Ci sono alcune frasi entrate nel senso comune che spesso diventano un rovesciamento della realtà anche se confermano come spesso ciascuno di noi ha il vizio, direi il limite, di far iniziare la storia con noi stessi. Quando sento un produttore dire, “seguo il metodo tradizionale e vinifico solo in acciaio”, posso sicuramente fargli i complimenti ma non mi pare che i romani, nel Medioevo e nell’800, ma anche nella prima mettà del ‘900 si usasse questo materiale quanto piuttosto il legno e le anfore.
Già il legno, un altro mantra italiano, dove la cultura dei vini bianchi invecchiati può vantare solo piccoli episodi isolati e non uno sforzo di ricerca collettivo e territoriale in qualche regione, è l’uso quasi esclusivo dell’acciaio nella lavorazione in bianco. E questo nonostante il fatto che il nostro paese è, secondo i dati diffusi la settimana scorsa, il primo esaportatore mondiale per volume e per valore, di vino bianco. La Campania da questo punto di vista non teme confronti, è davvero raro trovare produttori che usino il legno con i vitigni autoctoni.
Noi pensiamo che questo sia uno sbaglio, non vogliamo certo sostituirci a chi il vino lo fa, ma è indubbio che quando l’uso del legno è centrato i risultati sono più che soddisfacenti e soprattutto aiutano sui tempi lunghi. La differenza con lo chardonnay e le altre uve internazionali è che non ci sono protocolli prefissati e dunque si deve partire da zero e andare per tentativi quasi applicando il principio di falsificabilità di karl Popper. Ecco allora che questo post un po’ anomalo rispetto ai soliti propone questa piccola guida e che evidenzia come il Fiano sia particolamente vocato a queste lavorazioni. Il motivo è che si tratta di un vitigno che con il tempo evolve e non resiste come è stato dimostrato scientificamente dal team di studi del Dipartimento di Agraria diretto dal professore Moio.
Stilema Fiano di Avellino docg 2015
Mastroberardino
L’unico in cui mettiamo il millesimo perché si tratta della prima annata in commercio a cui, speriamo, ne seguano altre. In questo caso solo un 20-25% della massa viene elevato in legno e il risultato, a nostro modesto avviso, è stato davvero eccezionale.
More Maiorum Fiano di Avellino docg
Mastroberardino
L’azienda di Atripalda ha anche questa etichetta, la prima per la verità prodotta con il Fiano interamente passato in legno a partire dalla metà degli anni ’90. Secondo l’usanza degli antichi, botti grandi. Un vino che regge davvero tempi lunghissimi.
Fiano di Avellino docg Exultet, Giallo d’Arles Greco di Tufo docg e Via del Campo Falanghina Irpinia doc
Quintodecimo
I tre bianchi di Luigi Moio hanno subito conosciuto il legno per l’affinamento, pur mantenendo la vinificazione in acciaio, con alterni risultati di critica ma con assoluto successo di pubblica. Nel corso degli anni l’uso del legno è stato più parsimonioso, centrato. Sicuramente fra i tre quello che ne guadagna di più è, a nostro giudizio, l’Exultet. In ogni caso si tratta di vini che consevrano una freschezza impressionante a distanza di molti anni.
Bechar Fiano di Avellino docg e Devon Greco di Tufo docg
Antonio Caggiano
Anche il Bechar è partito con il legno, progressivamente aggiustato a favore del frutto. Il risultato, a distanza di anni, è davvero straordinario. Abbiamo appena bevuto un 2008 freco, integro, complesso, in grado di reggere qualsiasi confronto. Essendo Caggiao famoso soprattutto per i rossi (Taurasi Macchia dei Goti e Salae Domini) confessiamo di aver trascurato parecchio le sue etichette bianche.
Case Fatte Fiano Campania igt
Boccella
Una piccolissima produzione di Fiano a Castelfranci prodotto fuori dal disciplinare docg. Un bianco “naturale” che mantiene una buona polpa e bei sentori, in buon equilibrio con il legno. Pensato dall’enologo irpino Fortunato Sebastiano.
Brancato Fiano di Avellino docg
Tenuta del Cavalier Pepe
Per una produttrice di scuola francese il passaggio in legno sarebbe quasi obbligatorio, ma per il momento Milena Pepe si limita solo a questa etichetta facendola uscire con un anno di ritardo rispetto alla vendemmia. Un bel prodotto che però deve ancora trovare il punto di equilibrio.
Oi Ni Fiano di Avellino docg
Tenuta Scuotto
Un esperiemento voluto da Angelo Valentino: mettere il Fiano di Lapio in legno. Freschezza e mineralità in una cornice piacevolmente fruttata tipica di questo territorio collinare vocato al Fiano. Grande longevità.
Pietraincatenata Fiano Cilento dop
Maffini
Anche Luigi Maffini ha progressivamente alleggerito la presenza del legno uscendo con un anno di ritardo rispetto alla versione in acciaio, il Kratos. A nostro giudizio un odei migliori bianchi italiani in grado di esprimere il meglio dopo una decina danni.
Elea Greco Paestum igt
San Salvatore 1988
L’unico bianco passato in legno da Peppino Pagano. Non tutto, circa il 20% in barrique mentre il resto della massa fa acciaio. Buona frutta agrumata, speziature dolci al naso ma al palato grande verve acida e finale gratificante, sapido e amaro
Fiorduva Costa d’Amalfi Furore doc
Marisa Cuomo
Forse uno dei bianchi più conosciuti a livello nazionale, una grande successo commerciale. Qui, come nei vini di Caggiano e Maffini, abbiamo comunque la mano di Moio e anche qui abbiamo visto un progressivo diminuire del peso del legno. In ogni caso sicuramente una grende bianco, subito in equilibrio ma anche capace di reggere bene nel corso degli anni.
Vigna del Pino Falanghina dei Campi Flegrei doc
Agnanum
E la Falanghina? La sua freschezza e la sua immediatezza tengono quasi tutti lontani dal legno, ma qualche esempio c’è, come questa piccola produzione di Raffaele Moccia ad Agnano nel comune di Napoli. Buona longevità e ottimo equilibrio grazie all’uso delle botti grandi.
Strione Falanghina Campania igt
Cantine Astroni
Un tentativo di misurare le capacità della Falanghina, ingrassata sui lieviti e in parte sul legno dopo la fermentazione in acciaio. Siamo sempre nel Comune di Napoli e questa è una delle tre versioni, le altre due in acciaio, pensate da Gerardo Vernazzaro.
Facetus Falanghina doc
Fontanavecchia
Chi invece usa senza le barrique dopo la vinificazione in acciaio è l’azienda Fontanavecchia di Libero Rillo a Torrecuso nel Sannio. Anche in questo caso il vino entra in commercio un anno dopo la vendemmia e i risultati sono decisamente molto interessanti.
Sogno di Rivolta Beneventano igt
Fattoria La Rivolta
Un bel progetto di bianco è proprio costituito da questo vino composto per metà da falanghina e per metà da fiano e greco in parti uguali. Un vino, lavorato da Vincenzo Mercurio in barrique, che regala una straordinaria evoluzione dopo qualche anno. Tra i nostri preferiti.
Le Serole
Terra del Principe
Da sempre rappresenta il bianco di punta dell’azienda Terre del Principe di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli. L’unico bianco passato in legno ottenuto dal Pallagrello Bianco. Anche in questo caso una insospettabile e piacevole longevità
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