Ricordate la copertina Espresso su Velenitaly? Bene, alla vigilia del Vinitaly mi arriva via sms proprio un bella notizia. Maurizio Gily, che aveva criticato l’impostazione di un articolo contenuto nel famoso numero dell’Espresso Velenitaly, ed era stato per questo condannato a pagare 5000 euro, ha vinto in Appello.
Di quella vicenda restano però due angoscie di cui non mi riesco a liberare: la prima è che questo stile ha poi fatto scuola, penso alle puntate di Report su pizza e Caffé, ad altre copertine del genere (Bevi Napoli e poi muori) che ha inaugurato il media food terrorism.
La seconda è che la raccolta di fondi per sostenere le spese di Appello raggiunse l’obiettivo grazie a tanti piccoli contributi. I grandi consorzi, le associazioni professionali e di categoria (a parte Slow Food) , le grandi aziende del vino che hanno ripreso a macinare fatturato, non ritennero di fare nulla, il vantaggio mediatico di una sottoscrizione era annullato dalla paura di urtare qualche suscettibilità.
Perciò anche se Maurizio ha ecumenicamente titolato “una vittoria del vino italiano”, io mi permetterei di correggere: “una vittoria di coloro che difendono il vino italiano”.
Ma forse, il titolo più giusto è quello che ho dato a questo post.
Ed ecco cosa ci racconta Maurizio.
E’ un bel giorno: per me, per Millevigne, per la giustizia, per il vino italiano, per la libertà di stampa.
La corte d’appello di Trento ha ribaltato la sentenza di primo grado con cui, nel dicembre 2013, il Tribunale di Rovereto mi aveva condannato, come autore e come direttore di Millevigne, per la mia dura critica all’articolo dell’Espresso “Benvenuti a Velenitaly” firmato da Paolo Tessadri, che aveva seminato il panico tra consumatori e operatori alla vigilia di Vinitaly 2008. La notizia era quella di un’enorme quantità di vino “avvelenato” (si usò addirittura il termine killer), circolante per l’Italia, in relazione a due episodi di frode vitivinicola in Veneto e in Puglia. Come noto la frode ci fu, ma secondo la ricetta secolare dell’allungo dei mosti con acqua e zucchero, quindi senza alcun serio rischio per la salute. Ovviamente due reati di ben diversa gravità e di ben diverso impatto sul pubblico. Insomma quella dell’Espresso era una “bufala” con tutti gli attributi, come già era stato confermato da due Ministeri (Salute e Agricoltura) e dal procuratore capo di Taranto Aldo Petrucci, titolare di uno dei due rami dell’inchiesta. Di vero ci fu però l’enorme danno provocato al vino italiano, non solo dai soliti truffatori ma anche dalla cattiva informazione. Questo scrissi, con toni più canzonatori che requisitori, e sicuramente non offensivi (sono molto tentato di ripubblicare il pezzo, ma non lo farò perché non voglio infierire), e per questo Tessadri mi citò in giudizio sostenendo di essere stato diffamato.
Il tribunale di Rovereto, contro ogni mia previsione, mi condannò al pagamento di 5000 euro (contro le 25.000 da lui pretese) a favore di Tessadri più spese legali, per “incontinenza espressiva”, cioè per aver usato espressioni poco gentili nei confronti del collega, pur riconoscendo nella sostanza che Millevigne aveva scritto la verità: “… atteso che non vi è questione in ordine al fatto che il dott. Gily, nello scrivere, abbia riportato notizie vere”.
A quel punto, in cui il mio umore e la mia fiducia nella giustizia avevano toccato insieme il fondo, alcuni amici cari, tra cui voglio ricordare in particolare Cinzia Scaffidi, Giancarlo Gariglio, Andreas März, Luciano Pignataro e Beniamino D’Agostino, mi spinsero, dapprima riluttante, ad aprire una sottoscrizione pubblica per raccogliere fondi per affrontare il processo di appello. Vignaioli, agronomi, enologi, giornalisti, importatori, ccoperative, ognuno fece la sua parte per sostenere la mia causa con scritti, con appelli e con contributi in denaro, e non solo dall’Italia.
Tutto è ancora visibile online su buonacausa.org, anche un elenco (in realtà incompleto e con molti anonimi) dei sottoscrittori:
http://buonacausa.org/cause/velenitaly-ricorso-in-appello-per-maurizio-gily
Centosessanta sottoscrittori, obiettivo di 15.000 euro centrato, e ricorso in appello presentato!
A distanza di un anno la corte d’appello dice che avevamo ragione noi e il nostro accusatore torto, e lo condanna al pagamento delle spese legali e alla restituzione di quanto ottenuto in primo grado. Siamo ancora in attesa del disposto e delle motivazioni della sentenza, ma possiamo immaginare che abbia accolto in pieno le tesi della difesa, basate sul diritto di critica e sulla verità di quanto scritto, magistralmente esposte nella memoria difensiva di un vero principe del foro di Torino, il mio compagno di banco del liceo e amico fraterno Giampero Pani.
Cosa posso dire, grazie davvero a tutti quelli che mi sono stati vicino. Tanta solidarietà mi ha commosso e mi ha fatto pensare che avevo già vinto, avevamo vinto noi tutti, qualunque fosse stato il giudizio d’appello. Ma ora anche la giustizia ha dato ragione a me, a noi.
Non sappiamo se la controparte deciderà di ricorrere in Cassazione, né se tale ricorso possa essere accolto. In quel caso si dovranno aspettare alcuni anni per un verdetto definitivo, del quale però a questo punto non ho più timore. Sono certo, come lo è il mio legale, che se chiamata in causa la Suprema Corte non avrà dubbi su chi si è comportato bene e chi male. Il fondo accantonato per la difesa rimane per ora congelato su un conto corrente dedicato. Quando potremo considerare la vicenda definitivamente chiusa sarà la comunità dei sottoscrittori a decidere come utilizzarlo (Restituzione uno per uno? Beneficienza? altro?) Mi premeva chiarirlo per motivi di trasparenza.
Sono felice e non voglio nasconderlo. Almeno oggi, almeno qui, in un minuscolo pezzo di mondo, giustizia è stata fatta.
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