Pubblichiamo l’intervista che Franco Ricci ci ha rilasciato al Mattino nell’inserto di oggi in edicola. Il presidente dell’Ais Roma e direttore di Bibenda invita a ripensare la comunicazione del Vino. L’Italia? C’è ancora analfabetismo. La regione più promettente? La Sicilia.
di Martino Iannone
«è a livello di analfabetismo la conoscenza del vino in Italia. Dagli anni ’60’ ad oggi è cambiato poco o nulla nonostante facciamo vini sempre migliori e d’eccellenza. è un problema culturale e manifestazioni come il Vinitaly, così come concepite, non possono certo migliorare le cose».
Franco Maria Ricci, presidente Ais Roma e direttore di Bibenda, anche quest’anno all’evento veronese non ci sarà: «Non ci vado per motivi di stanchezza. Fino a qualche anno fa avevamo un bellissimo stand Ais Roma e Bibenda giudicato tra i più suggestivi, poi l’abbiamo tolto. Questa manifestazione non è che un appuntamento per il popolo del vino, ormai ampiamente circoscritto, che ne approfitta per incontrare i suoi produttori. C’è poco business e molto star system. Del resto i dati parlano chiaro: in Italia su 52 milioni di persone, chi solo tre milioni possono considerarsi conoscitori della materia».
C’è qualche problema di promozione?
«Altro che! Tutte queste degustazioni a catena, con centinaia e centinaia di etichette, rivolte a un pubblico con minime conoscenze di base, al Vinitaly come altrove, non sono che bevute in compagnia. Far assaggiare a chi non capisce è pure controproducente».
Qualcosa cambierà?
«Non credo se chi governa la casupola continua a non investire sulla crescita della cultura di base e a puntare sui ritorni a stretto giro. Cosa fare? Magari far partecipare alle degustazioni solo chi ha alle spalle un corso di almeno un anno, un anno e mezzo».
Non è un paradosso parlare di cultura del vino in piena crisi economica?
«La crisi nel vino di cui stiamo parlando non c’è. Lo dicono i dati: nel 2008 c’è stato un calo nella produzione di bottiglie ma +7% nei ricavi. Qualche problematica c’è nel settore della ristorazione per gli eccessivi ricarichi che ritengo ingiustificati. Poi c’è il timore che gli Stati Uniti spingano sul protezionismo il che potrebbe danneggiarci considerato che per l’Italia è il primo mercato».
Molte aziende però lamentano la crisi.
«L’Italia del vino ha il futuro roseo e i produttori lo sanno. La forza sono i nostri terroir, tantissime micro realtà che permettono di realizzare prodotti di ampia gamma e interesse e nello stesso tempo vini dal timbro internazionale. Questo è formidabile e ci permette di superare anche quella polverizzazione che, secondo alcuni, impedisce di aggredire i mercati esteri».
Quindi meglio tutti contro tutti?
«No, non voglio dire questo. Chi produce un grande vino conosce le regole dei mercati esteri. Chi è più tipico, invece, basa il suo business sul territorio. Il legislatore, intanto, vuole portare a tasso zero l’indice alcolemico per guidare. Ma se parliamo di vini di eccellenza è un paradosso: non è concepibile accostare l’alcolismo a un prodotto di cultura. Chi ha cultura sa quando smettere».
Quale sarà la regione del vino 2009?
«Sarà apoteosi Sicilia. Per qualità, per aver fatto squadra. Si respira aria di Francia sull’isola. Stanno organizzando il lancio del logo “Vino di Sicilia” e non avverti produttori parlare male dei propri colleghi come accade in realtà come Toscana e Veneto dove è improprio parlare di regione e dove si è anche un po’ fermi negli ultimi anni in termini di qualità».
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