di Stefano Buso
Ci siamo: pronta al via l’attesa vendemmia, seppur in ritardo rispetto a quella passata, grazie al clima magnanimo. Si annuncia abbondante, generosa di qualità – due elementi vincenti – che dovrebbero sostenere significative “soddisfazioni”. Uve buone, dolci, ricche di nettare.
Chicchi che sembrano gemme preziose modellate dal sole e… dalla fatica degli uomini. Già, proprio quel lavoro impegnativo di produttori e maestranze di cui troppo spesso non si parla perché non “fanno notizia”.
Tuttavia, oltre a queste confortanti prospettive, da nord a sud un grido d’allarme corre sullo stesso binario. Sul mercato c’è parecchio vino invenduto: moltissime bottiglie che il consumatore non s’è filato nonostante la qualità del Made in Italy enologico.
Significa che la saturazione sta proprio nella parte terminale della filiera, quella che guarda dritta negli occhi il consumatore. Fare in modo che il mercato si liberi dall’invenduto equivale scansare furberie e probabili speculazioni, omaggiando la nuova produzione. Oppure qualche illuminato da ferree soluzioni tardo-estive ha pensato ad una radicale rottamazione anche per il vino? Nei fatti, restano infinite problematiche concernenti a un’evidente sovrapproduzione enologica e ai tanto auspicati (e mai visti) abbattimenti dei prezzi.
Come stampa di settore segnaliamo da tempo questi aspetti, sia per tutelare il consumatore, sia per far in modo che dinnanzi alla prospettiva di una vendemmia come quella in itinere (tranne spiacevoli sorprese settembrine) non si accodi il cruccio di come e… dove smaltire il vino. In buona sostanza, lavoro e sbattimento all’origine, e poi la bella notizia che a valle c’è ancora molto vino da “digerire”. Troppe bottiglie invendute equivalgono a far precipitare il prezzo dell’uva.
Lo spettro crisi potrebbe serpeggiare tra i vigneti con tutte le nefaste ripercussioni che avrebbe per il settore e l’indotto. Noi tocchiamo ferro, siamo moderatamente ottimisti, ma vigiliamo…
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