di Giuseppe Barretta e Nicola Campanile
Non potevamo mancare. Senza pensarci due volte siamo partiti per Ceglie Messapica pieni d’entusiasmo e curiosità. Ad aspettarci la prima verticale de Le Braci organizzata da Francesco Nacci, chef e patron del Ristorante Botrus, e da Stefano Garofano, conduttore insieme alla sorella Renata dell’azienda di famiglia Masseria Monaci da loro così fortemente voluta da riuscire a convincere il padre Severino Garofano ad abbandonare gradualmente le attività di consulenza presso numerose altre aziende disseminate in tutta la Puglia per dedicarsi tout court all’ambizioso progetto di una delle due più importante realtà, in termini di ettari vitati, della DOC Copertino.
Tralasciamo di dilungarci sulla biografia del Babbo di Stefano (così come a lui piace chiamarlo) perché tanta e ben più quotata letteratura ha descritto e celebrato l’attività di colui che ha restituito legittima dignità ad uno dei vitigni meno addomesticabili ma tra i più intriganti di tutto il territorio pugliese. Solo un accenno alla sensazione immediata che si ha, conoscendolo, di trovarsi di fronte a un personaggio che innanzitutto è stato capace di sentire, immaginare e desiderare quanto poi ha effettivamente realizzato in campo enologico.
A completare un quadro già elettrizzante, il compleanno di Stefano Garofano ha aggiunto alla serata ulteriore brio e sapore.
Le Braci è l’etichetta di punta dell’Azienda Monaci che avvia la sua attività vitivinicola nel 1995 producendo vini anch’essi rinomati come l’Eloquenzia, I Censi e il rosato Girofle, l’ennesimo cavallo di razza e orgoglio della nostra terra prodotto con uve Negroamaro, pluripremiato a Radici. Poi, nella perplessità di voler continuare a destinare tutte le migliori uve di Negroamaro al rosato, la famiglia Garofano decise di realizzare un’etichetta adoperando le uve della vigna più vecchia, 40 anni circa, all’ultimo nato, Le Braci: resa molto bassa, sovramaturazione delle uve, o meglio, avvizzimento spinto degli acini, che conferisce al vino complessità e possibilità di sostenere un lungo invecchiamento. Il vino sviluppa tutte le sue potenzialità durante l’invecchiamento che solo per un anno ha luogo in piccole botti di legno.
Partendo dal convincimento che ilNegroamaro ha la sua espressione più ortodossa ad alberello, pensare a un’audace surmaturazione degli acini farebbe tremare i polsi a chiunque conosce l’ambiente pedoclimatico pugliese, con un caldo capace di far evaporare dalle ossa il freddo dell’inverno precedente. Ci si potrebbe, infatti, subito immaginare un vino eccessivamente sciropposo, maturo, abboccato.
E invece no. Niente di tutto questo. Quando parliamo de “Le Braci” persino la degustazione tecnica è limitativa, perché quello che bisognerebbe descrivere è una sorta di “umanesimo del vino”, attingendo i termini dalle visioni emozionali che alcuni vini riescono a darci, se bevuti con animo allegro o triste, da soli o in compagnia, se in cerca di emozioni o di conforto, con la voglia di rinnovata scoperta o di certa conferma, insomma, sensazioni carezzevoli che escono dal cuore ancor prima che dalla penna. Ci sono vini da momenti oltre che da abbinamenti, e Le Braci è uno di questi.
Ma veniamo alla fredda serata invernale con cinque annate in verticale (2000-2001-2003-2004-2006) introdotti da Stefano Garofano nella bella location di Botrus. Le annate 2002 e 2005 assenti nella verticale non sono state mai prodotte in quanto la produzione delle uve destinate alle Braci viene vinificata e imbottigliata solo nel caso in cui la qualità delle uve è di adeguato ottimo livello.
Botrus è un ristorante recentemente avviato nel centro storico di Ceglie Messapica dalla coppia Francesco Nacci e Evelyn Fanelli, che guidano giovani, intraprendenti e appassionati chef e collaboratori che intanto lavorano alacremente per realizzare il menu che, dopo i 5 assaggi, sarà proposto in abbinamento alle varie annate de Le Braci.
LE BRACI 2000
Si presenta di un bel rubino intenso, con un leggero accenno granato nell’unghia. Al naso ha un bouquet abbastanza complesso con belle note di frutto nero che si concedono molto lentamente, restituendo man mano graduale piacevolezza. È pieno, maturo, nel finale si percepiscono leggere e gradevoli note di humus. La bocca è calda, avvolgente, morbida e molto elegante anche nel tannino. Chiude con una piacevole vena amarognola, caratteristica del vitigno da cui deriva.
