TERRE DEL PRINCIPE
Uva: pallagrello nero (70%), casavecchia
Fascia di prezzo: da 20 a 25 euro
Fermentazione e maturazione: legno
Vista 5/5. Naso 26/30. Palato 27/30. Non Omologazione 30/35
Scapolati i dieci anni tondi, Vigna Piancastelli 2004 (come la 2003, la bella etichetta disegnata da Gabriele Marino) si presenta assolutamente in forma. Si tratta di un vino che stiamo seguendo con particolare affetto perché all’inizio fu giudicato troppo morbido e dolce. Ottenuto da una sola vigna in località Beneficio di Castel Campagnano (70 per cento di Pallagrello, il resto Casavecchia) nacque dalla voglia di fare un vino di pieno gusto di Manuela, amaroneggiante, appunto.
Un vino di lunga gestazione, con un anno di affinamento in barrique di primo, e secondo passaggio, e ben due in bottiglia. E la conferma di come sia importante il tempo trascorso in vetro viene proprio da questo risultato a distanza di un decennio, provato sui piatti di carne di Lino Scarallo a Palazzo Petrucci nel cuore del centro storico di Napoli.
Nel suo genere è un vino quasi unico in Campania (ci sono il Karnios di Masseria Frattasi da Aglianico molto simili e un paio di rossi di Moio da una primitivo). Un rosso che spinge sulla surmaturazione delle uve che regala dolcezza al bicchiere. Infatti all’inizio le note percepite sono quelle di frutta matura (prugna), cioccolato, mentolato sostenute da una beva imponente. Bene, cosa succede a distanza di dieci anni di questa 2004, millesimo che si è rivelato molto interessante sia per i rossi che per i bianchi in Campania? Il vino si è leggermente scarnificato e, curiosamente, la prima sensazione che prevale è quella della freschezza. Una massa enorme, insomma, che però è ben sostenuta da una acidità vibrante che ben si esprime sin dal colore rosso rubino e non mattonato. Più che da meditazione come era in origine, ben accompagnato in una preziosa confezione al conciato romano di Manuel Lombardi, adesso questo rosso sembra più propenso ad accompagnare piatti di carne molto strutturati oppure alcuni ragù più dolci a base di maiale e di cinghiale. Non bisogna essere dei maghi per prevedere una lunga evoluzione nei prossimi dieci, vent’anni e noi avremo la pazienza, nostra nuova virtù che stiamo esibendo in più di una occasione, di aspettarlo.
Scheda del 5 aprile 2014. Sta vivendo molto bene i suoi anni questo rosso. E ci accorgiamo che passano in un lampo quando ci voltiamo per leggere l’ultima scheda: cavolo, quasi cinque. Sono passati per noi ma non per lui perché mantiene una gradevole freschezza, assolutamente dominante, ma incastrata in un complesso affascinante in cui frutto e legno sono assolutamente ben bilanciati.
Questo rosso ribadisce quella che ormai io considero una legge della fisica: i vini di Luigi Moio vanno aspettati almeno dieci anni. Anche in questo caso, infatti, l’equilibro del Vigna Piancastelli sempre essere appena raggiunto.
Il vino, liberato dagli eccessi di frutta delle prime degustazioi, presenta un inaspettato lato rustico riportandoci così alla essenza di questi due vitigni, rudi e immediati soprattutto al palato.
La bevibilità è totale, la lunghezza anche, l’abbinabilità ai cibi della Pasqua una goduria assoluta. Così l’idealtipo vinoso di Manuela imizia a dettare legge.
Scheda del 28 agosto 2008. E’ passato oltre un anno e abbiamo voluto riprovare questo campione in erba: le tensioni individuate nel precedente assaggio restano in tutto e per tutto uguali, in una parola, per farla breve, è come se lo avessimo bevuto il giorno dopo. Non solo non c’è alcun cedimento o evoluzione di sorta, ma è come se l’enorme quantità di materia contenuta nella bottiglia si fosse ulteriormente compattata: dal che ricavo che davvero il percorso di questo vino potrà essere molto molto lungo: la freschezza si fa carico con molta eleganza e faciltà di portare sino in fondo la beva strutturata e alcolica, ma non marmellatosa, i profumi sono intensi e persistenti, così come il finale è molto lungo.
