di Carmelo Corona
Tutto è cominciato verso la fine degli anni ’80, con il (cosiddetto) “Paradosso Francese”, espressione coniata dall’accademico Serge Renaud dell’Università di Bordeaux, frutto di un’interminabile serie di studi scientifici da tutto il pianeta, in particolare dagli USA. L’ipotesi (peraltro suggestiva) era, in sintesi, la seguente: la mortalità per malattie cardiovascolari dei francesi in linea con la media europea, nonostante l’elevato consumo di “materia grassa” (formaggi e latticini), era da attribuirsi al regolare accompagnamento dei pasti con il vino rosso.
Questa conclusione venne poi corroborata da studi successivi che portarono alla scoperta del famoso “resveratrolo”, uno dei componenti polifenolici del vino, quale fonte di queste (ipotetiche) virtù salutistiche. Con il tempo, la verità viene sempre a galla, e infatti, proprio all’inizio dello scorso anno esce fuori che un illustre luminare della Connecticut University, Dipak Das, aveva falsificato i dati delle sue ricerche sul resveratrolo, inventato sperimentazioni e piegato i risultati alle conclusioni che evidentemente gli facevano più comodo. Più recentemente, un team accademico del Dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Padova, ha in qualche modo ripreso e confermato quanto, a grandi linee, era già stato ratificato a suo tempo dalla teoria del paradosso francese: il beneficio del nettare di Bacco risulterebbe particolare quando la dieta è ad alto contenuto di grassi, e se assunto con moderazione, sarebbe tra i principali fattori di riduzione del rischio cardiovascolare.
Nulla poi di così nuovo sotto il sole. Ma gli studi su vino e salute non si fermano certo ai suoi effetti sul sistema cardiovascolare. Se digitiamo “vino e salute” su un qualunque motore di ricerca viene fuori un tale universo di dati che non basterebbe una vita per visionarlo tutto.
Sia chiaro: io non intendo assolutamente denigrare l’operato di nessuno, e ritengo sia giusto che ognuno faccia il suo mestiere. Anzi, mi piace ancora credere che i risultati delle ricerche scientifiche sugli effetti benefici del vino abbiano un fondo di verità. La mia convinzione, però, è che il voler a tutti i costi trovare un alibi salutista per il consumo del vino rischia di rivelarsi, in questo periodo storico, un’attività del tutto controproducente.
Sono circa 25 anni che accompagno i miei pasti giornalieri con uno o due calici di vino e, se proprio dovessi convincere qualcuno a fare altrettanto, credo che userei altri riferimenti, decisamente non salutistici. Quali?
Il vino una bevanda naturale, poichè espressione del sinergico connubio Uomo-Natura”. Sì, perché la trasformazione dell’uva in vino, è tradizionalmente considerata come un’estensione dell’attività agricola stessa: il “vignaiolo”, nell’accezione veronelliana del termine, è colui che coltiva la vigna e vinifica direttamente le uve vendemmiate. Una bevanda di grande identificazione territoriale ed umana, dunque, e che non è mai uguale a se stessa (nemmeno la birra, già nota ai Sumeri e agli antichi Egizi, può vantare questa caratteristica).
E’ una bevanda viva, con una sua propria evoluzione biologica. Il parallelismo tra uomo e vino è davvero suggestivo. Parafrasando Charles Baudelaire: il vino assomiglia all’uomo.
E’ una bevanda ancestrale: come ha scritto qualcuno, la storia del vino è la storia stessa dell’umanità. Gli storici, sulla base degli ultimi ritrovamenti, sono ormai concordi nell’affermare che il vino è stato prodotto per la prima volta, forse casualmente, tra 9 e 10.000 anni fa nella zona del Caucaso. E se dopo quasi 10 millenni continuiamo ancora a berlo e ad apprezzarlo, vuol dire che qualcosa di buono deve pur esserci. Nessun’altra bevanda su questo pianeta può con certezza vantare lo stesso livello di simbologia e mitizzazione.
Come poche altre bevande al mondo, costituisce uno straordinario e sorprendente universo sensoriale-culturale, in grado, parafrasando Hemingway, di offrire un’ampia scelta di gioia e soddisfazione. E’ quasi sempre un gran bel bere, con un nonsochè di magico, denso di civiltà e profondità. Hugh Johnson parla del vino come di una vera e propria ”forma d’arte”.
Qualunque cibo abbiamo davanti a noi, ci sarà sempre, almeno un vino, in grado di “sposarsi” con esso e regalarci così esperienze sensoriali sempre nuove ed emozionanti. L’abbinamento cibo-vino, magica alchimia tra caratteri organolettici,
costituisce ancor oggi un’affascinante materia di studio da parte degli addetti ai lavori. Diversi gli approcci e i metodi. Sicuramente una via di mezzo tra arte e scienza.
Tradizionalmente il vino è anche un alimento e, come ricordava il noto nutrizionista Carlo Cannella (scomparso nel 2011) in una breve intervista sul web, “tutte le volte che ad un alimento si danno proprietà terapeutiche si sbaglia, e chi decanta le proprietà benefiche e terapeutiche del vino, che è innanzitutto un alimento, alla lunga fa più male che bene al settore”. Per quanto io sia da sempre, a grandi linee, d’accordo con questa impostazione, bisogna anche ammettere che pensare al vino soprattutto come alimento è cosa di altri tempi e di altri contesti socio-economici. Colin Campbell, nutrizionista statunitense: “lo sviluppo dell’edonismo moderno risiede nello spostamento dell’interesse primario dalle sensazioni alle emozioni”.
E’ vero che nel vino troviamo, seguendo il ragionamento del professore Cannella, componenti benefici come antiossidanti, immuno-stimolanti, vitamine, sali minerali e tanto altro ancora, ma troviamo, prima di tutto, l’alcool, che di certo salutare non è. E lo troviamo in quantità non indifferente (mediamente non al di sotto del 11-12% di titolo alcolometrico volumico). E sebbene tutti gli studi scientifici raccomandino sempre un moderato consumo di vino, il rischio che qualcuno, sulla base del monito “il vino fa bene”, sia indotto ad abusarne è sempre dietro l’angolo. E’ preferibile dunque, se si vuol davvero promuovere il consumo del nettare di Bacco in questo periodo storico, spostare l’approccio analitico da un ambito di tipo salutistico-nutrizionale ad uno decisamente edonistico-culturale.
Beviamo, dunque, tranquillamente, quel calice di vino, sempre accompagnato al cibo, non perché dobbiamo per forza pensare ad esso come ad una pozione medicamentosa, ma semplicemente per apprezzare al meglio la buona tavola, per “giocare” con il suo abbinamento con i piatti e, soprattutto, per goderci quella calda atmosfera conviviale che solo il vino, fin dalla notte dei tempi, sa infondere. Salute!
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