di Pasquale Carlo
Ci siamo. E’ il momento della grande tavolata del Natale. Tra le grandi tradizioni della cucina partenopea, uno dei ruoli tra i protagonisti spetta sicuramente al baccalà. Facendoci guidare da Mario Esposito, timoniere della Esposito Pesci di Acerra (www.espositopesci.it), ecco un viaggio lungo la rotta di questo incredibile prodotto. Un viaggio compiuto in compagnia di suo “fratello”, lo stoccafisso.
La famiglia Esposito da oltre mezzo secolo è impegnata nel settore ittico, lavorando in prevalenza merluzzo norvegese, baccalà e stoccafisso. L’azienda, fondata dal papà di Mario, Luigi, sorge ad Acerra, dove la famiglia Esposito, da sempre legata al mondo ittico, si trasferisce da Sant’Anastasia. Luigi viene richiamato dalla fecondità di quella terra che nell’immediato secondo dopoguerra rappresentava uno degli angoli più fertili della Campania.
ALL’ORIGINE TUTTO E’ MERLUZZO
Il baccalà e lo stoccafisso degli Esposito arrivano in gran parte dalla Norvegia, in particolare dalle isole Lofoten. Si tratta di un’area marina considerata da tutti come la zona di pesca dei merluzzi atlantici migliori, la specie Gadus morhua. La Norvegia ha circa 21.000 chilometri di coste, tutte particolarmente pescose. Così come succede per gli altri pesci, stagione e luna influiscono non poco nella qualità. I merluzzi più forti e grandi vengono pescati nel periodo gennaio-febbraio e vengono destinati generalmente alla produzione del baccalà (soprattutto perché il clima in quei mesi è ancora particolarmente freddo). A marzo ed aprile vengono invece pescati i merluzzi che si trasformeranno prevalentemente in stoccafisso.
Il baccalà è il risultato della salatura dei filetti di merluzzo, generalmente del merluzzo bianco, la razza più pregiata. Il metodo del “sotto sale” è un sistema di conservazione antico, che risale al 1400. I primi ad utilizzare questa tecnica furono quasi certamente i Baschi. I prodotti dei freddi mari del nord Europa, per raggiungere le ricche tavole dell’area del Mediterraneo, necessitavano di una conservazione per lunghi periodi. I Baschi adottarono per i merluzzi la tecnica da loro già usata per conservare la carne di balena.
Per quanto concerne lo stoccafisso, i merluzzi una volta decapitati e puliti vengono essiccati interi o aperti lungo la spina dorsale (che vengono tenute unite alla coda). Il pesce viene posizionato su delle rastrelliere piane oppure a siepe e lasciato all’aria aperta da febbraio a fine aprile. Le rastrelliere piane sono oggi le più utilizzate, hanno bisogno di un’area più estesa, mentre quelle a siepi sfruttano l’altezza. È importante che i merluzzi non vengano a contatto né l’uno con l’altro, né con le rastrelliere stesse in quanto questo potrebbe causare la formazione di macchie che ne ridurrebbero la qualità. Dopo circa tre mesi all’aperto, lo stoccafisso matura per altri 2-3 mesi al chiuso, in un ambiente secco e ben ventilato. Al termine dell’essiccamento, il pesce ha perso circa il 70% del suo contenuto originario di acqua ma ha mantenuto i suoi principi nutrienti.
UNA QUALITA’ CERTIFICATA PER UN CONSUMO IN CRESCITA
La qualità dei prodotti è garantita dalla Commissione norvegese per l’esportazione del pesce (Norwegian Seafood Export Council) che fa capo al Ministero della pesca. Il logo Norge, che ritroviamo anche sui prodotti degli Esposito, posto dalla Commissione a firma di tutto il materiale informativo e di promozione e viene utilizzato dagli esportatori. Norge rappresenta un terzo degli esportatori dei prodotti ittici norvegesi.
Dati riferiti ad agosto 2010 parlano di un volume di esportazioni tra baccalà, pesce salato e stoccafisso che ammonta a 757,6 milioni di Nok (94,7 milioni di euro). Un dato che si presenta con un aumento del 9% rispetto all’agosto dell’anno precedente. Il volume delle esportazioni è aumentato del 7%, ovvero 1.816 tonnellate in più, per un totale di 29.216 tonnellate, secondo le ultime cifre del Norwegian Seafood Export Council. Le esportazioni di solo baccalà nel mese di agosto ammontano a 253,4 milioni di Nok (31,6 milioni di euro), in crescita del 4% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Il volume delle esportazioni di baccalà, pari a 7.408 tonnellate, ha realizzato il maggiore volume di esportazioni mai registrato per il mese di agosto. Il Brasile è stato il più grande mercato per il baccalà nel mese di agosto. A seguire Spagna e Portogallo, ma anche l’Italia si piazza tra i primi posti.
