MOLETTIERI
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Vista 5/5. Naso 25/30. palato 28/30. Non Omologazione 30/35.
Nel corso di Vendemmia Taurasi, giustamente, le etichette in degustazione sono proposte per aree, alla francese. L’ipotesi di degustazione e di ricerca da cui si parte è la divisione della docg in macrozone con caratteristiche simili dalle quali ci si aspetterebbe una tipologia precisa di vino.
Non diciamo in un mondo perfetto, ma sicuramente in una zona vitivinicola matura le cose dovrebbero andare proprio così.
Gli è che in Italia, fatte salve alcune eccezioni, la Langa su tutte ma neanche tutta, il modello produttivo che si è imposto negli anni ’90 è stato quello americano, ossia quello di uno stile riconoscibile dalla mano dell’enologo piuttosto che da quello della cantina e il Taurasi non è sfuggito a questa regola, più veloce nella comunicazione ma molto pericolosa sui tempi lunghi.
Del resto anche la cultura commerciale del monovitigno, tutta americana, vede proprio nella Campania una delle più fedeli interpreti fatte rare eccezioni (Montevetrano, Nanni Copé, Terra di Lavoro, la Costiera Amalfitana). Possiamo dire che in linea di massima qui la cultura del monovitigno ha radici molto profonde, ma se facciamo un saltino indietro di vent’anni ci accorgiamo che la regione stessa era dominata da doc di territorio con la sola eccezione della Irpinia.
Tendenzialmente possiamo dire che si tratta di un fenomeno positivo nel suo complesso non privo di conseguenze caricaturali (il piedirosso in stile aglianico e asprinio in legno su tutti).
Diversa la situazione del Fiano di Avellino, dove invece questa zonazione embrionale ha una ragione d’essere grazie ad uno stile produttivo sostanzialmente uguale ovunque e che dunque consente alle differenze di territorio di venire naturalmente fuori in modo abbastanza riconoscibile.
Tutto questo per dire che quando ci troviamo di fronte al 1994 di Molettieri, dai, finalmente un rosso di Salvatore un po’ corto e perfino magro, affrontiamo uno dei tre prototipi da cui è nato tutto e a cui sostanzialmente ancora si ispirano tutte le aziende irpine con la sola eccezione spiazzante di Luigi Tecce che rappresenta la grande novità stilistica degli ultimi dieci anni.
Il primo prototipo è quello di Mastroberardino, dal carattere mai urlato, di stile tradizionale, non concentrato anche nelle annate in cui si è cercata in qualche modo questa caratteristica (1998-2001), che imposta la beva sui tempi lunghi e sul tempo. Sicuramente quello più diffuso a cui fanno riferimento la maggior parte delle aziende e bravi enologi anche di segno apparentemente opposto.
Il secondo è quello di Moio e nasce proprio nel 1994, in testa il modello bordolese sopratutto, introduce la barrique creando dei Taurasi sicuramente più facilmente leggibili ma anche capaci di affrontare a lungo il tempo ricongiungendosi, dopo una decina di anni, con lo stile tradizionale.
Il terzo è appunto Molettieri, dove all’uva si chiede potenza, esibizione muscolare, ma anche tanta freschezza per sostenere l’impianto complessivo della beva in cui tutti i parametri, a cominciare dagli estratti e dall’alcol, viaggiano sempre ad alta quota.
Proprio questo modello, che ha raggiunto il culmine del successo all’inizio dello scorso decennio è quello che ha influenzato di più i giovani enologi dell’epoca, alcuni dei quali però sono in una fase di ripensamento per alleggerire la bottiglia.
Molettieri è l’espressione nobile anche di una tendenza caricaturale, alla quale non voglio dare dignità di quarto idealtipo, della esibizione muscolare fine a se stessa che non ha avuto pudore nel proporsi fruttata, quasi lamponata, ricca di spezie dolci che assimilavano molto l’Aglianico a un modello di beva rivelatosi infruttuoso tra i consumatori consapevoli. Un Taurasi che doveva piacere a tutti era lo slogan, anche ai non bevitori. Ma un non bevitore difficilmente spende più di dieci euro per una bottiglia.
Ripensando ai 1994 di Caggiano o di Mastroberardino questa nostra semplificazione stilistica appare in tutta la sua evidenza tra i tre.
Dal canto suo, il Vigna Cinque Querce appare in ottima saluta a cominciare dal colore, appena leggermente mattonato, al naso ha ancora tanta conserva di amarena da esprime, ma anche sottobosco, tabacco, un po’ di cuoio, note di liquirizia e di vaniglia. In bocca entra pieno ma alla fine si ferma a metà lingua, insomma è corto.
Figlio di una annata sicuramente complessa e non eccezionale, ma anche di apprendimento in corsa verso le esigenze del mercato americano del momento.
La beva alla fine è sostenuta, come sempre succede con Molettieri, dalla enorme energia regalata dalla freschezza incontenibile. Alla fine il Taurasi, benché di impatto materico, riesce ad arrivare sino alla gola rinnovando la voglia del sorso proprio grazie all’acidità, perfettamente viva e vegeta dopo vent’anni.
Un bel campione insomma, di uno stile che impone molta concentrazione mentale richiamando l’attenzione su di se sin dalle prime battute. Ma che poi, usato su un capretto al forno, restituisce al vino, per fortuna, quella dimensione quotidiana di cui ha assolutamente bisogno in questo periodo in cui tutti i valori si stanno resettando.
Sede a Montemarano, Contrada Iampenne. Recapito Contrada Musanni, 19/b. Tel. 0827. 63424, fax 0827. 63722. www.salvatoremolettieri.it Enologo: Giovanni Molettieri. Ettari: 10 di proprietà. Bottiglie prodotte: 65.000. Vitigni: aglianico, fiano, greco, coda di volpe
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