Ristorante l’Accanto dell’Hotel Angiolieri
Via Santa Maria Vecchia,2
Tel. 081 802 9161
Aperto la sera
Fabrizio De Simone ci è piaciuto a prima vista, abbiamo subito capito che è di quegli chef diventati merce rara ormai: hanno come primo abiettivo l’azienda in cui lavorano e i clienti, non impongono ai proprietari la spesa di qualche decina di migliaia di euro per la comunicazione e quel che verrà sarà per il lavoro.
Visione romantica, antica? Mica tanto, perchè dipende poi cosa trovate a tavola e la vostra stessa esperienza a tavola. Se conoscerete il territorio in cui vi trovate o vi appallerete con una serie di piatti belli da vedere e dimenticabili da mangiare.
Superato il difficilissimo momento dei lockdown, la proprietà ha deciso di investire ulteriormente rifacendo e ammodernando tutte le camere del primo piano. L’Angiolieri è da sempre uno degli alberghi più belli della Penisola, si cena su una terrazza con vista sul Golfo e sul Vesuvio, al bar puoi goderti il sole che si tuffa nel mare dal bar. Più ovviamente tutti i servizi possibili e immaginabili.
Aggiungiamo che la ristorazione è sempre stata un punto di forza dell’albergo, tra i primi a prendere la stella e con grandi nomi che sono passati da qui negli ultimi 15 anni. Notiamo anche che è stato il primo albergo di lusso a 5 Stelle a creare uno spazio pizzeria,nel 2016, quando ancora il fenomeno pizza non era entrato nei sensori della critica ufficiale. Saporì è una delle più belle pizzerie della Campania.
Ma veniamo a noi. Per il ristorante gourmet stavolta la proprietà ha puntato su una risorsa interna, Fabrizio De Simone appunto, cuoco di grande esperienza in Penisola, saldamente attaccato alle radici dell’orto mare del territorio che ha rinnovato la cucina napoletana e imposto uno stile non omologato dal punto di vista alimentare. A lui è stata affiancata la consulenza del cuoco veneziano Raffaele Ros, una stella Michelin che ha incrocato un po’ di cultura marina dell’alto Adriatico con lo stile essenziale tirrenico.
Il risultato di queesto incrocio sono piatti leggibili, golosi, un menu identitario e leggero. Accompagnato da una grande cantina, brava e appassionata la sommelier Filomena Arpino, da sempre uno dei punti di forza dell’Angiolieri e dalla esperienza del maitre di sala Giovanni Starace. Il menu è sui 120 euro.
Cosa si mangia al Ristorante Accanto dell’Hotel Angiolieri
Questo piatto è un vero e proprio calcio di rigore a porta vuota.
Piatto identitario molto ben costruito
Piatto della memoria in cui il pesce sostituisce la carne accompagnato da un brodo molto saporito.
CONCLUSIONI
La cucina di Fabrizio De Simone punta decisa su pochi elementi e tiene la barra dritta sulla leggerezza e la freschezza. I grassi sono quasi banditi dal menu, anche l’uso del sale è moderato perchè gioca la forza dei prodotti, nonsi ha paura di osare in direzione della acidità e talvolta, con qualche piacevole nota amara che lasciail palato ripulito. Alla fine del percorso ci si sente appagati ma leggeri. Una esperienza da regalarsi anche senon siete ospiti dell’albergo, da non perdere: troverete una cucina aggiornata, moderna, golosa e non cerebrale, semplice ma non banale, supportata da un’ottima tecnica di base e dalla memoria, che è un ingrediente indispensabile che fa sempre la differenza.
Scheda del 21 aprile 2010
Via Santa Maria Vecchia, 2. Località Seiano
Tel. 081.8029161
www.grandhotelangiolieri.it
Sempre aperto
Ferie a gennaio e febbraio
Michele Deleo è decisamente in una fase spumeggiante, non prende l’idea dalla tradizione, bensì dalla materia, dai prodotti mediterranei, rischia sul dolce e sull’acidità oltre ogni prudenza. Centra e diverte.
Così l’Angiolieri è diventato uno dei punti più buoni della straordinaria Penisola Sorrentina.
Il Grand Hotel Angiolieri nasce dal recupero di un’antica villa romana costruita intorn al 100 a.c., poi diventata convento delle Clarisse fino al 1600. La Famiglia “de le Castelle” ne acquisì la proprietà per un breve periodo e solo alla fine del 1700 venne ceduta alla nobile famiglia de i Cosenza che la utilizzò principalmente come residenza privata. Un secolo dopo viene trasformata in albergo.
Il prestigioso Hotel Seiano visse fino alla fine degli anni 70 ospitando tra l’altro alcune scene del famoso film di Dino Risi “Pane, amore e…” con Vittorio de Sica e Sophia Loren.
Il ristorante nasce dall’incontro tra Gerardo Gargiulo ed Elisa Balzano, patròn della struttura e Michele, ricco di esperienza in posti com Grand Hotel Rodhania a Crans Montana, Le Crillon des Gourmets a Parigi, il Ristorante Tantris a Monaco di Baviera e Le Gaivrauche a Londra. E poi ancora Parigi presso Le Côte d’Or du Salieu per poi tornare in Italia dove al Buco, ottiene subito la stella. Dopo una parentesi sfortunata a Taverna 18, lo ritroviamo qui. La sua cucina straordinaria è completata in sala dal maitre Mario Di Martino, cinque anni vissuti ai Quattro Passi.