La cucina della Penisola ha incontrato prima lo stoccafisso e poi il baccalà. Il primo a portare in Italia lo stoccafisso è stato il veneziano Pietro Querini, che nell’aprile del 1431 salpa con la nave dall’isola di Candia con un carico di vino di malvasia, spezie ed altre mercanzie alla volta dei porti di Bruges e di Anversa. Non vi arrivò per colpa di un naufragio dal quale si salvarono oltre al Querini, dieci marinai. Avevano raggiunto l’isola di Rost, proprio nell’arcipelago delle Lofoten. Nella sua sosta in terra artica, Querini può notare come i pochi abitanti dell’isola si procurano legumi, cuoi, panni, ferro e quant’altro necessario al loro sostentamento barattando il merluzzo da loro pescato ed essiccato al vento e al sole. Al suo rientro a Venezia porterà con se alcuni pezzi di stoccafisso. Anche se non vi sono dati certi che colleghino con certezza l’ avventura di Querini con l’entrata nella cucina mediterranea di questo nobile prodotto, il sospetto è forte: nei primi decenni del Cinquecento lo stoccafisso viene importato sistematicamente in Italia. Venezia costituiva il capolinea della rotta che si venne ad instaurare; rotta che toccava altre città italiche con porti importanti: le coste pugliesi, Messina in Sicilia, Genova in Liguria ed ovviamente Napoli.
Guarda caso stiamo parlando delle aree che ancora oggi si contraddistinguono come le maggiori regioni di produzione di queste tipologie di prodotto: Veneto, Liguria, Campania, Sicilia e Puglia.
Si tratta, dunque, di un consumo di grande tradizione, che parte dalla fine del Quattrocento e che subisce un’impennata sul finire del secolo successivo, dopo il Concilio di Trento (1545-1563) che istituisce nel calendario ben duecento giorni “di magro”. Allo stoccafisso prima ed al baccalà poi si assocerà proprio la cosiddetta “cucina di magro”.
CONSIGLI PER L’ACQUISTO
Non è facile riconoscere la qualità del baccalà. Per farlo bisogna considerare diversi aspetti. La lunghezza deve superare i 40 centimetri, lo spessore nel punto centrale deve essere di almeno 3 centimetri. Il baccalà deve presentarsi senza macchie, polpa di colore non giallastro ma bianco, però non bianchissimo perché potrebbe essere stato sbiancato in modo artificiale. Anche la pelle deve essere molto chiara mentre la polpa deve avere un aspetto traslucido dovuto al sale, una consistenza morbida ed elastica e un odore penetrante ma di pesce. In genere il baccalà viene classificato in due categoria, la A e la B, che stanno ad indicare se il prodotto è di qualità o di scarto.
Il discorso si fa molto più difficile se parliamo di stoccafisso, materia per addetti ai lavori. La scelta viene fatta a mano da un selezionatore che divide le diverse tipologie di stoccafisso (in Norvegia sono stati istituiti degli appositi corsi statali di formazione). Anche qui la valutazione tiene conto di lunghezza, spessore e colore. I migliori? Quelli più bianchi, grandi e magri, di solito contrassegnati dalla qualità “ragno” (nome che deriva da Ragnar, il più noto esportatore norvegese). Altre qualità apprezzate: il Westre piccolo, il Westre magro, il Westre Ancona, il Gran Premier, il Bremese e l’Olandese, tutte di prima scelta.
Oggi in Italia arrivano generalmente solo i pezzi migliori, ma un tempo si consumavano le varie parti del baccalà e dello stoccafisso: trippe, lingue di baccalà, teste essiccate. Una curiosità per quanto concerne proprio le teste: vengono esportate in milioni di pezzi in Nigeria.
PRIMA DI FINIRE NEL PIATTO
In Campania sono ancora in tanti a curare direttamente la fase dell’ammollo, operazione necessaria per dissalarlo prima del consumo. I filetti vanno immersi in acqua fresca per un periodo variabile (in genere da 2 a 4 giorni) a seconda delle dimensioni. Mario Esposito ci ha consigliato di cambiare la prima acqua dopo 2 giorni, successivamente ogni giorno. Altro consiglio è stato quello di mantenere l’ammollo in luogo fresco.
Più difficile l’operazione per quanto concerne lo stoccafisso, che prima del consumo va non solo ammollato ma anche sfibrato. Per la lavorazione dello stoccafisso la famiglia Esposito ha ideato uno strumento particolarmente adatto che consiste in una roncola accorciata. “La difficoltà della lavorazione dello stoccafisso, operazione quasi impossibile per le massaie – spiega Mario Esposito – nel corso dei secoli ha sicuramente influenzato nel privilegiare il consumo di baccalà, sicuramente più facile da ammollare”.
Via S. Ten. Caruso, 8
ACERRA
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