Recuperata dalle macerie del terremoto del 1980, l’emozione della 1978 nel giorno dell’anniversario della tragedia
Cinque bottiglie e cinque ragioni di festa, più una: quella che la famiglia Romano ha voluto condividere con un gruppo di amici e giornalisti lunedì scorso.
C’è allegria e trepidazione nella cantina di Montemarano per il recupero di alcune bottiglie di Aglianico della vendemmia 1978, seppellite sotto il fango e le macerie di una casa di campagna di Fontanarosa danneggiata dal terremoto dell’Ottanta.
Il rito collettivo della stappatura e della degustazione, che celebra la vita ritrovata, si consuma proprio nel giorno del ventinovesimo anniversario di quel nero 23 novembre che squassò cose e persone. Alle 19,34, si ricorderà mentre i cinque Aglianico gridano e sospirano dal fondo dei calici dopo tanti anni di bottiglia, il Vulture e l’Irpinia tremarono e quasi tremila esistenze si frantumarono.
La verticale: il battesimo del piccolo Soccorso (2004), la laurea di Nadia (2000), il battesimo di Sabrina (1999), le nozze di Enrico (1998), la bottiglia recuperata dalla macerie (1978). L’uso delle etichette ad hoc per ricorrenze familiari è stato molto diffuso nella cultura contadina irpina sino a quasi tutti gli anni ’90.
Prima che Soccorso, e sua moglie Pasqualina entrassero, con i loro figli, ufficialmente nel mondo vitivinicolo irpino dalla porta su cui è scritto “Il Cancelliere”, affiancati dal loro enologo Antonio Di Gruttola, in casa Romano, come in molte altre della regione, il vino si faceva per il consumo familiare. Mettere a tavola una bottiglia di vino prodotta con le uve della propria campagna è stata per lunghi anni una consuetudine naturale destinata a ripetersi con l’atto del desinare quotidiano eppure tanto eccezionale da volerla ripetere anche nei momenti più speciali. A casa de “il Cancelliere”, come è soprannominato questo canuto e sorridente produttore, sono nate e si sono custodite, così, come si fa con le fotografie o le bomboniere, “n” etichette: quella per il matrimonio di Giuseppe (1978), quella per le nozze di Enrico (1998), quella del battesimo di Soccorso (1999), quella della laurea di Nadia (2000) e, infine quella del battesimo di Sabrina (2004).
La degustazione, nella quale ce le propongono, racconta questa storia, semplice e vera, della campagna campana, ma scrive anche una pagina inedita e carica di simbolismo di quella dell’Aglianico, fornendo degli indizi su come questo vitigno “coriaceo” sfidi, anche senza essere fornito dei paracaduti dei vini moderni, la forza di gravità del tempo e perfino la ferocia degli elementi per arrivare fino a noi. L’Aglianico, mostrerà una volta di più, insomma, come, con il suo carattere, abbia sempre l’ultima parola, e finisca per vincere “perfino sugli uomini”, come ha molto efficacemente ribadito ad “Aglianico e Aglianico”, l’agronomo e amministratore delegato de I Feudi di San Gregorio Pierpaolo Sirch parlando della quasi impossibilità per un enologo di imporsi sul vitigno.
Le cinque bottiglie mostrano nella loro essenzialità un inconfondibile comune profilo gusto- olfattivo che non strizza per niente l’occhio al degustatore, tanto da potersi dire che vini così bisogna, innanzitutto, conoscerli.
Hanno una non grande intensità al naso e una certa reticenza ad aprirsi nel bicchiere, ma una costante presenza, perfino nel campione del 1978, di un frutto di grande personalità, per lo più corrispondente ad una ciliegia matura, accompagnata da una nota di pepe rosa e “sanguigna”, quest’ultima particolarmente evidente nell’annata 1999. Le accompagnano delle note fiorite (di viola mammola, in particolare), di anice stellato e incenso, mai invadenti, che si mettono in particolare evidenza nell’annata 2000 per poi mescolarsi a quelle ancora più morbide, quasi di burro, e di prugna cotta, della 2004. I tannini, esuberanti marcatori dell’Aglianico, sono presenti ma piuttosto levigati, nei cinque campioni.
Il tutto, mentre il colore, dal granato di base del primo (con note aranciate, ma ancora luminoso) e del secondo campione, vira verso il rubino, giungendo ad assumere una sfumatura violacea in quello del 2004. Osservando i bicchieri, la concentrazione del colore subisce un’inaspettata crescita, quasi “a scalino”, a partire dal secondo campione, facendo dei tre successivi liquidi impenetrabili alla vista.
Cosa è avvenuto in azienda in questi anni, ci si chiede? Assolutamente nulla. Infatti prima del 2005 non c’erano neanche le barriques, ma solo qualche contenitore in acciaio e la botte del nonno in castagno che negli anni è stata rigenerata ed è andata conseguentemente a rimpicciolirsi, passando da 50 ettolitri alla metà di oggi. L’avvento di Antonio Di Gruttola nel 2005 non vorrà, imporre uno stile diverso ai vini de Il Cancelliere, come spiega lui stesso.
Per credo e stile, l’enologo di Ariano Irpino, titolare anche dell’azienda biologica Cantina Giardino, accompagnerà con discrezione il miglioramento del vino senza rivoluzionarlo, nella convinzione che la materia prima di Montemarano, uno dei riferimenti geografici dell’eccellenza nel Taurasi, abbia stoffa che non si presti alla confezione, ma al gran abito di sartoria che, con pochi accorgimenti, cade a pennello su chi ha il gusto e la cultura per apprezzarlo.
Pensavo: in 24 ore dal Gevrey Chambertin 2002 di Denis Mortet della famiglia Santini a Canneto sull’Oglio a questa fantastica verticale nella campagna irpina. Cosa mi lega a mondi così diversi? L’emozione curiosa della verità e il gusto per l’artigianato (l.p.)
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