In questa giornata di riflessioni, c’è anche da ragionare sulla criminalizzazione del bere su cui torneremo, riporto la consueta intervista di fine anno rilasciata al Denaro, il quotidiano economico napoletano diretto da Alfonso Ruffo, con la quale si è aperto il corposo supplemento dedicato al Vino e uscito con il giornale il 29 dicembre scorso
di Basilio Buoti
“Il futuro del vino campano è ancora indecifrabile, perché la nostra regione nel suo complesso è matura sul piano produttivo e qualitativo, ma ancora molto arretrata dal punto di vista commerciale”. Lo sostiene il giornalista professionista Luciano Pignataro, autore di numerose guide eno-gastronomiche e collaboratore di alcune riviste specializzate del settore. Al giornalista Pignataro, responsabile regionale in Basilicata, Calabria e Campania della Guida ai Vini Buoni d’Italia del Touring Club, oltre che ispettore per i ristoranti dell’Espresso, è stato assegnato uno dei sedici premi Luigi Veronelli 2008, istituiti da Class Editori e da Veronelli Editore in onore del più grande scrittore e critico italiano di enogastronomia. Nella solenne cornice del teatro dell’Angelicum di Milano si è svolta la cerimonia di consegna del Premio Luigi Veronelli, quest’anno giunto alla terza edizione. A ritirare i premi gli operatori – comunicatori e tecnici – del mondo dell’enogastronomia italiana e internazionale ritenuti particolarmente meritevoli dall’ampia e composita giuria. Per la categoria “emergente” è stato premiato Luciano Pignataro che “in pochissimi anni, partendo dalla rubrica enoica pubblicata sul Mattino di Napoli, e sfruttando con intelligenza le possibilità del web con un sito internet personale, ha saputo diventare un punto di riferimento importante per tutto ciò che riguarda il vino della Campania, restando fedele alla vocazione di cronista che sa comunicare, insieme alle notizie, anche le emozioni”, recita la motivazione del premio.
Qual è stata la sua sensazione quando ha saputo di essere tra i premiati del “Veronelli”?
Davvero una grande emozione. Vedere associato il mio nome alla persona che ha fondato la critica enologica in Italia è stata la soddisfazione più grande di questi anni. Anche una responsabilità. Ma lavorare al Mattino è la migliore palestra da questo punto di vista.
Nel 2008 lei ha scritto tre guide: sui vini del Sannio, dell’Irpinia e della provincia di Salerno. Quali sono le più importanti novità contenute nei volumi rispetto alla precedente “Guida completa ai Vini della Campania”?
La novità più rilevante è la crescita del numero delle aziende. Quando avremo completato la pubblicazione con Caserta e Napoli avremmo censito circa 400 aziende: un boom che ha cambiato il volto della nostra campagna e dato nuova fiducia ai giovani.
Com’è stato il 2008 per il vino campano, in termini di qualità e fatturato?
Bisogna fare una distinzione. Da un lato abbiamo le aziende consolidate che non hanno problemi, dall’altro ci sono quelle che si sono affacciate adesso sul mercato e sono in difficoltà, perché siamo in una fase di recessione e la gente è molto più attenta al costo della bottiglia. Gli anni ’90, quando un articolo sul giornale faceva la fortuna economica di una cantina, non torneranno più. Tira bene il mercato dei bianchi; vanno i rosati. Si difendono i rossi sotto i dieci euro o ben conosciuti, come il Montevetrano e il Terra di Lavoro.
Qual è, a suo avviso, la strada da percorrere per valorizzare al meglio i vini campani e renderli sempre più competitivi sui mercati internazionali? I produttori devono scrivere storie in bottiglia. Si deve puntare alla specializzazione delle piccole aziende che non devono scimmiottare le grandi proponendo tutto. E poi un po’ di annate vecchie, rosse e bianche. Con le nostre uve abbiamo una fortuna sfacciata, perché sfidano il tempo in modo naturale e senza forzature.
In che modo la Cabina di Regia per lo sviluppo economico nel comparto vinicolo, promossa dalla Regione Campania, dovrebbe sostenere il comparto?
Promuovendo un calendario di iniziative ben chiaro e consolidato per tutto l’anno. Non si tratta di inventare niente, ma di copiare quello che fanno in Toscana. Dare certezze agli operatori e alle cantine in termini di appuntamenti e date precise. Il fatto che quest’anno sia saltata BianchIrpinia è molto grave. Un brutto passo indietro rispetto al passato, inammissibile altrove. Vi immaginate il Brunello o il Chianti che saltano un’Anteprima?
Nei giorni scorsi, al Grand Hotel “Vesuvio” di Napoli, nell’ambito della presentazione della settima edizione di “Falanghina Felix” di Sant’Agata de’ Goti, lei ha tenuto, insieme ad altri relatori, un seminario-degustazione sul tema “Le espressioni territoriali della Falanghina in Campania”, con vini del Sannio, Irpinia, Terra di Lavoro, Vesuvio e Campi Flegrei. Quale riscontro ha avuto l’iniziativa?
Un ottimo riscontro: la Falanghina, insieme al Greco di Tufo, sostiene la viticoltura campana grazie alla magica combinazione di costo, qualità e tipicità.
Manifestazioni come quella sul Lacryma Christi, tenutasi a Ottaviano, o i laboratori del Gusto, svoltisi nell’ambito della festa dell’uva di Solopaca, sono efficaci per sostenere la promozione del vino campano?
Servono soprattutto al territorio. Il Sud ha sempre pensato a produrre senza promuoversi, basta vedere in che condizioni escono le conserve di pomodoro dalle fabbriche, giusto per fare un esempio. Il futuro per le aziende piccole è portare i turisti in cantina perché non si possono sostenere i costi della distribuzione. Se c’è chi pensa che basta produrre per vendere può chiudere bottega così risparmia tempo e danaro.
In conclusione, come vede il futuro del vino campano?
Vedo una ventina di grandi aziende capaci di reggere sul mercato e una corona di piccole realtà specializzate e non replicabili: dunque, strepitosi produttori di Fiano, Greco o Aglianico, costruttori di tradizioni e di legami sul territorio. Scusi, ho sbagliato risposta: questo è il mio sogno, quello di ogni appassionato. Il futuro è ancora indecifrabile perché la Campania è matura sul piano produttivo e qualitativo, ma molto arretrata su quello commerciale. E questo può essere il suo tallone d’Achille.
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