di Francesco Raguni
Anche quest’anno si è tenuta, a cavallo tra agosto e settembre, la manifestazione ViniMilo, un evento interamente dedicato al vino. E così dal 26/08 all’8/09 tutti gli appassionati del mondo enologico si sono dati appuntamento dinanzi alla statua di Lucio Dalla e Franco Battiato per degustare le etichette di alcune aziende del territorio (solo le cantine di Milo presenti erano 24). In due settimane amatoriali ed esperti del settore hanno potuto trovare terreno fertile per incontri e confronti tra banchi d’assaggio e masterclass dedicate.
ViniMilo è organizzata dal Comune di Milo, in persona del sindaco Alfio Cosentino, e dalla Proloco, in persona del presidente Alfredo Cavallaro, con il sostegno dell’Assessorato regionale all’Agricoltura, guidato dal neoassessore Salvatore Barbagallo, dell’Assessorato al Turismo e Spettacolo e con la collaborazione dell’IRVO (Istituto Regionale del Vino e dell’Olio). L’edizione 2024 è inquadrata fra le iniziative che vedranno la Sicilia “Regione europea della gastronomia 2025”, prima regione italiana a ricevere il riconoscimento conferito dall’IGCAT (International Institute of gastronomy, culture, arts and tourism).
Durante la serata di chiusura dell’edizione corrente, cioè la n. 44, si è svolta una masterclass – organizzata in collaborazione con la Federazione Italiana Sommelier e Bibenda – dal titolo “Sulle tracce di Mario Soldati – Dalle Alpi al Vulcano”. A fare da moderatori Agata Arancio, vicepresidente, e Paolo Di Caro, presidente di Fondazione Italiana Sommelier, oltre a Daniele Lucca canavese, voce Wine Voice Radio&Podcast, e Gualtiero Onore, enologo e vicepresidente dei Giovani Vignaioli Canavesani. Sette calici contro sette calici per scoprire analogie e differenze tra l’Erbaluce, vitigno tipico del canavese, e il Carricante, uva a bacca bianca simbolo dell’Etna.
Il trait d’union tra queste due varietà è stato individuato nella figura del giornalista e scrittore, Mario Soldati, vissuto durante il ‘900 (1906 – 1999). Proprio Soldati è stato un avanguardista del giornalismo enogastronomico. Basti pensare che è sua la prima inchiesta in tema: si tratta di un report (realizzato insieme a Biagio) risalente agli anni ’50 il cui tema principale era la scoperta dei produttori nella valle del Po’. Nonostante le sue origini piemontesi, fu anche tra i primi a parlare di Etna. Negli anni ’60 definiva l’Etna rosso non ancora “pronto”, mentre tesseva le lodi dell’Etna bianco e dunque del Carricante. In quegli stessi anni iniziava, lentamente, la rinascita dell’Erbaluce.
Partiamo dalla zona d’elezione di questa varietà. Il canavese è un territorio che, in primis, si differenzia rispetto all’Etna per un motivo ben preciso: l’uno si affaccia sui grandi laghi, l’altro sul mare. Il territorio è prettamente sabbioso, non ha più di un milione di anni (dunque è abbastanza giovane) e si trova sul ghiacciaio Balteo che, sciogliendosi, ha portato anche alla creazione del fiume che oggi conosciamo come Dora Baltea. L’Erbaluce, vitigno principe della zona, è stato ripreso dopo il secondo conflitto mondiale, gran parte del merito va sicuramente ad Olivetti che ha concesso ai suoi operai delle ore di permesso per continuare a coltivare il vitigno; quindi, evitare il totale abbandono delle campagne da parte chi andava a Ivrea per lavorare in fabbrica.
Il suo nome trova le radici in una leggenda, quella di Albaluce, le cui lacrime di sofferenza d’amore, portarono alla nascita di questo vitigno. Ad oggi, più di 70 produttori lavorano quotidianamente per conferire a questo vitigno un carattere sempre più identitario. Un tempo era raro vedere un Erbaluce non passito, poi arrivano sia le sue versioni spumantizzate che ferme e secche, ma soprattutto in purezza. Ed è grazie ad alcune bottiglie firmate dai suddetti produttori che siamo riusciti ad avere uno scorcio del canavese.
Quasi tutte le etichette in assaggio avevano come annata di riferimento la 2022, salvo la penultima cioè Giallo di Chy, 2023, e l’ultima quale Kalamass, 2020. Le prime cinque referenze – Caluso DOCG, Jyothi, San Martin, Scelte di Vite e Rebellio – erano accomunati da un colore giallo paglierino; al naso vi erano spiccate differenze: si passava dai fiori banchi alla frutta, che spaziava a sua volta dall’agrume alla pesca, seguiva un bouquet di nocciola e mandorla; e ancora pere ed erbe aromatiche. Tutti i primi cinque vini hanno fatto affinamento soltanto in acciaio. Piccola chiosa doverosa su Rebellio, macerato che ha fatto criofermentazione a temperatura controllata per 72 ore. Macerato era anche Giallo di Chy, con un colore giallo dorato e leggermente opaco, a lasciar trasparire assenza di filtrazione e chiarificazione. Chiudeva la batteria il vino più complesso, cioè Kalamass, svolge per il 20% un affinamento in legno di 24 mesi. Al naso portava al naso sentori di idrocarburi e frutta a polpa gialla matura.
Il tratto sicuramente comune di queste bottiglie era la marcata acidità, più si andava avanti, più questa durezza veniva accentuata, lasciando intuire come questo vitigno possa regalare anche bianchi da invecchiamento. Altra analogia tra le referenze è stata sicuramente la sapidità.
La stessa escalation si è potuta delineare nella batteria di Carricante: Virgola, Rachele, Sciara 1911, Bianco 2022, Nuna, Lavi e Gamma. Si è passati da vini agili e molto verticali a prodotti con una complessità più marcata. Se già con Nuna, il cambio di marcia si è avvertito tanto al naso quanto in bocca, Gamma ha sugellato questo climax ascendente. La mano di Federico Curtaz ha regalato un vino con un ricco bouquet di profumi, grande acidità e mineralità, potenziale di evoluzione e soprattutto identità. A fare da intermezzo l’Etna Bianco Superiore firmato Iuppa, azienda vitivinicola di Milo che, peraltro, ha di recente aperto in paese il suo winebar.
Il colore, le note fruttate e agrumate, la spiccata freschezza sono i tratti comuni che uniscono il canavese all’Etna. Tuttavia, l’identità delle etichette del vulcano risulta essere più chiara ed identificabile rispetto alle altre, a riprova del fatto che già tempo fa – come diceva Soldati – l’Etna Bianco era un vino pronto. Comunque, con ogni probabilità a favore, non è stato possibile cogliere pienamente tutte le sfumature dell’Erbaluce, contrariamente a quelle del Carricante. Il perché ce lo insegna proprio Mario Soldati in “Vino al Vino”, dove afferma” Il vino è come la poesia, che si gusta meglio, e si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo. La Nobiltà del vino è proprio questa: che non è mai un oggetto staccato e astratto, che possa essere giudicato bevendo un bicchiere, o due o tre, di una bottiglia che viene da un luogo dove non siamo mai stati. Che cosa ci dice l’odorato, e il palato, quando sorseggiamo un vino prodotto in un luogo, in un paesaggio che non abbiamo mai visto, da una terra in cui non abbiamo mai affondato il piede, e da gente che non abbiamo mai guardato negli occhi, e alla quale non abbiamo mai stretto la mano? Poco, molto poco”.
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