di Fabio Panci
La scelta di inserire questa bottiglia, questa azienda e soprattutto parlare della zona da cui essa proviene nasce alcuni anni fa durante una lezione del secondo livello del corso sommelier organizzato dall’AIS. Il relatore (sinceramente non ricordo il suo nome, dovrei andare a recuperarlo nei miei “appunti di apprendista sommelier”, ma sinceramente poco importa) durante la spiegazione della regione vitivinicola Piemonte dedicò oltre il 98% del tempo a parlare delle Langhe, dei suoi alfieri Barolo e Barbaresco, Barbera e Dolcetto e dei suoi meravigliosi paesaggi siti sulla sponda destra del Tanaro. Il restante 2% fu lasciato ai “cosiddetti parenti poveri”, quelli per capirsi siti sulla sponda sinistra, nella fattispecie il Roero (dimenticando tra l’altro altre culle vitivinicole quali il Monferrato, le colline novaresi e vercellesi, l’astigiano, il tortonese. A pensarci bene come relatore non era proprio il massimo…)
Sarà che la mia grande passione per il mondo sportivo, con una particolare predilezione per gli sport di squadra statunitensi, mi ha sempre portato a tifare non per la franchigia blasonata ma sovente per il cosiddetto “underdog” (la squadra sfavorita, sottovalutata, neanche presa in considerazione dai bookmakers). Ed il Roero (come zona vitivinicola), i suoi vini (nebbiolo, barbera, arneis) ricadono perfettamente (sperando che nessuno si offenda ovviamente) in questa categoria.
Ecco dunque perché è il Roero dell’azienda Matteo Correggia il vino nudo e crudo del mese di Novembre. L’Azienda porta il nome di un vero precursore, un appassionato, un punto di riferimento per l’intera zona (purtroppo prematuramente scomparso) a cui tutti gli innamorati del vino non possono non rendere omaggio ogni qual volta si ha il piacere di aprire una delle sue bottiglie.
Un rosso rubino estremamente scarico, una parte olfattiva ancora timida, riservata, con davvero poca intenzione di concedersi sono le prime due carte messe sul tavolo da questo nebbiolo “riva sinistra del Tanaro”. La beva si mantiene anch’essa austera, un po’ schiva, di non facile approccio almeno inizialmente. Segue poi una bella acidità, un tannino educatissimo, una struttura importante ma non stancante. Insomma viene fuori l’anima di questo vino, fatta di classe innata, profondità, consapevolezza, regalità senza dimenticare la caratteristica di piacevolezza, chiara e lampante dopo ogni sorso. Se dovessi riassumere il tutto in un solo termine utilizzerei “essenziale”.
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