Quando si nomina Caggiano lo si fa come se si sottintendesse che è davvero lontano. In realtà lo è meno di quanto si pensi. Un’ora scarsa da Salerno, ancora meno da Potenza, un’ora e mezza da Napoli e da Avellino, quasi tutta autostrada.
Una piccola realtà sospesa, nel senso buono del termine ovviamente, col suo centro storico ricco di bellezze e panorami mozzafiato, dove vivono ancora soltanto 250 persone, con la sua varietà di risorse eno-gastronomiche e naturalistiche.
Caggiano è un simbolo forte di un’Italia che non fa rumore, quell’Italia che è fatta soprattutto da piccoli paesi, quasi tutti nell’entroterra, quasi tutti affannati dall’emorragia dei giovani che se ne vanno.
Eppure in questi paesi si respira ancora quell’Italia autentica, fatta di cose buone, in tutti i sensi. E dunque tradizioni che si conservano, il saluto anche a chi non si conosce (perché le strade sono troppo piccole per ignorarsi), la speranza di riuscire a tutelare un grande patrimonio di biodiversità.
Da queste basi è nato un progetto “La Strada degli Antichi Vini”, volto a valorizzare la storia locale, l’enogastronomia e a stimolare una nuova cultura della vite e del vino.
…in un luogo in cui visse un medico greco, di nome Menecrate, noto per la sua scelta di curare col vino.
E da questa radice la speranza è che nasca un futuro per una cittadina che con i suoi quasi 3.000 abitanti vorrebbe sviluppare al meglio potenzialità naturali: un turismo rurale, culturale, enogastronomico.
In questa tre giorni, svoltasi dal 2 al 4 marzo 2012, è stato registrato un tutto esaurito sperato ma inatteso. Dunque accolti con favore i diversi momenti della kermesse: dai laboratori guidati alle degustazioni, dal seminario al convegno passando per il percorso turistico alla scoperta del territorio.
Non cito quasi mai i politici, ma in questo caso l’affermazione dell’assessore al turismo della Regione Campania, Giuseppe De Mita, fotografa bene la realtà: “si può mangiare con le tradizioni e la cultura, purché esse sia collegate alla produzione”.
UNA TERRA PREMIATA, UN’IMPRENDITORIALITA’ VIVACE.
Solo di recente tre grandi premi hanno portato il nome di Caggiano fuori dai suoi confini e agli onori della cronaca. Qui dove quasi tutte le aziende lavorano in biologico, l’Azienda Agricola Pucciarelli ha vinto il Premio “OliVia 2011” di Casa Vissani per il suo olio. Medaglia d’Argento, invece, per Tommaso Morone, chef del Ristorante Il Panorama, per la Gara Internazionale di Cucina di Marina Carrara. Stella Michelin – invece – per la giovanissima Locanda Severino ed il suo chef Vitantonio Lombardo.
I LABORATORI.
Un territorio può essere ben raccontato attraverso i suoi frutti, questo è stato fatto nei laboratori organizzati nelle due mattinate di sabato e domenica e curati dalla sommelier Nicoletta Gargiulo, presidente dell’AIS Campania e dalla sommelier e delegata ONAF Salerno, Maria Sarnataro.
Un viaggio nell’unico vino in bottiglia prodotto a Caggiano, seppure quasi ogni famiglia abbia l’abitudine di allevare una vigna e di produrre il proprio vino, firmato dall’Azienda Agricola Pucciarelli.
Denominato “Il Caggianese” questo vino è un blend di Aglianico, Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon, ottenuto da un ettaro scarso sito a ridosso della montagna di San Giacomo.
2500 bottiglie che sostanzialmente sono consumate sul posto alla Locanda Severino e che rappresentano un’altra grande scommessa del medico-imprenditore che ha dato vita a diverse eccellenti produzioni.
“In molti anelano ad una Ferrari o ad altri beni di lusso. Il mio è poter portare avanti – grazie alla mia terra ed al mio territorio – delle produzioni apprezzate e delle realtà che ricevono grande plauso”, spiega Franco Pucciarelli.
