di Floriana Barone
Un percorso degustativo alla scoperta dell’Aglianico: venerdì scorso, il giornalista, enogastronomo e scrittore Luciano Pignataro ha ripercorso le tappe storiche della nascita e dello sviluppo di questo vino a bacca rossa diffuso nel Sud Italia, in una serata organizzata dall’Ais Castelli Romani nella splendida cornice del Park Hotel Villa Grazioli a Grottaferrata (Rm).
Cenni storici e caratteristiche
L’Aglianico è il vitigno rosso più importante dell’Appennino Meridionale, un vino che ha come casa principale la Campania e la Basilicata, ma che, negli ultimi tempi, è stato protagonista di un successo commerciale che ha permesso la sua diffusione nella Daunia, nelle Murge e in Molise e anche nella Calabria, precisamente nella zona Ionica. Un vino considerato spesso “un brutto anatroccolo”, che inizialmente non ha avuto una grande fortuna, con un uva difficile sia in campagna che in cantina: la vendemmia generalmente avviene anche dopo San Martino, con un grande rischio per i contadini per i costi di gestione e le numerose perturbazioni autunnali (ad eccezione di questa stagione). Costi elevati quindi e numerose difficoltà di gestione. L’Aglianico non è un vitigno prolifico: le rese sono molte basse, intorno agli 80-90 quintali per ettaro. In cantina invece il problema è la gestione tannini delle uve, spesso con note amare molto presenti,. Le zone di produzione di questo vino sono collinari e ricche di acqua, con escursioni termiche elevate e si tratta di una viticultura prevalentemente vulcanica.
L’Aglianico ha riscosso un grande successo negli anni Venti e Trenta: le zone agricole interne non hanno subito l’epidemia della fillossera e la produzione è stata intensa nel Distretto Taurasi e Barile, avvantaggiata dalla ferrovia che da Rocchetta Sant’Antonio trasportava le merci a Napoli e poi verso il Nord.
Le aziende storiche nacquero in quell’epoca. Ma con la Seconda Guerra Mondiale e l’arrivo della filossera, l’Aglianico subì uno stop di alcuni anni: tra gli anni Cinquanta e Sessanta, le aziende hanno continuato l’attività producendo tuttavia solo un vino di autoconsumo destinato alle famiglie contadine. All’inizio degli anni Novanta, con il ribasso del prezzo dell’uva, molti produttori iniziarono a trasformare il prodotto e nacquero nuove aziende, in parallelo a un movimento virtuoso che avviò uno studio specifico sull’Aglianico con una scuola e un corso di laurea in Enologia, spinta dal Luigi Moio a Taurasi, che lavorò anche per l’introduzione della barrique.
Le etichette selezionate da Luciano Pignataro
I primi tre vini di questo percorso degustativo a livello geografico fanno parte dell’Aglianico “del caldo”, gli ultimi tre invece di quello “del freddo”. In comune hanno una marcata nota amata, non risultano esaltanti dal punto di vista olfattivo, ma hanno una buona longevità e un interessante pregio: rinfrescano il palato e pertanto si abbinano bene a tavola con piatti di una certa importanza.
VERRONE 2014, PAESTUM AGLIANICO IGP (Cilento)
L’azienda Verrone Viticoltori è recente, ma la proprietà risale agli anni ’70: attraverso tecniche di coltivazione a basso impatto ambientale, mira aa ottenere vini dalla personalità forte e riconoscibile, tipica delle terre cilentane. La tenuta della famiglia Verrone si sviluppa su una collina di circa 13 ettari che si erge con i suoi caratteristici terrazzamenti a “Girapoggio” ad un’altezza di circa 150 m s.l.m. alle porte del Parco Nazionale del Cilento.
Viene solitamente vendemmiato alla fine di settembre, con una qualità delle uve molto elevata. È un vino con un naso esibizionista, che ha un sentore di una frutta ben matura: ciliegie, prugna. Al palato l’attacco è immediato, soprattutto al centro della lingua. Toni amari pronunciati, quasi salato. Un vino perfetto in abbinamento con il cibo e piatti importanti come coda alla vaccinara o una tradizionale pajata. Una grande acidità che garantisce una lunga vita.