Provandolo ancora, anche a distanza di ore, è impressionante quanto slancio e quanta velocità al palato il vino acquisisce man mano che passa il tempo.
LE BRACI 2001
Rosso rubino con un’unghia ancora con note di porpora. Il naso è complesso e intenso, note vinose si sprigionano con eleganza assieme ad un importante frutto rosso e una buona dose di spezie. La bocca è di corpo, piena, avvolgente, calda ma con un’ottima grande sensazione di freschezza. I tannini sono leggeri ed eleganti, lunghi, portano insieme ancora note di frutta. Una chiusura amarognola tipica del vitigno chiude il sorso con un retrogusto di spezie e pepe.
LE BRACI 2003
Rosso rubino con una buona brillantezza, al naso percepiamo ancora un bouquet ampio di frutti rossi maturi ma non appassiti. La bocca ha un ingresso sapido, caldo, morbido insieme a una buona freschezza, nonostante la torrida stagione, in un quadro di piacevole eleganza complessiva. C’è forza, struttura, spalla acida, buone sensazioni di frutti sotto spirito, senza mai ricordare qualcosa di marmellatoso. I tannini sono eleganti e si diradano alla fine del sorso, che si conclude con un retrogusto speziato. Senz’altro il più tipico di tutti.
LE BRACI 2004
Nel bicchiere si presenta granato, ma non stanco. Al naso un’esplosione di frutta rossa matura sotto spirito. In bocca torna la sensazione di pienezza della frutta, molto morbido e tannico; nel finale prevale l’alcolicità, un vago squilibrio verso il calore. La stagione 2004 nel Salento è stata la più calda in termini di durata.
LE BRACI 2006
Rubino vivo, giovane. Naso con evidenti frutti rossi e piccoli frutti di bosco freschi, si percepisce anche un bouquet floreale di poutpourri molto piacevole. In bocca è fresco, il frutto succoso, un buon calore e persistenza, con tannini non eccessivi e un’elegante nota varietale amarognola nel finale. Anche l’annata 2006 si presenta snella, di prontabeva, molto verticale; insomma, un vino piacevolissimo anche in questa fase di vita. Un promettente virgulto certamente in grado di appassionare nelle future verticali.
Nell’insieme, colpiscono le minime variazioni di colore negli anni nonostante l’ampiointervallo di tempo, dal 2000 al 2006.
Il 2000, si presenta con note mature ma tutt’altro che stanche ed è singolare notare la differenza tra due annate come il 2000 e il 2001, così vicine ma differenti tra loro, per variazione pedoclimatica e decisamente anche stilistica.
Il 2001, infatti, è di grande freschezza e nonostante i suoi 11 anni alle spalle, riporta il frutto integro e molto caratteristico a livello varietale.
Il 2003 esprime bene il vitigno con le sue caratteristiche di surmaturazionecombinandole con una buona dotazione di freschezza, equilibrio e armonia tipica del processo produttivo, mentre il 2004, annata particolarmente calda in Puglia, ha ancora da affinarsi e modificarsi nella bottiglia per donarci ancora ben altro in futuro.
Dalle grandi potenzialità future, un cavallo di razza in bottiglia, è il 2006, annata ancora giovane che merita attenzione per la sua immediata piacevolezza di beva, ma che a nostro avviso racchiude in sé importanti prospettive di maturazione ed evoluzioni future. L’appassimento delle uve fa prospettare vini opulenti, grado alcolico elevato, sovramaturazione notevolmente marcata e ci si aspetterebbe una beva non facile ne’ veloce.
Eppure, e questo è l’aspetto che più ci ha sorpreso, abbinare Le Braci del 2000 e del 2001 al risotto mantecato alla parmigiana con ragù di verdure e coniglio alla cacciatora e sentire che stentano a reggere l’intensità dei sapori del piatto e poi continuare con annate più giovani per tentare il giusto abbinamento è la prova che nel progetto a monte del vino la tecnica viene messa al servizio del territorio, del vitigno, delle sue tradizioni, lasciando integro nel vino ogni tratto identitario e conferendogli allo stesso tempo quella facilità di beva e quella immediatezza che sgombra il campo dai pregiudizi sulle presunte asprezze del vitigno.
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