Per la loro prima verticale Ciro Picariello e sua moglie Rita, non potevano avere occasione più solenne: il pomeriggio della presentazione della nuova guida ai vini di Slow Food.
Alla bella Locanda Carafilia di Capriglia Irpina, al benvenuto di Luciano Pignataro ai colleghi, alle delegazioni di Campania e Puglia e al curatore Giancarlo Gariglio, segue rapidamente il momento del vino, momento emozionante preparato con la consueta professionalità da Mauro Erro.
La sintesi estrema della degustazione del Fiano di questa piccola azienda (5 ettari e 25000 bottiglie) di Summonte, a un passo da Montevergine, sta tutta nella risposta alla prima domanda di rito posta a Ciro Picariello: “Come li lavorate?”. Lui che, dopo il diploma di geometra conseguito nel 1985, dal 1993, ha iniziato a impiantare viti su alcuni terreni della moglie per poi acquisirne degli altri, via via, risponde, sorridendo, “Non ci facciamo nulla!”.
Il mosto fermentato per 60 giorni in un ambiente a temperatura piuttosto elevata per aiutare il lavoro dei lieviti, è schiacciato e dopo la svinatura, fa 12 mesi di stoccaggio in acciaio. Nessuna stabilizzazione o filtraggio, solo un passaggio indispensabile per un filtro a 1 micron prima di imbottigliare, a ottobre dell’anno successivo alla vendemmia, per poi uscire sul mercato solo a marzo.
L’impressione complessiva
Con i bicchieri di fronte, mi colpiscono l’annata 2006 e la 2008, l’una, per la sua finezza e sottile mineralità e, l’altra, per il suo bouquet floreale e agrumato.
Nell’assaggiare, durante la cena, una seconda bottiglia della 2004, poi, la rivaluterò per la perfetta compiutezza di questo millesimo che, oltre ad essere il primo commercializzato ha un significato speciale, in quanto espressione in purezza del territorio di Summonte.
E questo un vino che, aperto qualche anno fa, a un palato non aduso alle acidità che il vitigno può esprimere, è per di più nelle condizioni pedoclimatiche di quella specifica vigna di Picariello, lo stesso produttore non stenta a definire “imbevibile”. Dico io: di difficile comprensione (specie se non bilanciato da un piatto adeguato).
A Summonte, infatti, a 650 metri sul livello del mare, la vigna sta su un suolo piuttosto povero, e, anche se esposta a est, ha i filari orientati verso nord per rispettare la conformazione del terreno. A Montefredane, invece, la vigna, esposta sud est beneficia costantemente e a lungo, racconta Picariello, dell’irraggiamento solare.
Per questa ragione, oggi, Montefradane, zona che in questi anni si è ricavata una chiara fama per la produzione di Fiano di grande qualità, grazie anche al contributo dei Troise, sta a Summonte, in casa Picariello come un tempo stava la Coda di Volpe al Fiano e al Greco. Sostanzialmente, ne abbassa l’acidità, che in annate particolarmente fredde può essere viperina.
“I grappoli maturano prima e sono perfettamente dorati” racconta Ciro Picariello parlando delle uve di Montefredane. A partire dal 2006, vinificate separatamente, appezzamento per appezzamento, Summonte e Montefredane, con i loro 2,5 ettari ciascuno, contribuiscono al prodotto finale in proporzioni uguali, ma un progetto, non si sa quanto vicino alla realizzazione, va nella direzione opposta: farne due cru. In questo caso, ovviamente, sarebbe il tempo a fare da addomesticatore.
Un Fiano, è cosa ormai sufficientemente risaputa (?!), può affinarsi lungamente e, come per l’ennesima volta dimostra l’annata 2004, con la sua brillantezza e il suo robusto scheletro acido, dai quattro anni di vita in poi, comincia a trovare un equilibrio che gli dona piena godibilità.
L’annata 2005 e quella 2007, invece, presentano due note molto diverse, ma comunque entrambi “stanche”. Il primo una nota molto intrigante al naso, sulle prime, quasi di idrocarburi, e il secondo una nota di pera stramatura.
