Lo chiama «il risorgimento dell’Orvieto». È entusiasta Vincenzo Cecci, il presidente del Consorzio Tutela vini Orvieto, quando commenta il fermento intorno al processo di rilancio di questo vitigno storico. E per sancire il momento di passaggio, è stata posta simbolicamente anche la prima pietra di questo nuovo inizio, un’opera che campeggia lungo via Duomo sul muro dello storico Palazzo Gualtiero, realizzata da artisti locali, e salutata con favore dalla stampa italiana e internazionale. Legno e bucchero, un materiale, quest’ultimo, caro agli dei, un’argilla cotta in assenza di ossigeno con cui si realizzavano i primi contenitori per il vino.
Una tradizione che diventa arte celebrativa in una sorta di benedizione alla quale non si è sottratto neanche San Patrizio al quale è dedicato il famoso Pozzo, voluto da Papa Clemente VII, e all’interno del quale si è celebrata la degustazione delle migliori etichette raccolte sotto l’egida del Consorzio Vini Orvieto. Un viaggio al centro della terra, giù per 248 gradini, alla ricerca di un patto tra passato e presente che, archiviate le ataviche divisioni di una città storicamente spaccata, vuole scrivere una nuova storia. C’è un obiettivo, oggi. C’è una data orientativa. «Nel 2020 – racconta Riccardo Cotarella, presidente del Comitato scientifico di Orvieto diVino – vogliamo ottenere l’autorizzazione per disciplinare la produzione dello spumante dall’Orvieto».
Uno spumante, un Metodo Martinotti, sotto la direzione tecnico scientifica di Riccardo Cotarella che questa volta gioca in casa, nella sua città, nella sua terra, dove la sfida è forse ancora più coinvolgente dal punto di vista emotivo, e un progetto ambizioso che rientra nella filosofia di riscatto di una intera denominazione.
Presidente Cecci, è iniziato un nuovo ciclo per il Consorzio?
Vogliamo alzare l’asticella. Abbiamo iniziato diminuendo la resa per ettaro e nel 2018 siamo passati da 110 a 75 quintali per ettaro, per provare a bilanciare quella che è la produzione con quello che il mercato riesce ad assorbire a dei prezzi adeguati. Vogliamo posizionarlo alle quotazioni che merita. Ci viene riconosciuta una qualità elevata, abbiamo un Consorzio in cui ci sono aziende blasonate e grandi cooperative, abbiamo un territorio unico tra storia e tradizione. Sì, è iniziato un nuovo corso con un approccio scientifico che punta al grande rilancio. È stato costituito un Comitato scientifico presieduto da Riccardo Cotarella con alcuni tra i più grandi comunicatori italiani, per rilanciare l’immagine della nostra denominazione, la cui zona di produzione è stata definita nel 1931per, poi, vedere il riconoscimento della Doc Orvieto nel 1958. Negli anni ’70 è nato il Consorzio, con una ventina di azienda tra le più storiche fino alle cantine cooperative. Oggi rappresenta il 95% della produzione e ogni anno registra la vinificazione di 100mila ettolitri con la commercializzazione di 12 milioni di bottiglie. Oggi contiamo 33 cantine di cui 23 in zona di produzione e una decina al di fuori.
Chi ama più l’Orvieto?
In Europa rispondono molto bene i mercati della Germania e del Regno Unito dove l’Orvieto ha grandi fette di mercato; oltre oceano Stati Uniti e Canada. Chi commercializza l’orvieto sono aziende strutturate con importanti reti commerciali che fanno da apripista anche per i più piccoli.
Ricerca e sperimentazione. Quali i progetti in corso?
Due Università, la Tuscia e quella di Milano, due importanti riferimenti, Riccardo Cotarella per la prima e Attilio Scienza per la seconda. Nel 2018 è stata fatta una sperimentazione sul clone progamico T34 che è il biotipo del trebbiano selezionato prendendo le uve da vigneti che insistevano su quattro terroir diversi, – vulcanico, alluvionale, sabbioso e argilloso – per capire che tipo di risposta ci fosse. E che impatto avesse il terreno sulla produzione. È stata realizzata una zonazione dei terreni grazie al contributo di Alessandro Masnaghetti e su questa mappa abbiamo fondato la sperimentazione del clone per verificare se sia possibile avere dei sotto cru di Orvieto. E con Attilio Scienza si sta implementando quella zonazione con l’utilizzo di droni.
Poi, c’è il progetto della spumantizzazione con l’uvaggio dell’Orvieto. Un percorso lungo, ma noi ci crediamo.
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