Montevetrano 2002, benedetta sia l’annata cattiva! Un paradosso? Ma assolutamente no, come nelle emergenze e nelle situazioni difficili fuori dall’ordinario emergono i caratteri migliori, così i grandi vini e i bravi viticoltori danno prova di essere davvero tali quando le condizioni non sono favorevoli. Fu una strana annata, questa 2002, la prima dopo l’attacco alle Torri Gemelle che aveva bloccato il mercato americano fermando l’export del vino, e poi fu piovosa, terribile, tanto che Franco Biondi Santi, ma anche Mastroberardino, annunciarono che non avrebbero fatto Brunello e Taurasi. Una annata strana dopo la prima tropicale del 2000 che ancora oggi è incapace di dare grandi vini rossi italiani perché colse tutti impreparati, e dopo la 2001, perfettina, che molti, non io, considerano una grande annata alla stregua della 1999. In effetti questa 2002 ci era un po’ sfuggita di mano, sotto leggete due schede di ben 15 anni fa, erano gli albori del blog, una è una degustazione e un’altra, quella del 24 gennaio, un articolo apparso sul Mattino qualche mese prima e ripreso proprio il primo giorno di pubblicazione di questo spazio nel web. C’è traccia del 2002 in una verticale di Montevetrano raccontata da Diodato Buonora nel 2007 nel suo gruppo di assaggio dell’epoca nel quale l’annata non uscì bene.
Durante la sbicchierata estiva a casa mia ho deciso di stappare questa magnum e subito si è imposta in modo regale. D’accordo, forse provata in una verticale dello stesso vino sarebbe un passo indietro, ma è tutto da vedere visto che nel frattempo i gusti sono profondamente cambiati in direzione della finezza e dell’eleganza. Già, perché questo 2002 è stato proprio così: anzitutto, come tutti i Montevetrano di lunga durata, si annuncia con un naso fresco e complesso di frutta in evidenza, neanche conserva, note balsamiche, rimandi di macchia mediterranea, carruba, caffè. Impressiona la assoluta e perfetta fusione tra il legno e il frutto sicché non è poi facile distinguere l’uno dall’altro. Una fusione che si conferma al palato, dove il vino è all’altezza delle premesse rivelandosi anzitutto fresco e scattante, nessun cenno di cedimento e tanto meno di ossidazione (a proposito, il tappo era perfetto, la magnum avrebbe potuto riposare per almeno altri dieci anni senza problemi). Il vino si impone per una progressione increscibile, il tipico crescendo rossiniano, per poi chiudere in maniera pulita e precisa, persistente, che lascia la voglia di ricominciare.
Insomma, un vero capolavoro che gioca un altro campionato. Il Montevetrano, come il Terra di Lavoro, è uno di quei vini su cui conviene investire perché il tempo li impreziosce, li arricchisce, li rende complessi, vini capaci di imporre l’attenzione su se stessi in qualsiasi circostanza.
Non c’è niente di più bello per un appassionato condividere queste emozioni con amici e il Montevetrano si presta benissimo, perché è elegante senza essere presuntuoso e saccente, è il grande scrittore della porta accanto che ti apre l’ascensore, è il compagno di una vita.
