di Giulia Gavagnin
Valerio Braschi è il primo, vero prodotto culinario della televisione. Di cuochi mediatici ve ne sono molti, ma il giovane di Sant’Arcangelo di Romagna è stato il primo a vincere un reality televisivo – il primo, il più amato- ovverosia Masterchef e a iniziare un vero e proprio tirocinio professionale dopo il prestigioso trofeo. Vero, l’hanno fatto anche altri partecipanti al reality, ma l’anagrafica è dalla parte di Valerio, che oggi ha 26 anni e ha già due aperture importanti alle spalle (la seconda ha sostituito la prima), mentre i vincitori precedenti e successivi hanno abbracciato altre carriere, in particolare scuole di cucina e consulenze.
Braschi aveva già fatto parlare di se, in occasione dell’apertura romana. 1978, si chiamava il locale ed aveva avuto un buon riscontro di pubblico. In quel periodo aveva lanciato una “provocazione” di stampo iberico, la lasagna in tubetto. Un concentrato di sapore romagnolo in un tubetto da dentifricio o, forse, da colore a olio Maimeri, per dipingere su tela gusto, anziché colore.
Non era una trovata originalissima, ma alla fine dei conti gli era riuscita molto bene.
Sì, perché se un ragazzo autodidatta vince un reality importante come Masterchef, con giudici/cuochi di primissimo livello come Cannavacciuolo, Barbieri e Locatelli, significa che c’è del talento che va esercitato.
E, quindi, limato col duro lavoro.
Qualità che non mancano a questo giovane di Sant’Arcangelo di Romagna, che mostra, oltre al talento, un entusiasmo contagioso.
Quindi, il nostro protagonista ha chiuso a Roma e ha aperto a Milano, non distante dai Navigli, il suo secondo e più sentito locale, che trasmette ciò che lui vorrebbe: le vibrazioni. Infatti, si chiama Vibe.
Graffiti all’ingresso, colori vivaci alle pareti, personale under 30 in sala con qualche comprensibile defaillance sulle spiegazioni dei piatti o sull’approvvigionamento enologico (che, attenzione, non è per nulla malvagio, è solo un po’ squilibrato: ma è già ampio, quindi la possibilità di scegliere bene è garantita), nei giorni della mia visita, complice la bassa stagione a Milano, un po’ scarico di pubblico durante la settimana. Forse, anche a causa delle cifre non esattamente popolari per gli amanti dei reality culinari: menu degustazione a 140 Euro, ticket medio alla carta di 90 Euro bevande escluse. Nel week end è possibile optare per un menu degustazione più breve, ci riferisce il solerte personale.
Due sono i giorni di chiusura, perché Braschi è della scuola più recente secondo la quale il lavoro non deve essere una schiavitù. Sul punto ha reso dichiarazioni a tal proposito riprese da più testate, segno che il suo passaggio televisivo l’ha reso voce già autorevole.
Stringendo. Cosa si mangia da Vibe?
La cucina di Valerio Braschi è essenzialmente un’esplorazione geografica. Una cucina di viaggio, che idealmente parte da casa, dalla mamma e dalla nonna, per spaziare attraverso paesi e continenti. Infatti, il menu degustazione si chiama “Diario di un ragazzo viaggiatore” (beato lui, diranno alcuni”) che probabilmente, come Ulisse, è destinato a tornare a casa.
I riferimenti geografici sono variamente declinati.
Dopo alcuni scenografici amouse-bouche, e a una degustazione di olii d’oliva con il pane fatto in casa, l’incipit è affidato a un brodo udon con anguilla affumicata che denota immediatamente la passione dello chef per i brodi – davvero ben eseguiti – che si ritroveranno lungo tutto il percorso.
Il tocco asiatico è senz’altro il più sentito: nel battuto di gambero blu con zuppa tom yam, cocco e cardoncelli, il soffio thai è quello che spira più forte. Una velata critica all’utilizzo della materia prima così lontana, dalla Nuova Zelanda: vero che vale sempre il discorso del Km. buono, ma nel nostro Belpaese i crostacei sarebbero francamente imbattibili.
Di cuore e di gola sono lumache, ceci e chorizo, forse un po’ troppo affogati nella schiuma, prima di tornare alla casa madre come avevo anticipato sopra.
Cappelletti di “lasagna della Bruna” sono la prosecuzione del tubetto di lasagna, nel senso che ne riprendono il ripieno, e sono eccellenti al punto di valere il viaggio. Quando uno chef ci sa fare con il classico scatta il momento applauso, in cui lo apprezziamo davvero, più che per i fuochi fatui d’artificio di certe alzate d’ingegno di alcuni che poi manco sanno fare bene lo spaghetto al pomodoro.
Bene, dopo aver detto la mia banalità quotidiana, proseguo oltre.
Ci sa fare il ragazzo?
Si, lo si vede anche dal brodo d’agnello di mezzo.
Ha idee il ragazzo? Si, anche se alcune rivedibili, come il morone di profondità (ormai visto e rivisto) con un fondo concentrato di rubia gallega che ne cancella quel lontano sentore di cocco che è la sua caratteristica e che Moreno Cedroni anni orsono ci fece apprezzare in un’esecuzione magistrale, al punto che diventò un suo classico.
Reagisce il ragazzo alle critiche? Si, con un sorriso disarmante, e piazza lì dal menu à-la-carte una pecora con sumak, barbabietola e senape che cancella ogni dubbio.
Dopo questo lauto desco, ti piazza in mano una misteriosa pastiglietta blu e un conseguente gadget edibile che istiga: fallo protetto! Il pasto, cosa avete capito?
Infine mi piazza in mano una sfera del drago di Dragon Ball perché come me ha la passione per il fumetto di Akira Toryiama anche se sul punto non ha ancora sperimentato nulla di edibile. Sfida per il futuro, prendere nota!
Tirando le somme: è bravo Valerio Braschi? Si. E’ creativo, studia, lavora, si applica e vuole arrivare. Stupisce Valerio Braschi? Non sempre, ma siccome nel cappelletto casalingo ha dimostrato maestria massima, sommessamente diciamo che preferiamo essere stupiti nel classico più che nell’astratto.
Vale la pena di andare da Vibe? Ovviamente si, se siete interessati a questo genere di percorso geografico.
Soprattutto considerando la sua perfettibilità, di cui il giovane chef romagnolo è perfettamente consapevole. E la consapevolezza di sé è sempre una gran bella qualità.
Vibe a Milano
Via Arcangelo Ghisleri 1
Tel. 328.6115469
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