Il trebbiano resta uva di dubbia reputazione nel senso comune dei non addetti ai lavori, mentre l'approccio omerico di Edoardo Valentini e poi del figlio Francesco ne ha rovesciato la prospettiva tra gli appassionati e gli esperti facendone un vino cult, tanto da essere considerato il primo nella speciale classifica della meneghina Fifty Best 2012. Però ancora sollevando ironia e caustiche battite tra chi è ancorato a una gerarchia pre-metanolo del vino.
Quando un modello ha successo e si impone viene ovviamente imitato e spesso il rischio è nella omologazione della non omologazione. Ossia una contrapposione univoca di uno stile ad uno ugualmente monocorde ma opposto. Faccio per dire, alcol contro poco alcol, frutta matura versus floreale-agrumato, giallo paglierino carico, se non dorato, in contrapposizione al bianco carta, lieviti indigeni o selezionati, cemento o barrique, spalliera o pergola. Eccetera, eccetera, eccetera.
Ora, la verità non sta affatto nel mezzo, ma in quei vini liberati dalla contrapposizione tra guelfi e ghibellini perché i produttori hanno perseguito un proprio progetto, un proprio percorso che tenga conto di quello che fanno gli altri senza però farsi prendere dall'angoscia competitività o dalla avidità commerciale.
Sono ormai più di dieci anni che Leonardo Pizzolo lavora tra freddo siberiano e neve abruzzese lì dove il Gran Sasso si sbaciucchia con la Majella: 40 ettari tra Popoli a San Callisto sui 350 metri e una ventina a Capestrano, quota 400, dove nasce questo vino su suolo di medio impasto e calcareo, sottoposto a forti escursioni termiche perché in estate è una valle che accumula il calore che rilascia rapidamente di notte.
A questa buona predisposizione pedoclimatica si aggiungono pratiche di cantina coraggiose, che per noi non sono un bonus in quanto tali, ma a cui guardiamo con simpatia per lo sforzo di individuare un proprio progetto enologico. Parlo della fermentazione spontanea con lieviti indigeni di partenza e di una viticoltura sana, in conversione biologica.
Ammesso che il Montepucialno ha uno slancio liberato da ogni grevità, quello che mi fa impazzire di questa azienda sono i bianchi ottenuti da Trebbiano, il base e i due cru, sia il Vigna di Popoli che il Vigna di Capestrano, conosciuto anni fa da Niko Romito grazie a Roberto de Viti. Si capiva subito che aveva la tonicità per saltare molto in lungo nel tempo e così rivedendolo in carta a Casadonna (in realtà ero andato con l'intenzione di berlo) ho chiesto l'annata più vecchia, la 2007, ultima bottiglia disponibile.
Dico subito a chi ha avuto modo di provare i millesimi successivi che questa ha una storia che risente delle vigne ancora giovani, piantate nel 2002, e di una annata calda che ha spinto ancora di più questo vitigno prolifico, tra l'altro piantato ad una densità medio-alta di circa 6500 piante. La resa per ettaro sotto i 50 quintali ha caricato l'uva ma per fortuna questa materia decisamente importante è dinamicizzata dalla grandissima freschezza.
Dunque se al naso prevalgono subito sentori di frutta gialla matura, quasi esotica, compensati da note di arancio, macchia mediterranea, mandorla e nocciola, al palato vince di gran lunga la freschezza che apre la strada a un bianco ben equilibrato in tutte le sue componenti, appagante e dissetante, da bere quasi a temperatura ambiente in bicchieri molto ampi. Da meditazione.
Ecco, un Trebbiano. Ma che Trebbiano.
Sede a Popoli, Località San Callisto. Tel. 087.9871039. www.vallereale.it. Ettari: 60. Bottiglie prodotte: 300mila. Vitigni: montepulciano, trebbiano.
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