Ancora la verticale di Taurasi Mastroberardino. Pubblico volentieri questo resoconto di uno dei degustatori che hanno preso parte all’evento.
di Vittorio Guerrazzi *
I Campionati Mondiali di Calcio tengono banco, con la loro lunga onda mediatica, una volta ogni 4 anni: in questa occasione, come per le Olimpiadi, diventiamo tutti più nazionalisti e "legati" ai nostri colori… quantomeno giusto il tempo di essere eliminati (vincere è ormai relegato ai ricordi). A tal proposito, lunedì 12 Giugno, alle 21, circa 1 italiano su 2 era incollato alla tv aspettando l’esordio della nostra nazionale. Una degustazione verticale di Taurasi di Mastroberardino, partendo dalla grande annata del 1968, forse capita una volta nella vita: comprensibilissima, a mio parere, la scelta quindi di rinunciare agli omini sul prato verde per dedicarsi a piaceri di cui conserveremo per sempre memoria: il giorno dopo recupererò il mio "nazionalismo"…
L’occasione è di quelle ghiotte: le degustazioni dei prodotti di Campania, Basilicata e Calabria della guida Vini Buoni d’Italia 2007, che sarà edita dal Touring Club, e per le quali Luciano Pignataro ha pensato di coinvolgere anche me e il nostro Presidente Gaspare (riconoscenza illimitata). Una due giorni intensa ed impegnativa in cui le 4 commissioni, ospiti presso le strutture del Savoy Beach Hotel e dell’Hotel Esplanade, splendidamente supportate dall’Amira di Diodato Buonora, dovevano affrontare in degustazione coperta oltre 500 etichette.
La sera prima quindi, Luciano Pignataro decide di "depredare" la sua cantina per offrire, a tutti i partecipanti delle commissioni, questa esperienza unica: 12 bottiglie fanno bella mostra di se, allineate diligentemente sul tavolo a mostrare qualcosa di unico qui al Sud Italia… la storia del vino! Si perchè al di là dei grappoli, dei bicchieri o delle stelle che servono a riempire gli scaffali delle enoteche, la vera storia del vino, in questo Sud, ha sede solo in quel di Atripalda… di ciò diciamo grazie.
Naturalis Historia 2001
Era un pò l’outsider della situazione, inserito un pò per arrivare al numero tondo di 12, un pò perchè, dal 2003, assurgerà al ruolo di Taurasi, affiancandosi quindi al classico Radici.
Vino di punta dell’azienda (non volendo considerare il Villa dei Misteri), si è finora sempre espresso con un taglio di aglianico e piedirosso (al 15%), con una elevazione in legno per 18 mesi e in bottiglia per altri 12 mesi: grande austerità e allo stesso tempo buona freschezza accompagnano una tramatura aromatica di grande stoffa, con fruttato di prugna e ciliegia che si integra perfettamente con uno speziato di liquirizia e pepe. Nell’interpretazione comunque moderna ritrovo una foggia abbastanza classica che apparentemente era un pò andata persa nelle ultime annate di Radici: il passaggio a Taurasi DOCG con la versione 2003 forse suggerisce la nuova strada commerciale dell’azienda, che indirizza la versione Radici del Taurasi ad una maggiore ‘piacevolezza’, e il Naturalis Historia verso una classe più alta e tradizionale. Vedremo.
Radici Taurasi 2001
La conferma di quanto detto su è tutta in questa bottiglia (e in verità anche nella prossima) in cui vediamo un vero cambio di direzione rispetto alla tradizione. Basta una occhiata fugace per vedere la grande differenza tra questo bicchiere e tutti gli altri dal ’98 in giù: cambia la mano dell’enologo (con l’entrata in scena di Enzo Mercurio) e cambia faccia il prodotto.
Grande concentrazione nel rosso ancora purpureo ed impenetrabile, grande concentrazione al naso con un fruttato di buona piacevolezza ed intensità, ottima freschezza in bocca supportata da tannini già abbastanza addolciti. Un vino assolutamente moderno, forse un pò ‘ciccio’ (termine preso in prestito da uno dei protagonisti dei 2 giorni di cui sopra), ma destinato a durare quanto? Purtroppo difficilmente avremo la possibilità di valutare il suo stadio evolutivo quando avrà gli stessi anni del ’68 di questa batteria…
Radici Taurasi 2000
Quanto detto sopra vale anche per questa etichetta: l’anno di differenza però già si sente e questo non depone proprio a favore.
Quello che emerge infatti non sono le evoluzioni aromatiche date da 1 anno in più di bottiglia, quanto piuttosto quella leggera ombra di stanchezza che lo differenzia dal campione 2001… Ritorna così la domanda di cui sopra. Fra 40 anni che ne sarà di questa bottiglia?
