di Raffaele Mosca
Nella cornice di Ozio, ristorante – cocktail bar, con vista mozzafiato sulla capitale, Cantina Bolzano ha presentato la sua selezione “summer ‘23”: un quartetto di vini freschi, agili – ma non scontati – per aperitivi e cene “pied dans l’eau” ( o in aria condizionata, se siete bloccati in città!).
L’ azienda ha bisogno di poche presentazioni: è la cooperativa più vicina al centro del capoluogo altoatesino (circa 3,5 km). Conta al suo interno circa 140 soci che gestiscono più o meno 250 ettari. La particolarità sta nell’assetto produttivo: in un territorio oramai a vocazione prettamente bianchista – anche se un tempo fungeva da serbatoio di uve rosse per l’impero austroungarico – produce ancora un quantitativo consistente di vino rosso (circa 50% del totale), principalmente da uve Schiava con la denominazione Sanct Magdalener, ma anche Lagrein e vitigni internazionali.
Sarebbe giusto, però, parlare di “bianco vestito di rosso”, perché la Schiava – o Vernatsch, come la chiamano da quelle parti – ha meno struttura, meno ricchezza, anche meno alcol rispetto ai bianchi aziendali. Moar 2022 versione top di gamma, prodotta da vigneti che arrivano ai 70 di età, da il meglio di se quando è servita a 12-13 gradi, su bresaola, carpacci di manzo o tataki di tonno. È un vino rustico, leggiadro, selvatico e fragrante di bacche nere al naso; spensierato, con acidità discreta e tannino quasi impalpabile, chiude giustino un pelino amarognolo.
In confronto, il Sauvignon Mock 2022, sembra quasi un bodybuilder: i 14 gradi e rotti sono chiaro riflesso di un’annata bollente. Dispensa i profumo classici del vitigno: bosso, mughetto, pompelmo e pietra focaia con un fondo più dolce di melone maturo e giusto un pizzico di passion fruit. Scatena un dibattito sul futuro dei vini altoatesini: la freschezza e la longevità sono solo un lontano ricordo? Struttura, pienezza e capacità di reggere piatti importanti compenseranno lo slancio moderato dei bianchi bolzanini nell’epoca della crisi climatica? Difficile rispondere, perché, in effetti, questo vino ha le credenziali acide per non apparire pesante, anche se lo spessore, la ricchezza e la carnosità dello sviluppo sono abbastanza insolite per il vitigno e per la zona di provenienza. Non è detto che non evolva bene nell’arco di qualche anno, ma ha meno bisogno di essere aspettato dei vini di dieci o quindici anni fa. “ Meglio così – ci confessa Daniele Galler, responsabile commerciale dell’azienda – noi vogliamo che i vini vengano bevuti!”
Discorso diverso per lo Chardonnay Stegher 2020, un bianco barricato nato in ritardo, ovvero nel 2011, e che, forse proprio per questo, rinuncia allo stile “vaniglia e caramello” per rivelare una cifra stilistica finissima, frutto anche di un’annata più equilibrata. Mentolo e tiglio vincono sul burro; zenzero e iodio tengono a bada il frutto. È solare, ma anche tonico e slanciato, senza eccessi di cremosità, anzi con tempra austro-germanica, evidenziata anche dal lungo finale balsamico.
Si chiude con il Gewurztraminer Klenstein 2020: una proposta quasi “esotica” per il sottoscritto, visto che di solito gli altoatesini li tengono sotto il tavolo, conoscendo bene lo snobbismo degli addetti al settore nei confronti della tipologia. Qui siamo a nord della zona di Termeno – la più importante per il vitigno – e il vino ha un pizzico di finezza in più rispetto al solito: litchi, acqua di rose e spezie dolci fanno il paio con una leggera vena vegetale. È classico, ma non sfacciatamente aromatico, anzi garbato, con finale tipicamente ammandorlato. Abbinarlo é meno difficile di quanto si possa pensare: basta un carpaccio marinato agli agrumi ( o ceviche che si voglia dire…).
Nel complesso, una bella quaterna che riafferma l’appeal inossidabile del vino altoatesino: le “kellerei” da Termeno in su continuano ad andare benissimo sul mercato, noncuranti delle mode, e la ragione sta nel fatto che, nel 99% dei casi, ciò che si trova nel bicchiere è perfettamente in linea con le aspettative. Prosit!
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