VILLA DORA
Uva: coda di volpe 80% e falanghina
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e affinamento: acciaio e legno
Vista 5/5 Naso 25/30. Palato 25. Non Omologazione 33/35
Forse questo bianco straordinario ha imboccato l’ultimo chilometro. Straordinario perché di una zona che sino a qualche anno fa era abituata a fare vino solo la sera per la mattina e perché figlio di una annata che molti ricorderanno di difficile gestione.
Ultimo chilometro con il beneficio dell’inventario: i vini vecchi diventano storie di bottiglie vecchie dopo un certo numero di anni, non è raro che due vini dello stesso millesimo, magari dello stesso lotto, finiscano per esprimere risultati molto diversi fra loro.
In questo caso parliamo di ultimo chilomentro perché dopo 12 asnni questo vino ci sembra ormai in perfetto equilibrio e l’acidità inizia lentamente a ritrarsi. La beva è aiutata infatti sino in fondo dal tono sapido e amaro che il Vigna del Vulcano riesce a guadagnare in bocca. Il naso, ancora frutta, confettura di agrumi, macchia mediterranea, zafferano, non mostra segni di cedimento ossidativo.
Ma è l’equilibroo che ci fa pensare che possiamo iniziare ad una parobola discendente, sensazione accentuata con il riscaldamento del bicchiere.
Non possiamo che essere grati per averlo ritrovato un’altra volta in una tavola importante, il Maxi di Capo Lagala e di riparlarne ancora bene dopo tre anni dall’ulti assaggio: un vino che ci ha acompagnato in questi ann ie che, credo, continuerà a farlo. Onore a Villa Dora che ha iniziato a ragionare così: il terroir del Vesuvio ha ancora molto da dire sul tempo e sui bianchi. E trovarlo a 35 euro in carta ci fa pensare a un regalo.
Scheda del 20 marzo 2011. Così funziona, in realtà: un improvvisato testacoda tra il Costa del Vento di Walter Massa 2002 e questo vino, stessa annata, sui nuovi piatti di Gennaro Esposito. Bianco e bianco, e ancora un bianco, stavolta l’Exulter di Luigi Moio 2006, decisamente buono.
Avevamo fatto una verticale durante una manifestazione a Fabbrica dei Sapori verificando come sia lungo questo vino, ma erano molti anni che non ci tornavamo sopra. Un bel bere a 35 euro in carta, con un naso forse troppo dominato dalla tostatura e dalle note affumicate che impediscono ad altri sentori di emergere. Note comunque piacevoli, lunghe e intense (per i curiosi il Timorasso era invece segnato dal miele di castagno). In bocca l’affermazione di un equilibrio raggiunto e soddisfacente: l’acidità infatti, pur presente, serve a sostenere la beva ma ha perso quel ruolo di protagonista che invece il terreno e i vitigni le assegnano sul Vesuvio. La beva è soddisfacente, veloce, anche abbastanza complessa, pulita e ordinata.
In tutti questi anni abbiamo parlato molto di longevità di Fiano, Greco e Falanghina del Taburno, un po’ meno degli altri bianchi campani che invece mostrano questa capacità molto interessante.
Il Lacryma invecchiato soddisfa questa domanda, ma in quale direzione? Sicuramente in quella di chi non si accontenta della mera acidità dei bianchi sui piatti ma cerca un po’ di complessità in più.
E allora, per almeno un altro paio d’anni, il Lacryma della famiglia Ambrosio è destinato a restare l’unico esempio di bianco invecchiato sul Vesuvio. Speriamo che altri inizino a lavorare presto in questa direzione.
Assaggio del 22 settembre 2009. I vini delle terre nere, la full immersion di Vesuvinum 2009 e prima ancora il tour siciliano hanno lasciato il segno al naso e al palato. Lo incontro tra tanti Lacryma Christi 2008, al massimo qualche 2007, la curiosità per i bianchi campani da invecchiamento è in agguato. 2002, colore giallo paglierino intensamente dorato, ottima vivacità e consistenza al bicchiere annunciano un vino che sta affrontando alla grande il passare degli anni.
Primo naso fortemente minerale, quasi idrocarburi di stile alsaziano, subito dopo arrivano floreale e frutta matura ancora fragrante: piacevoli note di ginestra del Vesuvio, agrumi, albicocca e una nota tra il vegetale e lo speziato di pepe bianco, sul fondo una leggera dolce speziatura tra miele e vacilla dovuta al passaggio in legno piccolo di circa tre mesi.
L’attacco al palato è morbido e allo stesso tempo notevolmente fresco e sapido con una bellissima lunghezza ben fusa tra naso e palato. E’ un vino sul quale l’azienda ha investito, non è da tutti poter attendere tanto tempo prima dell’immissione sul mercato. Villa Dora è un’azienda profondamente calata nella realtà territoriale del Parco Nazionale del Vesuvio, 13 ettari con vigneti a 250 – 300 mt. sul livello del mare, cenere e lapilli ritornano in questo bicchiere, in particolare il fondo cinereo che si avverte a bicchiere vuoto.
La famiglia Ambrosio, tra le prime in Campania, ha compreso l’accezione completa del termine terroir che, oltre ai vigneti, al microclima, alle caratteristiche del suolo, deve includere il fattore imprescindibile dell’esperienza umana e del contesto storico – culturale. Per questo motivo l’azienda si è affidata a chi fa di questi pensieri una filosofia di vita: l’enologo Roberto Cipresso affascinato da realtà estreme come questa dalle terre nere e da Tornando al palato, il vino si caratterizza per un buon equilibrio tra freschezza, sapidità, struttura e morbidezza (13,5% alcol) conferita dalla botte piccola, nonostante manchi la fermentazione malolattica, e dal lungo affinamento in bottiglia.
E’ un vino tutto vulcanico, nonostante la sapidità e la relativa vicinanza al mare, lo ritengo un vino di terra da abbinare a piatti di campagna della cucina vesuviana oppure al baccalà con i ceci, lo stocco in bianco con le olive, paccheri al ragù di cernia, e tutti i piatti della tradizione “mangiafoglie” partenopea, visto che da sempre il Vesuvio è (o dovrebbe essere) la dispensa orticola della città di Napoli. Da ricordare che Villa Dora fa dell’invecchiamento del vino una filosofia aziendale: il Forgiato Lacryma Christi Rosso Doc 2004 ha vinto il premio Amodio Pesce 2009.
Sede a Terzigno, Via Boscomauro, 1.
Tel. 081.5295016, fax 081.8274905.
www.cantinevilladora.it
Enologo: Roberto Cipresso.
Ettari: 13 di proprietà.
Bottiglie prodotte: 50.000.
Vitigni: piedirosso, aglianico, coda di volpe, falanghina.
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