AGLIANICO BOCCA DI LUPO CASTEL DEL MONTE DOC 2013 (Puglia)
Questo vino è un’etichetta della Cantina Antinori-Tormaresca: la selezione delle uve impiegatieper la vinificazione arriva dalla Tenuta Bocca di Lupo in Minervino Murge (in provincia di Bitonto), una zona di grandi escursioni termiche. L’enologo è Renzo Cotarella: in questo caso si avverte l’ uso della barrique, con un tono più elegante, odore resinoso e un sentore di liquirizia. Vino giovane ed elegante con nota amara.
CAMARATO FALERNO DEL MASSICO DOC 2010 (Caserta)
Villa Matilde è un’azienda storica, sorta negli anni Sessanta: questo vino rappresenta uno dei primi esempi di cru di Falerno. Il vigneto è uno dei più vecchi e meglio esposti della tenuta collinare di San Castrese, alle falde del vulcano spento di Roccamonfina: in questo vino si avverte bene l’influenza dell’area vulcanica, con un tono amaro più accentuato, una fusione tra frutto e legno. Colore vivo, al palato sprigiona molta personalità.
BASILISCO AGLIANICO DEL VULTURE DOC 2011 (Basilicata)
L’Azienda vitivinicola è stata fondata negli anni Novanta da un medico, poi rilevata dai Feudi di San
Gregorio, che avviò un progetto di recupero delle antiche grotte laviche nello “Shesh”, lo storico Parco delle Cantine di Barile, con le cantine nel tufo e ii vigneti nelle contrade più vocate della zona. Basilisco andò a completare alla perfezione questo progetto. Oggi Basilisco è una piccola cantina dedicata all’Aglianico, alla cui guida c’è Viviana Malafarina. L’azienda attualmente sta lavorando su tre differenti cru.
In questo vino si avverte uno stacco in freschezza, una capacità di dissetare, con un sentore di frutta croccante e un utilizzo del legno ben dosato. Un vino per amatori: in bocca si assaporano i gusti dell’amarena e della ciliegia. Il vino è adatto alla carne alla brace, dal gusto complesso, un vino che dopo sei anni è ancora fresco.
FONTANAVECCHIA GRAVE MORA AGLIANICO DEL TABURNO DOC 2011 (Benevento)
Siamo nel cuore dell’Aglianico, con un produttore leader della zona del Taburno. Questo vino è nato da una concezione moderna, basata sulla maturazione delle uve e sull’utilizzo del legno nuovo. L’enologo di questa cantina un sannita doc molto noto Angelo Pizzi. È un vino in equilibrio, senza cedimenti o concentrazioni di colore.
DONNACHIARA TAURASI DI UMBERTO DOCG 2012 (Irpinia)
L’azienda vitivinicola di Montefalcione comprende vigneti che si estendono lungo le colline tipiche del territorio irpino. Siamo nella zona del torrone, con le vigne piantate negli anni Settanta. Per questo vino, la raccolta è avvenuta manualmente e, dopo spremitura, il mosto è subito stato avviato alla fermentazione alcolica in fermentini di acciaio termocondizionati. Al naso il vino è molto fruttato, in bocca rimane il gusto di amarena, con aromi tostati. Lascia sul palato una grandissima freschezza. Adatto all’abbinamento a carni rosse e selvaggina.
CONCLUSIONI
Un piccolo viaggio sulle diverse espressioni di un vitigno identitario del Sud. Concluso a sorpresa con una splendida lasagna napoletana preparata dalla food blogger Maria Grazia Viscito, moglie del vice delegato dell’Ais Castelli Romani, Diego Vicarelli.
Una serata molto intensa, in cui le notizie sulle aziende si sono intrecciate con la storia, la geografia, l’antropologia di territori bellissimi ma ancora poco conosciuti.
Ais Castelli Romani Aglianico
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