Ps: leggete, se avete voglia, anche le schede scritte ormai 15 anni fa. Come capacità previsionale non scherzavo già allora :-)
Scheda del 27 maggio 2004. L’ultima sfida di Silvia si chiama vendemmia 2002, la difficile annata alla quale tutti i grandi vini sono attesi al varco. E ci chiediamo come questo cuore di donna sia così forte e gentile, capace di tirare dritto esaltando il territorio senza mai scadere nel localismo provinciale. È qui il segreto di questo rosso, unica nomination campana alla Notte degli Oscar organizzata dal cardinale Richelieu del vino, Franco Ricci. Il Montevetrano di Silvia pensato con Riccardo Cotarella fu lo squillo di tromba con cui dieci anni fa la Campania annunciò all’Italia e al mondo la sua capacità di fare rossi di altissimo livello capovolgendo un luogo comune solo da poco tempo svanito. Cabernet sauvignon, merlot e una punta di aglianico in una zona completamente priva del peso della tradizione come l’Irpinia. E il 2002 si presenta davvero molto molto elegante, sentori di rose, frutta rossa, spezie, caffé, liquirizia, note balsamiche in uno spettro aromatico praticamente infinito nel bicchiere paziente. Ma è in bocca il capolavoro, un equilibrio perfetto, da manuale, tra la freschezza e la morbidezza, la struttura alcolica non esagerata ma presente, la capacità di lasciar pulito il palato molto rara nei vini italiani a base di cabernet sauvignon, un dosaggio ormai collaudato da Riccardo entusiasta di questi sei ettari piantati a ridosso della collina degli olivi del castello di Montevetrano dal quale si controlla Paestum e la piana del Sele. E le vigne, ormai al lavoro da dodici anni, hanno la maturità necessaria mentre il numero delle bottiglie è a quota 30.000. Non più solo vino cult impreziosito dall’etichetta dell’artista polacca Irene Kovaliska, ma solida realtà di fronte alla quale, basta attraversare il sentiero, c’è l’ospitalità di Anna, la sorella di Silvia, con il suo agriturismo La Vecchia Quercia da cui sorveglia la casa patronale, il giardino, la cantina in un’atmosfera autentica, indifferente al tempo ma capace di coglierne la caducità. Non amiamo i vini autoreferenti, cioé poco abbinabili, ma il Montevetrano 2002 è tanto grande da non poter essere disturbato dal cibo.
Scheda del 24 gennaio 2004
Decima vendemmia per la nostra amica Silvia e decima conferma di una avventura unica e straordinaria. Quella di fare un grande vino internazionale in una zona dove c’era solo l’uva ma non la capacità di vinificare in termini ragionevoli, sulle colline di Salerno non lontano da Paestum, alle porte del Parco Regionale dei monti Picentini. Questa versione Montevetrano 2002, ricordiamo l’anno piovoso e difficile con l’estate che si spezza esattamente il 16 agosto e nuvole che non danno più tregua in un clima subtropicale senza escursione termica, conferma una tecnica collaudata, le giuste misure prese da Riccardo Cotarella e la maturità degli impianti che riescono ad esprimere una frutta matura. Il colore è quello che ben conosciamo, rosso rubino con piccola unghia porpora, al naso è potente, persistente, elegante, con note fruttate, speziate e balsamiche. Il vino si presenta molto equilibrato in bocca, con tannini morbidi. Come già abbiamo avuto modo di scrivere un grande vino è di per se perfetto e va in genere sorseggiato da solo. Ma la personalità del Montevetrano è tale che non teme né i piatti del territorio e neanche le proposte più ardite della moderna ristorazione come ad esempio un bel cappuccino di teste di scampi de La Francescana di Modena. Insomma, interpretando fino in fondo la tipicità del territorio, dimostra di essere un vino internazionale di assoluto valore. L’anima viene dal terreno e dall’aglianico, l’eleganza dai vitigni internazionali. È il bere delle grandi occasioni ma anche di una domenica in famiglia con un piatto speciale. Con il tempo il Montevetrano migliora evolvendo e non è difficile prevedere un invecchiamento minimo ottimale che oscilla tra i dieci e i quindici anni. La prima vendemmia uscita in commercio, il 1993, ha ormai raggiunto prezzi altissimi mentre il 1992 è già una rarità da collezionisti. Notevoli le annate 1995, forse la migliore, e poi ancora la 1997, la 1998 e la 2001. Il ruolo storico svolto da questo rosso è quello di aver dato consapevolezza ai produttori campani di poter competere alla pari sia a livello nazionale che internazionale senza complessi di inferiorità e soprattutto senza ritagliarsi spazi folcloristici apprezzati ormai solo da chi non sa apprezzare il vino. Da allora è stato un crescendo per il mondo vitivinicolo nazionale. L’azienda si completa con l’agriturismo gestito con sobria eleganza dalla sorella Anna, la vecchia Quercia, circondata dai vigneti, esposti a sud-est e sud, e dai castagni.
Montevetrano 2002
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