Il Vinitaly ha chiuso l’edizione numero 56 registrando quasi centomila presenze, l’aumento degli operatori esteri provenienti da 140 paesi e ormai a quota 30.070 (31% sul totale), di cui 1200 top buyer (+20% sul 2023) da 65 nazioni selezionati, invitati e ospitati da Veronafiere in collaborazione con l’Ice. Bilancio positivo anche per Vinitaly Plus, la piattaforma di matching tra domanda e offerta con 20mila appuntamenti business, raddoppiati in questa edizione, e per il fuori salone Vinitaly and the city, che ha superato le 50mila degustazioni (+11%).
Ma non è solo il trionfo dei numeri snocciolati dal comunicato finale che mi preme riportare, quando qualche considerazione di chi, come me, ha collezionato quasi trenta edizioniessendomi affacciato a Verona nel 1994, quando, pensate un po’, a Vicenza si celebrava il Salone del Novello organizzato dall’indimenticabile Pino Kahil e nella sala stampa c’erano le macchine da scrivere e i telefoni fissi. Ne scrivo perchè già da quella data si è cominciato a parlare di Vinitaly in crisi, e allora il mondo del vino non aveva ancora conosciuto la sua Babele provocata dai blog e dai social, non esisteva così forte la campagna anti alcol finanziata dalle multinazionali delle bibite gasate che fanno lobby a Bruxelles e usano i politici come pupazzi a loro piacimento
Ci fu un momento in cui l’Unione Italiana Vini puntò al Mi Wine a Milano per cercare di spostare l’asse fieristico del primo prodotto del nostro agroalimentare in LOmbardia, un altro in cui arrivarono i piemontesi con il Salone del Vino, poi la concorrenza di Bordeaux, del Prowein. Insomma gli attacchi sono stati notevoli, la stessa Merano ormai è una piccola Vinitaly per la confusione e la decisione, tutta italiana, di puntare sempre e solo sui numeri.
Il Vinitaly invece è restato saldo come punto di riferimento. Un po’ come la democrazia, di cui tutti parlano male salvo poi ad accorgersi che non ci sono sistemi migliori .
Paradossalmente, apro parentesi, gli unici che possono mettere in crisi il Vinitaly sono solo gli albergatori veronesi che ormai aumentano il costo per notte in questi giorni oltre ogni limite senza del resto migliorare i servizi.
Ma anche questo è un vizio tipico del commercio italiano. Un mio amico ha dovuto disdire la camera e mi raccontava soddisfatto che gli avevano rimborsato i 180 euro che aveva anticipato. Salvo poi a dirmi che la stessa camera era stata rivenduta a 400 ad un suo conoscente in pochi minuti.
Ma adesso entriamo in medias res.
Perchè il Vinitaly non potrà mai andare in crisi e ogni anno smentisce nefaste previsioni?
Il motivo è semplice: perchè è l’unica manifestazione che riesce a rappresentare il mondo del vino italiano nel suo complesso. Un mondo che dopo la crisi del metanolo del 1986 ha investito in ricerca, in design, nell’export, nella formazione, nella opportunità di lavoro per giovani e donne e se le campagne italiane si sono modernizzate reggendo la sfida della globalizzazione è proprio grazie a quesya spinta corale, straordinaria, unanime da Nord a Sud che pochi altri settori produttivi possono vantare. Perchè è anche diventato un modello per altri prodotti dell’agroalimentare, a cominciare dall’olio d’oliva passando per ogni cosa. E il Vinitaly ha accompagnato questo processo investendo a sua volta curando l’internazionalizzazione, migliorando i servizi, aprendosi alle tendenze senza ideologismi.
Queste sono motivazioni strutturali dalle quali non si può prescindere e che difficilmente potranno cambiare nel breve periodo. Milano è più comoda? Sicuramente, ma quanto è molto più bella Verona? Quanto è più suggestivo farlo nella regione prima in export del vino con una quota del 36% che ha letteralmente il vino nel sangue, con territori da visitare dalla Valpolicella al Lago di Garda, sino ai Colli Berici? Quanto piace di più, soprattutto ai più giovani, affolare le notti scaligere in piazze e stradine mozzafiato?
Questi valori, per un prodotto culturale e non più solo alimentare, alla fine fanno la differenza e, per fortuna, per noi italiani sono ancora preponderanti nella scelta.
Il Vinitaly è una sorta di Concilio Vaticano del vino che si rinnova ogni anno, niente e nessuno ti offre la possibilità di fare il punto della situazione live come questa kermesse. Ma il tema vero, di fondo, è che nessuna manifestazione come questa riesce a rappresentare da sempre l’Italia che funziona, ottimista, che guarda al futuro grazie agli investimenti nel capitale umano, alla resilienza del sistema familiare che è lo scheletro su cui si regge il mondo del vino nel nostro Paese. Anche nei momenti peggiori (ricordo quello del 2002 dopo le Torri Gemelle o quelli del 2008 e 2009), qui si è sempre respirato positivo.
L’ossigeno di cui tutti abbiamo bisogno, almeno una volta l’anno.
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