Entrambi i campioni, con una maggiore coerenza tra olfatto e gusto, per la seconda, rimangono piuttosto statici nel bicchiere, evidenziando come una sorta di “rilassamento”, in definitiva e una certa attitudine a essere monocordi, che in bocca, però, non trova uguale corrispondenza.
La verticale, glass by glass
2004 Colore paglierino con riflessi dorati, brillante. Si muove con provocante lentezza nel bicchiere. In bocca (parlo della bottiglia più fortunata, la seconda) ha una grande dinamicità. Al naso ha tutti i connotati che in maniera più disordinata mostreranno gli altri campioni: profumi minerali e fumè, fusi a note agrumate, qui, piuttosto morbide, come di cedro candito. In bocca si rivela un vino grasso, con un attacco abbastanza morbido e che ha la capacità di conquistare il centro bocca, allargandosi con sospinto da una buona acidità. E’ abbastanza caldo e decisamente lungo. Pieno ed equilibrato. Un vino che sta bene anche da solo, ma che scopro a tavola ben sposato alle Tagliatelle con crema di baccalà su crema di broccoloni.
2005 Mentre si dice che la 2004, stia mettendo in evidenza dei grandi bianchi, non si può dire altrettanto per questa vendemmia. Il vino è di un paglierino quasi dorato, ma non ha la stessa lucentezza del precedente. Il naso evidenzia la suddetta nota evoluta, che va nella direzione di una nota minerale esasperata. Salmastra. Il vino ha grande intensità, ma non una grande ampiezza nel proporsi al naso. In bocca è decisamente più interessante, conservando una inaspettata acidità. Nel complesso però non entusiasma risultando come non coerente. Chiude sapido e abbastanza lungo.
2006 Si è raccolto a inizio ottobre, anticipando un po’ rispetto al solito perché, racconta Ciro Picariello, nell’ultima parte dell’annata ha piovuto molto.
Prima di rivalutare la 2004, come ho detto, la 2006, era stata la mia preferita. Lo resta per la sua finezza e freschezza, nonché per la presenza di una nota al naso, ben fusa con le altre, di nocciola tostata che va oltre un semplice fumè presente decisamente nell’annata successiva. In questo, come nella 2005 e nella 2007, devo rammentarmi che il vino non è filtrato, per cui non ha la limpidezza e luminosità da manuale che ci si potrebbe aspettare. E’ dei campioni che ho davanti quello che, con la 2008, per ragioni comprensibili, quello che mostra la più interessante prospettiva.
2007 Come il secondo campione, questo si presenta un po’ fermo nel bicchiere. La nota di pera, che pure è tra i descrittori del Fiano copre tutte le altre e risulta un po’ matura. E’ bene ricordarsi che è stata un’annata decisamente calda. L’agrumato, pure presente, con una nota fumè che è, bene o male, una costante di questi Fiano Picariello, si esprime con una nota di bergamotto, quindi gradevolmente amara. A dispetto di un profilo olfattivo un po’ stanco, il vino conserva una eccellente freschezza. Si vede che, come nella 2005, questo Fiano non è risolto, in cerca di un equilibrio tra naso e bocca.
2008 E’ una grande annata, questa, per i bianchi in Campania. Il vino ha tutte le cose a posto questo Fiano, pur essendo giovanissimo. Di certo nel tempo ne avrà di cose da dire. Sebbene non sia che un’anteprima, questa annata, con tutte le prudenze per un agrumato quasi citrino che può anche lasciar spiazzato il neofita, è da tenere sotto osservazione. In ragione della sua tenera età dona al naso una esuberante florealità, di fiori bianchi, delicati e, per questo, non è invadente. In bocca dà grande soddisfazione, ripulendo il palato con la sua acidità, si, ma anche avvolgendolo con il suo corredo saporoso. Ha un lungo finale, sempre accompagnato da piacevoli strascichi minerali, che convince proprio. E’ perfetto con il panzarotto fritto con Cardilli e mosto cotto.
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