Vinitaly 2010. Dall’etilometro allo stand di Slow Food: il bilancio finale

Pubblicato in: Documento

Contrazione dei consumi di vino e ambiente. Tutto quello che è emerso a Verona

 di Monica Piscitelli

92 mila metri quadri di estensione, 4200 espositori, 150 mila visitatori previsti da 100 paesi diversi. Il 44esimo Vinitaly, hanno annunciato da Verona, si è chiuso con un bilancio positivo. La notizia proveniente da una delle più importanti kermesse d’Europa ha prodotto un “effetto benessere” tra gli addetti al settore.

Ettore Riello, presidente di Veronafiere, nell’analizzare l’andamento dei primi mesi del 2010, dopo il buio 2009, aveva detto durante l’inaugurazione della Fiera “il sistema vino e’ solido e regge ma che la ripresa e’ a macchia di leopardo”.

Tra le molte bottiglie e incontri, il Vinitaly ha offerto agli operatori un’abbuffata di dati che mettono a fuoco aspetti di dettagli e diinsieme della delicata fase attraversata dal prodotto vino e dalla agricoltura in generale.

Numerosi sono stati i convegni per la presentazione indagini e iniziative che cavalcano temi che costituiscono la nuova frontiera del dibattito tra addetti al settore. In particolare due: il bere consapevole con l’emergere di nuovi stili di consumo e l’ambiente.

 Bere consapevole. Come ti combatto l’etilometro

L’invito al consumo moderato del vino e’ stato uno dei leit motiv del Salone. Anche il Ministro Zaia nel suo intervento a Vinitaly ha detto la sua, ricordando che la maggior parte degli incidenti stradali non sono provocati dall’uso eccessivo di alcol.  Sicuramente, si è detto, non è il vino il primo da chiamare sul banco degli imputati, quanto i superalcolici o magari  sostanze di altra natura.

“Difendere il vino non e’ solo un valore economico ma anche una difesa dell’identita’ nazionale” ha detto il Ministro guadagnandosi notevoli applausi, dimostrando di convincere di più sul vino e sugli Ogm che sugli ingredienti per panini. Come non dargli ragione, del resto?

Dopo il Vinitaly dei veleni, l’edizione 2010 passerà alla storia per la presenza del Presidente della Repubblica.

Il messaggio a favore della difesa istituzionale del vino tricolore arriva, così, dritto al cuore della opinione pubblica.

In effetti, desta preoccupazione, anche se non è una questione nuova la contrazione dei consumi. Rispetto a quella fuori casa, è emerso dai dati presentati al Vinitaly, si parla di un meno 30%. Colpa delle vacche magre degli ultimi anni ma anche del terrorismo da etilometro.

Gli italiani non rinunciano al vino di qualità ma, alla ricerca di un prezzo più vantaggioso, ne conseguono le bottiglie sempre più spesso, ricorrendo alle catene della Grande Distribuzione, con ciò esercitando una pressione importante nella direzione di un contenimento dei prezzi che è già in corso.

Le vendite di vino di qualità sul mercato italiano, attraverso le catene, ha registrato, nel 2009, una ripresa rispetto alla flessione del 2008, come rilevato dalla ricerca di Iri Infoscan. Tengono meglio degli altri.

Se il totale del vino confezionato (vino da tavola, brik, vino a denominazione, etc.), recita la ricerca, fa registrare un piccolo aumento dello 0,1% in volume (comunque significativo rispetto al -2,5% del 2008), l’aumento delle vendite di vino a denominazione d’origine (doc, docg, igt) è impetuoso: + 3,9% le bottiglie da un litro, + 3,5% quelle sotto i 5 euro, e addirittura + 8,5% quelle sopra i 5 euro.

Dopo un periodo di crescita positiva tra il 2006 e il 2008 (+1,2% nel 2007 rispetto al 2006, +3,1% nel 2008 sul 2007), dicono i dati Vinitaly/Partesa–Acqua Market Research, nel 2009, il consumo di vino fuori casa ha messo a segno un -5,2% sull’anno precedente.

La flessione generale, tuttavia, si precisa, non è esclusiva del mercato del vino, ma ha riguardato tutto il comparto beverage, infatti anche i consumi fuori casa di birra, bibite, acqua, liquori, succhi e aperitivi hanno registrato una leggera contrazione.

La contrazione dei consumi non lascia più inermi, ma anzi comincia a stimolare la creatività di aziende, ristoratori e associazioni. Due i fronti della battaglia: il portafogli e la lotta alla mistificazione del vino.

Mentre alcune cantine danno prova di ingegno proponendo le bottiglie in formati che costituiscano una dose più consona (come quelle da mezzo litro da consumare in due persone, quella da litro da consumare in quattro e quella da 1,5 l per sei), altre aziende arrivano, per un numero limitato di produzioni, a proporre la dose – bicchiere (la confezione da 100 ml di Oneglass fa riferimento alla capacità di coniugare la qualità al bere senza rischi), dal Nord Europa, più semplicemente, si ribadisce la validità del rimedio della nonna, il “guidatore designato”: a turno in una comitiva qualcuno si assume l’onere di portare tutti a casa passando la serata senza bere.

