Due fratelli, Raffaele e Giovanni, figli di un emigrante tornato dal Venezuela per comprare un po’ di terra a Castelfranci, sposano due sorelle Angela e Lucia. Questa è la sintesi che trovate in questo piccolo Taurasi che si chiama Sant’Eustachio dal nome della località in cui viene coltivato l’aglianico. Un rosso sincero, senza grilli per la testa, che abbiamo passato in rassegna all’Enoteca Garofalo di Avellino insieme all’enologo, Fortunato Sebastiano.
Scoprire le possibilità dell’Aglianico di montagna, piantato a 600 metri in un altezza, forse la vigna più alta del principe dei rossi al Sud, sulla carta sfavorita ma in realtà, con il cambiamento climatico, oggi in vantaggio. Una degustazioni frou frou free scherza Lello Tornatore, il falco delle tradizioni irpine: certamente a queste bottiglie, parliamo di circa 2500 l’anno per una produzione complessiva che su quattro ettari, non supera le 15mila, non ci si arriva facilmente. Primo perché bisogna aver bevuto molti vini, secondo perché Boccella è fuori da ogni lobby e cammina dritto per la sua strada, fatta di lavoro in vigna, gestione della cantina semplice e senza chimica, nel rispetto dell’ambiente. Non forse i rossi più buoni del mondo e nemmeno dell’Irpinia, ma sicuro bicchieri tipici, riconoscibili, non omologati.
A cominciare dalla 2011, ancora irrequieta, fresca, in cerca di equilibrio. Parliamo dell’ultima annata in commercio perché con l’Aglianico la fretta è sempre una cattiva consigliera. Eppure in questa annata calda nella seconda metà dell’estate si vede il vantaggio dell’altura e delle escursioni termiche che contano anche 14, 18 gradi in una giornata.
Perfetta la 2010, forse quella che ci è piaciuta di più per la perfezione, il grande rapporto tra legno e frutto, molto dinamica in bocca.
La 2009 invece si presenta più sottile, più acida, le note balsamiche caratteristiche dell’areale, che Fortunato Sebastiano individua nel mirto, qui passa in secondo piano rispetto all’acidità imperante che riesce a far sopportare un vino che supera sempre di gran lunga i 14 gradi in ogni annata.
Matura la 2008, con un caldo più omogeneo che l’ha resa meno dinamica, più piantata su se stesso, con i toni cupi al naso e il resto in secondo piano, con tannini che asciugano e frenano invece di far scivolare il vino. 2007 altra annata calda, si parlò all’epoca di una seconda versione della 2003, ma è stata quella preferita dagli enologi: e infatti un vino pronto, in equilibrio, dai toni fruttati in primo piano ben supportati dalla freschezza. Un naso più stanco la 2006 ma dalla beva fresca e palpitante mentre la 2005 resta ancora un Taurasi perfetto, equilibrato, di buona complessità.
Sempre toni sapidi, più o meno accentuati per un rosso da spendere tradizionalmente sui piatti robusti e strutturati.
CONCLUSIONI
Una bella cavalcata che conferma come certi principi possano cambiare nel tempo: negli anni ’90 si è cercato la concentrazione e si sono scelti metodo di coltivazione importati da zone freddo e con una luminosità ben più scarsa di quella di cui si gode nel nostro Sud. Si è coltivato il mito di un chilo a pianta. Oggi i gusti evolvono, si cercano vini complessi ma anche meno pesanti, meno concentrati, capaci di stare in abbinamento con il cibo. E in queste campagne silenti delle colline irpine ancora avvolte da paesaggio invernali come nebbia e neve, l’Aglianico si esprime nella sua purezza. Come ha dimostrato questa bellissima verticale.
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