Dopo molti anni all’insegna dell’euforia, Vinitaly 2008 misura la capacità del mondo del vino italiano di far fronte alla generale depressione dei consumi, con un occhio particolare rivolto al mercato anglosassone. Da oggi sino a lunedì ritorna il più grande evento fieristico italiano dedicato al settore, che, dopo aver confermato nel 2007 la sua leadership mondiale, apre le porte a 150.000 operatori professionali, dei quali il 30 per cento stranieri provenienti da oltre 100 Paesi dei cinque continenti.L’edizione numero 42 presenta l’ennesimo superamento dei record segnati negli anni precedenti, con 4.300 espositori, su una superficie di 87.000 metri quadrati. Almeno trenta i paesi impegnati. L’Ente Fiera, presieduto da Luigi Castelletti, registra con soddisfazione la conferma della quasi totalità delle aziende e rende noto l’indice di gradimento degli espositori, ormai vicino al 100 per cento. Un buon risultato dopo le polemiche alla fine degli anni ’90 che portarono alla nascita del Salone del Vino a Torino e di Miwine a Milano come tentativi, poi rientrati, di creare una fiera generalista alternativa a Verona. Oltre alle presenze ormai consolidate di Australia, Stati Uniti, Spagna, Francia, Portogallo, Sud Africa, tra i nuovi espositori esteri si registra quest’anno la presenza di Israele e della Polonia.Dietro i numeri positivi della Fiera tira però aria difficile nelle aziende a causa di una costante pressione della domanda sui prezzi dell’offerta, un fenomento inarrestabile che ha messo con le spalle al muro chi pensava di fare soldi rapidamente come è avvenuto nel decennio scorso. Le crisi dunque come momento di verità: i consumatori sono disposti a pagare più di 10 euro unicamente quelle bottiglie capaci di esprimere storia e territorio, si va oltre i 20 solo in presenza di vini cult. Altrimenti si chiedono vini a buon rapporto fra qualità e prezzo, sotto i 10 euro per capirci.Su questo terreno il Sud sta giocando una partita delicata ma esaltante: la sua biodiversità conservata più per inerzia che per merito, la capacità di operare comunque a costi più contenuti rispetto al Nord, la poliedricità dell’offerta, la tradizione di alcuni vitigni valorizzati dai produttori come l’Aglianico, il Gaglioppo, il Fiano e il Greco, gli consentono da un lato di presentare bottiglie-evento, dall’altro di competere sul mercato cosiddetto quotidiano, come dimostra la vicenda della Falanghina che, secondo gli ultimi dati, è uno dei bianchi più diffuso nella Grande Distribuzione.Per il presidente di Fedagri-Confcooperative Paolo Bruni la cooperazione gioca un ruolo da protagonista nel mondo del vino italiano, rappresentando il 60% del totale prodotto in Italia e esportando all’estero il 40% della sua produzione: «è la dimensione aziendale – dice – il fattore di crescita e di successo cruciale, sul quale occorrerà puntare anche nei prossimi anni, alla luce di una OCM Vino che entrerà in vigore già dalla prossima vendemmia e che sicuramente toglierà risorse al tessuto imprenditoriale delle microimprese».Le aziende meridionali sono ricercate dai buyer per due motivi fondamentali: il primo è l’offerta di prodotti caratteristici e irripetibili a buon prezzo, ed è questo l’aspetto principale, spesso dimenticato dalla critica neopauperistica che invoca il ritorno ai vini puzzolenti, acidi e spigolosi in nome di una non meglio idendificata tipicità che non può esistere se non in zone dove c’è pratica consolidata di produzione e commercio (Greco di Tufo, Cirò, Vulture e Biancolella per restare al Sud). Il secondo motivo è la scoperta continua di piccoli grandi capolavori enologici capaci di competere nelle degustazioni coperte con grandi marchi internazionali affermati.In questo discorso mancano ancora alla stragrande maggioranza delle cantine del Sud due fattori di stabilità e su questi si gioca il futuro della campagna meridionale: la capacità di specializzarsi attraverso la zonazione, ossia piantare le uve ai suoli adatti e non ovunque, e la necessità di avere memoria aziendale con le annate di bianchi e di rossi sempre disponibili. La sfida del Vinitaly, cioé del mercato globale, non può che essere la specializzazione, l’unicità di un’offerta altrove irripetibile. Come un Taurasi del 1997 per capirci.
Pubblicato sul Mattino, 3 aprile 2008
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