La traccia di lavoro su questo vino, lo abbiamo scritto, è l’Amarone, e proprio per questo io direi che siamo in presenza di un vino che ha in se stesso la ragione profonda della beva, come ho già scritto. Direi dunque di comprarlo e tenerlo in cantina almeno una ventina d’anni. A Dio piacendo.
Scheda dell’8 maggio 2007. Qualunque vino potrebbe essere messo in imbarazzo dopo un Amarone 1993 di Quintarelli. Questo giovincello assolutamente no: si è presentato mostrando immediatamente il suo carattere, indispettito per essere stato aperto così presto: il blend delle due uve casertane riscoperte e lanciate da Peppe Mancini e da Manuela Piancastelli conquista la linea top-wine del Mezzogiorno quasi in scioltezza, ben assestato rispetto a tutte le sue componenti a cominciare dal colore, rosso rubino impenetrabile con unghia ancora violacea.
“Come un Amarone” mi disse scherzando Manuela facendomi provare la 2003 al Vinitaly del 2006, ed è per questo che bevendo il Quintarelli con lei mi è venuto in mente di fare questo confronto in diretta, per acquisire quella memoria immediata e poter valutare bene il giovane bicchiere dei miei amici pur sapendo ovviamente tutto sulla diversità di annate, di terroir e di esperienza accumulata.
Parlavo di carattere, ed è già al naso, in cui la frutta è avvolta bene con il legno dosato in maniera direi perfetta, che si mostra la grandezza di questo rosso che entra in bocca in modo un po’ inconsueto rispetto alla media dei vini campani perché mi ha colpito la morbidezza rispetto alla freschezza. Attenzione, però, non piattezza come spesso è intesa dal presunto idealtipo papilloso anglosassone (leggi americano), bensì un ingresso ben sostenuto dalla struttura, poi dalla mineralità, dall’alcol non esagerato e dichiarato a 13,5, dalla sapidità, e dalla freschezza, arricchito da un bel retronaso aromatico e profondo.
Il vino si impone rapidamente in bocca occupando e presidiando tutto, poi ci lascia con la sensazione di una soddisfacente pulizia e la voglia di ricominciare immediatamente. Rispetto alle versione 2003 abbiamo trovato il Vigna Piancastelli meno muscoloso, più maturo nella sua voglia di piacere senza necessariamente stupire, iniziando così il cammino verso la classicità.
Qui una parte delle uve della vigna in località Beneficio di Castel Campagnano, siamo sulle dolci colline caiatine dove i filari sono ben esposti sui crinali verso Sud, di fronte al massiccio del Taburno, viene raccolta leggermente surmatura. Abbiamo provato questo rosso prima su un agnello saporito e appena sgrassato da pomodori secchi e mirto secondo lo stile sardo, poi su un Castelmagno di media stagionatura e in entrambi i casi il Vigna Piancastelli ha lavorato benissimo in abbinamento. Ritengo però che questo vino, frutto dell’amore fra le persone e la passione sfrenata per la terra, vada bevuto assoluto chiacchierando al winebar oppure su una terrazza di fronte al mare con chi ci sta a cuore. I misogeni lo berranno da soli davanti al caminetto acceso. Prevedo lunga vita, sicuramente più del 2003, al 2004, un millesimo che davvero non finisce di stupire per le sorprese di cui è capace con il passare degli anni, ove si dimostra insomma che seguire bene il lavoro in vigna e coccolare il vino in cantina, serve a fronteggiare annate difficili, quando cioé davvero si vede l’abilità dell’enologo, parliamo di Luigi, la sapienza del produttore e la validità della frutta. Amen.
Sede a Castel Campagnano, Contrada Mascioni. Tel. 0823.867126. www.terredelprincipe.com Enologo: Luigi Moio. Ettari: 6 di proprietà e 5 in affitto. Bottiglie prodotte: 50.000. Vitigni: pallagrello bianco, pallagrello nero e casavecchia.
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