Diciamo subito il punto debole del posto: l’inesistente carta dei vini, frutto di scelte fatte a casaccio e spesso poco comprensibili. Un vero peccato che una cucina così sublime non abbia un corrispettivo nel bicchiere e questo, checché ne dica Marchesi, penalizza l’esperienza gourmet, lascia insoddisfatti proprio come quando capita di mangiare alla grande nei paesi arabi senza il sostegno del vino, ma solo con succhi di frutta e acqua. Vero che la prima stella si da alla cucina, ma questa carta è semaforo rosso per la seconda.
Ma torniamo alle belle cose: la sala luminosa, l’hotellerie elegante, il servizio perfetto e appassionato. Michele ha piena conoscenza della materia, il suo riferimento è il pubblico europeo che si vuole stupire con i sapori forti della materia prima del Sud nelle nuove forme a cui è abituato dalla ristorazione gourmet. Naturalmente niente salse e cotture estreme, ma tocco leggero, indovinati abbinamenti proteici oltre l’orto-mare.
Il divertimento inizia con l’antipasto, presentato tutto in un piatto invece della estenuante batteria a cui spesso siamo sottoposti e che ci porta sfiancari al primo di pasta. Da sinistra: sorbetto al finocchio con tartufo crudo, cozza ripiena di ricotta fritta con frutto della passione, scampo su crema di melanzana, panzarotto ripieno di ricotta su pomodorino fresco. Solo nel primo il sorbetto prevale eccessivamente, ma è anche vero che non ci sono più i frutti di mare di una volta.
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Qui abbiamo un piatto di grande costruzione: la grassezza della triglia e quella del foi gras si compenetrano a vicenda senza soluzione di continuità, il peperone restituisce consistenza e acidità al piatto, in qualche modo lo riporta sui denti mentre il cioccolatino amaro combatte il dolce. Chiude con il robetto di capperi e olive per tornare nel Mediterraneo.
Un grandissimo piatto di scuola francese. Ghiotto e saporito. Da mangiarne a vagonate.
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Anche qui tanta Francia, l’ostrica nella gelè di Champagne su frutto della passione e sale alla vaniglia è davvero meravigliosa: quando l’involucro dolce si smembra esplode la sapidità iodata e ferrosa dell’ostrica che porta in Paradiso. Una grande esperienza.
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Con questo piatto si rientra a Napoli ma con diverse strizzate d’occhio: pensiamo al macaron con il gelato di baccalà. La pasta è a tendenza dolce ma intrigata da alghe. Abbiamo poi il crudo, la buattella di vetro con l’umido, il fritto.
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C’è poco da fare: con la pasta gli chef napoletani si esaltano sempre e comunque. E’ chiaramente un cibo dentro il dna in qualunque caso. Qui i fusilloni sono con le vongole, i pomodorini e fiocchi di mozzarella. Forse l’unico piatto dichiaratamente ruffiano, almeno per i palati campani. Ma è alleggerito da una presentazione furba e divertente mentre l’esecuzione è semplicemente perfetta. Tra l’altro la cottura di questa trafila non è neanche facile da gestire.
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Anche qui lo chef raggiunge davvero alte vette. Una cineseria con tre ravioli di diversa fattura (semplici, con l’uovo e con il pomodoro) che contengono la farcia della tipica pasta e piselli napoletana. Qui in aggiunta c’è l’astice blu, un accostamento giocato sul dolce di questa materia prima. Si sente, come è stato notato, la scuola di Marc Veyrat
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Il vassoio della piccola pasticceria può rendere l’idea del capitolo dolce della cena. Un percorso lungo e complesso non meno interessante.
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Delicato e interessante. Il ricotta e pere resta un grande classico.
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La mousse di cappuccino è golosa
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Trasparenza di fragole con il suo sorbetto, pane con olio extravergine al limone. Questo è dolce più nelle nostre corde. Lo abbiamo apprezzato molto.
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Non pago, a questo punto Francesco Aiello ha chiesto il babà. Una sorta di prova del nove. Lievitazione perfetta, bagna impeccabile: una sorta di cucino di gommapiuma per chiudere alla grande.
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Ultime coccole con la tavola di cioccolata.
In sostanza possiamo definire colta, divertente e con punte di grande emozione la cucina di Michele Deleo, sicuramente una delle più interessanti del Centro-Sud in questo momento, con ancora tanti risultati importanti da raggiungere.
Pagherete da 80 a 100 euro per una esperienza di cui non potrete più fare a meno perché siete sulla frontiera, le Colonne d’Ercole, attraverso le quali la splendida cucina della Penisola decide di affacciarsi al mondo senza antiche oleografie o stanche imitazioni, ma con la consapevolezza di una tradizione forte e soprattutto di materia prima per certi versi ineguagliabile.
Hanno collaborato Francesco Aiello per il testo, Romualdo Scotto di Carlo per i suggerimenti, Marina Alaimo per le foto dei piatti.
La recensione non è in alcun modo ispezione di guida e la nostra presenza era annunciata dalla prenotazione. Abbiamo però mangiato solo piatti presenti in carta e che ritroverete.
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