I ristoratori, dal canto loro, scendono in campo a favore del bere consapevole e in difesa della carta dei vini.

E’ sempre piu’ frequente, infatti, il ricorso alla proposta di vino al bicchiere con il supporto di macchine che ne conservano a lungo tutte le caratteristiche organolettiche. Gli chef, anche loro, sembrano essersi convinti che sia un modo divertente per abbinare ad ogni portata un’etichetta diversa senza necessariamente ordinare un’intera bottiglia.

Il vino è socialità, stare insieme. Su questa linea un’altra proposta che in alcuni locali italiani si sta già sperimentando: il “bottle sharing”.

In questo caso al ristoratore o al sommelier è richiesta una capacità addizionale: saper individuare profili di clienti simili, i cui gusto convergano su una determinata etichetta e che possano, di fatto, dividersi una bottiglia anche se seduti a tavoli diversi.

Appare ormai sempre più chiaro che per coloro che hanno interesse a sostenere e favorire il consumo di vino, le uniche note da toccare sono quelle del bere moderato e consapevole. Si accompagna per mano il cliente a vincere la psicosi da controlli. Anche l’Associazione Italiana Sommelier ha fatto la sua mossa e ha presentato al Vinitaly “Portami via”, iniziativa con il quale l’A.I.S. si propone come garante e motore dell’iniziativa Buta Stupa (www.butastupa.net) lanciata un paio di anni fa. Il termine “buta stupa” , infatti, deriva dal dialetto piemontese e significa, appunto,  “bottiglia tappata”.  L’idea è semplice: uscire da ristorante con la bottiglia consumata solo in parte. Insomma: avete paura dei controlli di polizia? Vi rincresce di lasciare a tavola una bottiglia costata tanti soldi? Vorreste portarvela via, ma credete non si addica allo stile del locale o a quello vostro?

Nessun problema: non sarete voi a chiederla, la vostra bottiglia, ma il ristoratore a offrirvela in un elegante sacchetto. Avviene nei locali convenzionati, 150 in tutta Italia. Consultando il sito si vede che, per quanto riguarda il Sud,non c’è alcun esercizio in Campania, Calabria e Sicilia,  4 in Puglia e 1 in Basilicata.

L’Ais ha sposato l’iniziativa la ha rilanciata al Vinitaly distribuendo un elegante sacchetto nero e rosso che ha attirato la mia attenzione allo stand centrale della Associazione.

C’è, infine, chi preferisce prendere il toro per le corna e far saltare del tutto le  fondamenta di validità del metodo dei controlli basati sull’uso dell’etilometro. A riguardo l’iniziativa della vigilia del Salone del giornalista Franco Ziliani sul sito Vinoalvino sposata anche da questo sito, membro dell’IGP.

Lo fa semplicemente affermando che l’etilometro non è in grado di fare quello per il quale tutti lo odiano: misurare il tasso alcolemico nel sangue. In sostanza, l’apparecchio non è affidabile nella misurazione dei valori per i quali partono le sanzioni amministrative e penali previste dalla legge vigente .

In attesa che su questa linea si facciano le necessarie verifiche, oltre ai rimedi già presi in considerazione, che per lo più incidono sulle modalità di consumo, c’è chi decide di combattere l’alcol a colpi di rimedi fitoterapici.

Citosalus, ditta di Mogliano Veneto, propone ad esempio un innovativo integratore alimentare “Equì”, ideato da Gianroberto Anelli Monti e Alessandra Cerutti, accomunati dalla esperienza in prodotti e tecniche naturali per il

Benessere. Equì, accompagnato all’acquisizione e all’uso di etilometri, favorirebbe l’eliminazione fisiologica degli alcoli e degli eccessi alimentari.

L’ambiente

Il tema del vino alleato dell’ambiente e della sostenibilità è stato un altro dei temi trasversali dell’ultimo Vinitaly.

Ha anticipato il Salone, il lancio di alcuni comunicati nel quale si sono messe in evidenza le cosiddette cantine “environmental friendly”, che vanno oltre la vitivinicoltura biologica e biodinamica e si impegnano anche per la riqualificazione del territorio e del paesaggio, che badano alla riduzione dei consumi idrici, che ricorrono alle energie rinnovabili, che si orientano alla produzione di energia attraverso le biomasse, che riducono le emissioni, che fanno uso di impianti di depurazione e praticano la raccolta differenziata. Per non parlare di quelle ideate e progettate tenendo conto del loro impatto sull’ambiente e in linea con i principi della bio-architettura o che scelgono bottiglie alleggerite, etichette e brochure in carta riciclata.

Il tema della compatibilità ambientale ha riecheggiato più volte durante il Salone.

A partire, direi, dall’allestimento nella piazza di fronte all’ingresso Cangrande che, con l’uso di fiori e cassette da frutta, rievocava un minimo un’atmosfera agreste.

