso, invece, il vino a tavola, con l’Armonico che nelle due versioni a disposizione ha sposato alla perfezione i piatti preparati da ‘La Cascina di Bacco’ in quel di San Salvatore Telesino (www.lacascinadibacco.it), da non molto tempo in gestione nelle mani di Claudio Di Brigida. Pasta tirata a mano con un ragù bianco di lepre e la difficilissima (sia per la preparazione che per l’abbinamento) anatra all’arancia. Senza dimenticare la buona carrellata di salumi e formaggi con cui si è aperta la tavolata. Buono il giudizio della cucina, sicuramente da riprovare anche per la buona impressione (a vista) della pizza.
Finale: una serata trascorsa tra interessanti racconti sanniti di barbera, con l’augurio di rivedersi tra dieci anni, per festeggiare il primo mezzo secolo di vita dell’azienda Bosco. Una piccola azienda portata avanti da Pippetto con il contributo fondamentale del fratello minore Mario: a lui il merito di continuare a fare vini che hanno un’anima. Vini che nascono con passione e amore. Trasmessi dal papà Salvatore.
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