Radici Taurasi Riserva 1998
L’etichetta bianca distingue i Radici in versione Riserva dal Radici Classico: un anno in più di cantina dovrebbe regalare al prodotto una maggiore rotondità e, magari, anche una maggiore longevità.
Tuttavia questo campione mi ha lasciato piuttosto perplesso: il colore, anche se non già più concentrato con i precedenti (evidente già alla vista che non c’è ancora la mano del nuovo enologo), mette in evidenza dei cedimenti verso l’amaranto.
Il naso non sembra essere proprio pulitissimo mentre il palato, benchè l’ingresso sia piacevolmente fresco e fruttato, tende a virare verso un finale un pò sofferente che ricorda il dado da brodo. Giudizi contrastanti su questa bottiglia, tuttavia è innegabile per me la differenza con un altro campione simile stappato qualche tempo addietro; ventilo l’ipotesi che non abbia superato integro la canicolare estate 2003.
Radici Taurasi 1996
Il grande assente della serata, il Radici Riserva 1997 (etichetta bianca), lascia il posto a questo ’96 che purtroppo non emerge più di tanto: il naso è piuttosto corto e, benchè supportato da una buona freschezza, il frutto arriva al palato un pò stanco, mentre i tannini hanno cominciato a cedere. Difficile prevedere un futuro ancora lungo per questa etichetta.
Radici Taurasi 1995
I misteri che rendono grande il vino! Così come l’annata precedente non riusciva a mettersi in evidenza, così questo ’95 si impone all’attenzione della platea e schizza ai vertici della batteria.
Fitto più che concentrato (fra i due termini c’è un decennio di cultura del vino), impenetrabile in un nero inchiostro che non ha nessun cedimento: un naso virtualmente infinito che si apre e si chiude e si evolve minuto dopo minuto. Un mistero liquido che affascina tutti.
Un giovinetto ancora al palato, in cui una straordinaria freschezza sostiene un frutto assolutamente integro, screziato di humus e tabacco.
Imponente ancora la struttura tannica che regalerà anni ed anni di longeva austerità: da procurarsi ad ogni costo qualche bottiglia!
Radici Taurasi 1991
Dopo un tale campione è difficile giudicare serenamente questo ’91: non ha evidenziato particolari problemi, riuscendo a non cedere per tutta la lunghezza della beva, ma non ha colpito nè impressionato per peculiarità. Si avvia verso un dignitoso crepuscolo.
Radici Taurasi 1990
Scalcia ancora questo esuberante ’90 che forse comincia a mostrare i primi segni di cedimento sia sulla freschezza che sulla lunghezza, ma ha ancora una tale ricchezza e complessità al palato da non passare inosservato. Segnalato tra i migliori della batteria e rimasto nel cuore di molti.
Radici Taurasi 1989
Ha ceduto. Capita, non tutte le bottiglie possono avere il fiato lungo.
Radici Taurasi 1988
Coprite l’etichetta e servitelo (se avete la fortuna di trovarlo) in una tavola qualunque: nessuno vi dirà mai che avete servito un vino con quasi 20 anni sul groppone! Incredibilmente fresco, integro, compatto eppure polverizzato su uno spettro aromatico di straordinaria ampiezza: setoso al palato, rotondo, pieno, austero, elegante, potente e praticamente infinito. Alla frutta che ancora vuol dire la sua si contrappongono sentori torbati paragonabili a quelli di un whisky di grande stoffa: in mezzo una infinità di terziari in continua evoluzione che non possono non stupire. Da applausi!
Radici Taurasi 1977
Salto indietro di 10 anni: color mattone decisamente scarico, naso tutto ossidato. Vino purtroppo finito.
Radici Taurasi 1968
Altri 10 anni nel passato: questo "ragazzetto" di quasi 40 anni ha strappato quasi delle grida di giubilo ai presenti.
Il frutto ormai ha lasciato il posto ai soli sentori terziari ma l’integrità di questa bottiglia è ancora stupefacente e la freschezza residua ancora invidiabile. In senso assoluto non sarà stato il migliore dei campioni, ma è impossibile mettere da parte il valore culturale e storico di questa etichetta che, a tutti gli effetti, rimane un monumento all’enologia meridionale.
Mi è stato detto che in qualche enoteca di Napoli è possibile ancora acquistarne… circa 100€ per un vero pezzo di storia, il costo di un paio di superconcentrati, iperenologici, masticabili vinoni moderni. Dubbi in merito?
*segretario Associazione Terra di vino
www.terradivino.it
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