Alcuni espositori, poi, si sono cimentati nella creazione di stand ecocompatibili. Tra gli altri Slow Food che ha realizzato, forte della esperienza dell’ultimo Salone del Gusto, uno stand a basso impatto ambientale, completamente riciclabile e riutilizzabile, realizzato con materiali da fonti rinnovabili con filiere certificate e i migliori standard di basso consumo energetico. Dalla pavimentazione di legno proveniente da foreste gestite in maniera  responsabile ai materiali per gli assaggi e le degustazioni biodegradabili e compostabili, realizzati quindi in Mater-Bi e polpa di cellulosa, passando per l’arredamento della vineria composto da cassette di legno.

Di riduzione dei gas serra si è parlato nel corso di un incontro promosso da L’informatore Agrario. Dalla rivoluzione industriale ad oggi sono aumentate del 35% le emissioni di CO2 che costituisce il 77% della totalità dei gas a affetto serra. Secondo le stime (2001) dell’Intergovernamental Panel on Climate Change, di questo passo, entro il 2100, la temperatura terrestre potrebbe aumentare da 1,4 a 5,8 °C.

Sebbene il contributo al riscaldamento globale dovuto agli usi diretti e indiretti di energia nei vigneti non sia paragonabili a quelli della industria l’Organisation Internationalle de la Vigne et du Vin, istituzione intergovernativa che riunisce 44 Stati membri e tre Stati osservatori, si è attivata per la definizione di alcuni protocolli e norme ad hoc per il settore vitivinicolo.

E’ stato poi presentato l’Italian Wine Carbon Calculator, un calcolatore di emissioni di anidride carbonica e gas ad effetto serra, che sviluppato attraverso una partnership tra Istituti di ricerca e associazioni di produttori di California, Nuova Zelanda, Sud Africa e la Winemakers’ Federation of Australia (Wfa), oggi consente, con l’adattamento ai parametri italiani, di valutare l’impronta carbonica, cioè i ” sequestri” di CO2 da parte dei suoli vitati o dedicati ad altre colture giungendo a quantificare le emissioni della filiera vitivinicola aziendale o di un territorio.

Parallelamente alla gestione degli inquinanti, al Salone, poi si è sviluppato un altro tema di grande attualità e alla attenzione delle istituzioni: la produzione di agroenergia.

Con un bando emesso a febbraio, il Ministero delle Politiche Agricole finanzia la realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica o termica da biomasse. La dotazione per questa azione è di 20 milioni di euro.

Oltre che la produzione di energia- hanno precisato al Ministero, “da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, provenienti dalla parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle relative industrie di trasformazione” – le agroenergie costituiscono un’opportunità significativa, per gli agricoltori, per diversificare il loro reddito.

Per prevenire pericolose derive speculative, però, la Commissione europea ha già adottato un Rapporto, rivolto agli Stati membri che intendano introdurre specifici regimi nazionali per lo sviluppo delle biomasse, che fa divieto generalizzato di utilizzare biomassa coltivata su terreni appositamente sottratti al patrimonio forestale, su aree a elevata capacità di stoccaggio dell’anidride carbonica o a elevata biodiversità e che propone una metodologia standard per calcolare le emissioni di gas a effetto serra così da assicurare che le biomasse portino a una riduzione da emissioni di CO2.

Il tema delle energie sostenibili e dei nuovi modelli di agricoltura ad esse connessi ha avuto il suo risalto al Vinitaly, dicevo.

Nel libricino presentato al Salone, “Meglio un contadino laureato che un avvocato disoccupato”, che muove dalla rivalsa della campagna sull’industria e sulla crescente precarieta’ delle professioni, Andrea Prato, assessore all’Agricoltura della Regione Sardegna, affronta il tema in maniera molto interessante e completa. Dopo aver analizzato lo stato di crisi della agricoltura, “la peggiore dal dopoguerra ad oggi” che vede gli agricoltori, nonostante la pioggia di finanziamenti, abbandonare le terre e il territorio agricolo contrarsi (negli ultimi 40 anni, scrive l’autore, è scomparso quasi un terzo del territorio agricolo italiano, cioè ben cinque milioni di ettari), Prato propone la sua visione dell’economia italiana  a partire dall’agricoltura mettendo in guardia gli agricoltori dall’inseguire chimere di facili guadagni ottenibili proprio dalla cessione o dal fitto di terreni a società per la produzioni di energia, che sia eolica o solare.

Prato li invita ad assumere un ruolo da protagonisti in questa nuova opportunità che va valutata da caso a caso e che è diversa per le aziende piccole e grandi, dedite all’autoconsumo o professionali. L’autore conclude delineando un modello ideale di kibbutz dell’energia, nel quale una comunità di aziende sinergicamente si mette a sistema sfruttando la multifunzionalità, sia nel campo dell’energia che in quello dell’attivita’ turistica in ambito agricolo.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version