di Francesco Raguni
In occasione dell’ultima settimana dell’Ottobrata, manifestazione eno-gastronomica che per tutto il mese di ottobre riempie le piazze e le strade di Zafferana Etnea, piccolo paesino in provincia di Catania, si è tenuto un laboratorio che ha messo a confronto due realtà enologiche italiane. Da un lato l’Etna, con il nerello mascalese e gli affascinanti rossi a cui dà vita, dall’altro le Langhe, con il nebbiolo e uno dei vini simboli dell’Italia nel mondo, il Barolo.
“La Sicilia è una terra meravigliosa e l’Etna sta dando prova di essere una grande meta scelta da turisti e viaggiatori del gusto è ovvio che le affinità tra i nostri due territori non sono moltissime e le distanze considerevoli ma in un’ottica di promozione e di sviluppo progettuale si potrebbe dare vita ad uno straordinario gemellaggio che porterebbe grandi benefici ad entrambi” ha dichiarato il Sindaco di Barolo, Fulvio Mazzocchi, collegato da remoto.
E così si è parlato sia della rapida ascesa che sta vivendo, dal punto di vista enologico, il territorio etneo, sia della storia che – ancora oggi – rappresenta il Barolo. Non a caso questa denominazione è tra le pochissime che possono competere con i grandi vini di Bordeaux: la sua nascita, la sua evoluzione nella storia, i Barolo Boys, il Barolo da vedere sia come un grande vino da invecchiamento, sia come un prodotto da bere nel breve periodo. Proprio sulla questione temporale si può trovare un elemento di contatto con l’Etna, che sta cercando di elevarsi sempre più, producendo non solo rossi di pronta beva, ma anche etichette capaci di fronteggiare il decorso del tempo.
Le cantine che sono state presenti al laboratorio post conferenza sono state Grottafumata (Zafferana Etnea), Pietrardita (Biancavilla) Giuseppe Lazzaro (Milo) per quanto riguarda l’Etna, Trediberri (La Morra), Gian Luca Colombo Vini (Roddi), Livia Fontana (Castiglione Falletto) per quanto riguarda Barolo. Il tutto è stato guidato dall’ONAV Catania.
“Abbiamo condiviso una veloce incursione nel paesaggio dei sapori di Etna e Barolo, cercando di fare nostro quell’atteggiamento esplorativo che anima l’interesse più genuino di molti appassionati, e provando a concepire la territorialità dei vini non come un recinto prestabilito e definito una volta per tutte, ma come un campo di indagine sempre aperto a nuove riformulazioni, suggerite tanto dalle profonde trasformazioni ambientali, quanto dalla sensibilità interpretativa dei vignaioli più accurati e capaci di rimettersi in discussione” ha affermato Giampaolo Gravina, scrittore e docente dell’Università di Pollenzo, nonché moderatore del laboratorio.
I territori, seppur nettamente differenti, hanno una loro identità ben distinta. L’Etna, il vulcano che guarda al mare, dove la fillossera non è riuscita ad imporre la sua egemonia, con il suolo estremamente variegato, si contrappone alla Langa, paesaggio per definizione tipico del Piemonte, le cui vigne coprono le colline dei romanzi di Pavese, offrendo terreno fertile ad una delle uve più “capricciose” al mondo, il Nebbiolo. Ad oggi un punto di contatto tra i due è certamente nel binomio contrada – vigna, quindi la valorizzazione della biodiversità di una singola sottozona.
Via, dunque, alla disamina dei vini al calice. I rossi etnei assaggiati provengono tutti principalmente dal versante Sud dell’Etna, salvo Russucori di Lazzaro che è figlio del matrimonio tra le uve del versante Nord in contrada Crasà e Pirao e le uve del versante Est in Praino. Interessante, inoltre, la presenza di un 5% di uve a bacca bianca in Lahar, il rosso di Pietrardita, che produce il suo vino come si faceva una volta. Fiori e frutta sono le dominanti comuni al calice, con un tannino più smussato solo nel caso di Lato Sud di Grottafumata (vino che fa, tra l’altro, 10 giorni di macerazione sulle bucce).
I Baroli – invece – si presentano in maniera più corale. Al naso spicca immediatamente in tutti e tre una nota travolgente di marmellata di frutti rossi, che solo nel caso della bottiglia firmata Colombo, cede il passo ad un ricco bouquet di terziari e delle note balsamiche. Ben marcata invece la sapidità del Barolo di Trediberri, le cui uve provengono da una delle vigne più alte del disciplinare, collocate a 400 metri di altezza. In bocca il tannino è presente, ma non è troppo aggressivo, a riprova di come il Barolo stia cambiando, dimostrandosi capace d’essere perfettamente godibile anche poco dopo che è entrato in commercio con la sua annata più recente.
In conclusione, la domanda che sorge spontanea è: quanto di questo potenziale evolutivo è riuscita a raggiungere – ad oggi – l’Etna? Dove arriverà un domani? In questo parallelismo emergono due. rette: una già infinita ed un’altra che corre per inseguirla, a buon ritmo, ma che ancora non l’ha raggiunta. Certamente ancora è presto per metterli sullo stesso piano: solo gli anni a venire potranno rendere risposta a chi si chiede se il nerello può fornire gli stessi grandi prodotti che fornisce il nebbiolo.
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