Affermazioni che bene spiegano lo spirito di questa scommessa imprenditoriale, già vinta, e con un grande futuro.
La prima annata de “Il Caggianese” è stata la 2008, confrontata e degustata durante il laboratorio curato da Nicoletta Gargiulo, accanto alla 2009 ed alla 2010.
Tre vini diversi, per questioni climatiche e per quantità delle varietà di uva, accomunati però da un’ottima bevibilità, da una rotondità ed un’eleganza spiccata. Tre annate senz’altro da riprovare negli anni a venire, di cui sarà interessante scoprirne l’evoluzione.
IL SEMINARIO “ALTA QUOTA, ALTA QUALITA’”.
Oggi più che mai, in un momento in cui i cambiamenti climatici stanno spostando le coordinate della viticoltura e di tutta l’agricoltura, riflettere sull’alta quota e sulla sua influenza sulle produzioni è importante. A farlo tecnici del settore quali il nutrizionista Antonio Vacca, il medico metabolista Mario Infante, Rosa Pepe del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Angelo Raffaele Caputo del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura di Turi (BA), l’ampelografo Enrico Bachechi e l’enologo Gennaro Reale.
L’opinione comune è che nella montagna c’è futuro e che senz’altro è culla naturale di una ricca biodiversità e di un ambiente salubre, condizioni base per lo sviluppo di un’agricoltura eccellente.
LA CUCINA CAGGIANESE.
L’arte culinaria caggianese nasce e si sviluppa parallelamente alla sua storia subendo l’influenza di svariate culture, in particolare di quella napoletana del 1700, del 1800 e degli inizi del Novecento. Molte famiglie nobili e personaggi di cultura di origine caggianese, residenti stabilmente a Napoli, erano proprietarie di estesi possedimenti a Caggiano ed attingevano da tale luogo i prodotti ed il proprio personale di servizio; l’ottima qualità degli alimenti e degli aromi si è mescolata alle tecniche culinarie partenopee dando origine a piatti ricchi, estremamente elaborati, che negli anni sono diventati protagonisti di una cucina di alta qualità ed unici per la loro particolarità.
È sorta, così, una vera e propria scuola e tradizione culinaria tramandata, di generazione in generazione, grazie all’opera di maestri cuochi, l’ultimo dei quali è Francesco Pucciarelli (1860-1936), al quale si deve la preparazione di uno dei piatti tipici della tradizione culinaria locale ossia il “pasticcio caggianese”. Dalla sua opera nasce la scuola delle “cuoche della cucina caggianese”, ricordate ancora oggi per la loro abilità.
E questa grande storia non è stata affatto tradita. Anche oggi in paese è possibile gustare i migliori piatti della tradizione in ben 7 ristoranti: le aziende agrituristiche Il Capitano e I 2 Boschi, i ristoranti pizzeria Castello, Panorama e Cocò, ed i ristoranti La Tana del Lupo e Locanda Severino.
E’ in quest’ultimo che ho potuto degustare alcune straordinarie interpretazioni della cucina tradizionale.
Doverosamente vanno citati tre piatti: i filinfant in brodo leggero, i fusilli al ferro con sugo di costina di maiale salata al profumo di alloro e rafano grattugiato ed il pasticcio caggianese monoporzione.
Per gusto personale non posso esimermi dal celebrare i filinfant, una pietanza di grande eleganza sia visiva che nel gusto. Un babà salato adagiato in un brodo davvero leggero e morbido, una zuppa d’entrèe che basta a se stessa.
Ed il pasticcio di Vitantonio qui ritrova una nuova vita, forse più adatta ai gusti moderni. Alleggerito (per quel che è possibile) è meno prepotente del tradizionale, seppure l’insieme di formaggi di diversa stagionatura e di carne ne fanno un piatto impegnativo.
Inutile (forse) ribadire quanto la Locanda sia simbolo dell’offerta gastronomica che oggi tanto si ricerca. Un’ottima squadra che lavora insieme regalando una sensazione davvero familiare, un luogo antico ed importante ma non austero, l’impressione di gustare – assieme ai piatti – un tempo dimenticato che però…ancora ci appartiene.
Antonella Petitti
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