CLELIA ROMANO
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: da 15 a 20 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Naso 5/5. Naso 27/30. Palato 28/30. Non Omologazione 32/35
Sapete che non amo le aziende bianchiste che si buttano sui rossi e viceversa. La scelta del monoprodotto o del monovitigno è più difficile da sostenere vista la crassa ignoranza del mercato italiano, a cominciare dall’analfabetismo di tanti ristoratori, non tutti per fortuna. Ma è un indirizzo sicuramente premiante sui tempi lunghi, quando solo le punte di eccellenza non potranno mai essere travolte dallo tsunami dell’omologazione.
Naturalmente questa critica parte sempre dall’amore per il produttore e per il territorio di cui è espressione, la critica è altro da se rispetto alla filiera produttiva, deve coglierne le eccellenze come i punti deboli. Sempre con garbo e rispetto, ovviamente, soprattutto quando si parla di persone che rischiano in proprio e lavorano in campagna. E poi ogni regola ha le sue eccezioni visto che Lapio è al tempo stesso comune di Taurasi docg e Fiano docg.
Purtroppo questa posizione di elementare deontologia professionale non viene sempre assolta, ci sono produttori abituati a confondere giornalismo e comunicazione e dunque pensano che non è tanto importante che se ne parli, come è logico che sia, quanto che se ne parli sempre e solo bene.
L’altra faccia della medaglia è colui il quale si affaccia alla scrittura facendosi largo demolendo il pregresso e resettando il mondo al momento in cui ha bevuto il suo primo bicchiere. Anche questo soggetto alla fine fa comunicazione e non critica perché divide il mondo in amici e nemici e parla sempre e comunque bene degli uni e sempre e comunque male degli altri.
Come un grande vino si vede dal governo della complessità, così uno scrittore, critico e giornalista di qualità si vede per la sua capacità di rappresentare l’insieme dell’oggetto del suo lavoro, evitando omissioni ma anche strizzatine d’occhio rivolte sempre agli stessi vini. Ora se questo lavoro globale era più facile vent’anni fa, non per questo è meno necessario adesso che le aziende si sono decuplicate in ogni regione altrimenti il consumatore e l’operatore per attraversare tutto il mondo del vino saranno costretti a visitare più mondi dell’informazione.
Questa parcellizzazione e la riduzione del reale alla propria fisicità è disastrosa, l’io è l’unico pronome usato, il noi è scomparso e deriso. L’ambizione di ereditare, ossia fare del passato un trampolino, e testamentare, ossia progettare il futuro, è sostituita dalla necessità di cinque minuti di palcoscenico mediatico, non importa perché o per dire cosa.
Di questo parleremo al congresso nazionale Ais dove siamo stati invitati per una relazione al dibattito previsto martedì mattina all’Hilton centrato appunto sulla comunicazione e il giornalismo enogastronomico.
Quando Serena Ni versa soddisfatta il Taurasi di Clelia al tavolo del Mosaico è proprio la complessità a venirmi in mente. Di come sia stato possibile incrociare antropologie opposte e distanti per migliaia di anni grazie ad una bottiglia di Taurasi. E di come sia comune la radice contadina della cucina di Nino Di Costanzo con questo vino che nasce sulle colline silenziose di Lapio, della straordinaria capacità di fare un viaggio breve ma lungo e di quanto il Sud sia migliorato in questo settore.
Come al solito alterniamo bianco e rosso e così facendo dobbiamo rompere vecchi e nuovi schemi, degli ignoranti che non mischiano bianco e rossi ai pedanti che fissano una gerarchia di colore, di alcol e di annata che non ha alcun senso quando si sta a tavola con il cibo che muta di continuo le condizioni palatali.
Il rosso di Clelia, un 2005 nel pieno della sua maturità, mi ricorda molto il Macchia dei Goti 1994 e 1995 di Caggiano: la sua essenziale purezza, l’uso disciplinato e consapevole della barrique, la forza di una frutta mai dolce, forte e ficcante, la complessità olfattiva in cui ritrovi anni ’80 contadini, anni ’90 burrati e millennio in corso sapido, amaro e cupo. La finezza snella di questo corpo massiccio non stanca il bevitore.
Il Taurasi dopo l’impatto nasale, in bocca e in gola, a tavola niente coitus interruptus, ti entra dentro rilassando le membra: lo senti prima sulle cosce, poi sulle braccia, infine il corpo si abbandona e inizia quella fase di benessere trascendente che mette il vino da una parte e tutto il resto potabile dall’altra, assumendo il primo una funzione religiosa, le altre bevande quella di prodotto.
In queste condizioni si capisce la grandezza e il valore assoluto dell’Aglianico come efficace grimaldello di gioiosa e pacata trascendenza.
Sede a Lapio, Contrada Arianiello 47. Tel. 0825. 982184 e 0825.982191. www.collidilapio.it Fax 0825. 982184. Enologo: Angelo Pizzi. Ettari, 4 di proprietà. Bottiglie prodotte: 48.000. Vitigni: aglianico e fiano.
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