Nei giorni scorsi nella mia vecchia casa di famiglia ci siamo riuniti con alcuni amici per stappare qualche bottiglia. Tra le altre, la verticale di Montevetrano sino alle origini. Una parola sulla conservazione, certamente non ottimale perché le diverse annate, sebbene sempre al buio, sono vissute in città soffrendo numerose estati, tra cui la 2003 davvero terribile, prima di essere trasferite nel Cilento nel 2006. Ho chiesto a Giovanni Ascione, degustatore professionale, consulente aziendale, penna elegante e densa, collaboratore per la Francia di Bibenda, di fare una piccola relazione tecnica a ché resti memoria del nostro stare bene insieme. Di questo lo ringrazio e sottolineo, repetita iuvant, come sia importante la degustazione colloquiale tra amici per capire meglio le bottiglie più impossibili.
L’essenza delle cose
di Giovanni Ascione
Silvia Imparato
Una verticale di Montevetrano. Quante ce ne saranno state finora? Immagino centinaia, forse migliaia, in Campania, nel resto d’Italia, in molti altri paesi in giro per il globo. Un simbolo, l’icona di una storia, di un personaggio e di un’intera regione, un vino in grado di scuotere animi e palati e di raccogliere consensi e successi come pochi altri al mondo. Del Montevetrano sappiamo tutto, come di pochi altri vini. Sappiamo bene, benissimo quale sia la sua composizione in uve, conosciamo la sua vocazione internazionale, ma al tempo stesso il suo legame con il territorio, solo in parte spiegato da quel 10% di Aglianico. Tutti amiamo Silvia Imparato, la sua forza, la sua profondissima eleganza, la sua capacità di attraversare tutte situazioni possibili, dai blocchi stradali di protesta alle più raffinate cene di gala internazionali. Dunque, questa nuova, ennesima verticale potrebbe dare la sensazione di un déjà-vu. Dove sta la notizia? E perché raccontarne? Il primo motivo è di forma. Se le verticali più frequenti abbracciano solo il nuovo secolo ed alcune provano a spingersi fino al mitico 97, ebbene qui parliamo di una serie che trova in questa annata proprio la versione più giovane. Per non girarci attorno, parliamo, di 92, 93, 94, 96 e, appunto, della 97. Il secondo motivo è di sostanza, perché solo andando a scovare le annate più vecchie forse è possibile andare all’essenza delle cose e capire fino in fondo l’assoluta straordinarietà del Montevetrano e della sua storia; quella storia che lo ha portato ai vertici mondiali della critica in anni in cui la nostra regione era ancora dominata da rozzezze incredibili. I primi Montevetrano, le bottiglie più rare, sono infatti le testimonianze più precise ed inequivocabili di quanto il progetto sia già nato pieno, vero, completo ed adulto. Passiamo ai fatti.
Prima bottiglia e siamo subito su livelli assoluti.
La 1992 è stata la seconda annata mai prodotta, poche centinaia di unità, probabilmente meno di mille. Una bottiglia che potrebbe essere resa affascianante già dalla sua rarità assoluta. Ma basta un primo respiro e tutte le indulgenze possono essere messe da parte. Il vino è splendido. Profumi intatti, avvolgenti, cristallini, ampi e cangianti raccontano di un vino senza alcun complesso di inferiorità, in grado di divertirsi in qualsiasi degustazione alla cieca basata su tagli bordolesi. Frutta intatta, sorprendentemente intatta, quadro floreale fresco e articolato, spezie a iosa ed un’elegantissima ed incalzante nota verde gli conferiscono immenso fascino fin da subito. Poi l’opera si completa con una bocca di mirabile equilibrio, per tannini che avvolgono, accarezzano, si rincorrono con i ritorni puntualissimi di tutte le sensazioni nasali, sfociando in una chiusura solo leggermente anticipata rispetto alla perfezione assoluta. Chiudiamo gli occhi, lasciamo libera la mente e pensiamo al Medoc, al Medoc dell’eleganza, magari perfino ad un Margaux di un’annata più che discreta. Quante bottiglie ce ne saranno ancora in giro? Di sicuro un’altra era al nostro tavolo, non aperta per darci la speranza e l’ansia di replicarne le emozioni.
Poi il 1993, più pieno, maschile, solido, invadente del suo predecessore, un vino di ricchezza, con un naso più deciso, che riporta ad una mineralità rotonda, grassa, fusa a spezie dolci e venature fumée. Segue una bocca più ricca e decisa, avvolgente, perfino più lunga di quella del 92, con a chiudere una lunga scia di frutta matura, molto più matura.
Proseguiamo con un 1994 che ha perso la sua battaglia con il tappo. Poco da dire, tanto da recriminare, purtroppo.
Il 1996, invece, racconta poco di sé. Una bottiglia sfortunata, probabile frutto di un lungo percorso di conservazione forse non sempre ottimale.
Ed ecco il 1997. Un campione ancora in pieno slancio, con l’innata ed intatta eleganza del purosangue ed una bocca decisa, persistente, in continua crescita. Grande equilibrio, frutta di nuovo molto fresca, tannini intensi, ma visceralmente integrati. Il più gourmand di tutti, e non solo per una questione di età. Il 97 è un capolavoro per la tavola, sicuramente la bottiglia con la miglior capacità di abbinamento con il cibo della verticale. Insomma, a guardarsi indietro pochi eufemismi per sottolineare la straordinarietà dell’evento.
Le verticali spesso hanno l’effetto di lasciare una sottile scia di frustrazione, causata da molti effetti concomitanti. Il primo è la fretta, perché si procede in gruppo e si ha la spinta a non rimanere indietro, il secondo è la gara tra i vini; si cerca sempre ed inevitabilmente il vincitore, finendo per lasciarsi per strada la caterva di emozioni che pure racchiudono i vini posizionati dal secondo in poi. Infine, l’esigenza di parlare, di doversi confrontare per forza con gli altri, piuttosto che stare a godersi in silenzio sensazioni e suggestioni. Questa verticale, invece, è nata sotto una buona stella, senza gare, tra amici, con tempi naturali e senza forzature. Ed il 92 ed il 97 hanno così avuto tutte le possibilità di raccontarsi e di farsi amare fino in fondo per quello che sono. Né più né meno che dei testimoni straordinari di uno dei prodotti più grandi della nostra terra. Né più né meno che degli splendidi vini. Fatti per essere bevuti fino in fondo.
Ps: Aver avuto l’opportunità di bere queste bottiglie è stata già una grande fortuna. Aver avuto la possibilità di condividerla con le persone fuori dal comune che erano sedute attorno a quel tavolo a Vallo della Lucania sabato Primo Novembre è stato un privilegio straordinario. Grazie di cuore a Luciano, Manuela, Peppe, Bruno, Teresa, Paolo e Michela.
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