Una giornata sul Pollino con Federico Valicenti, ambasciatore lucano di biodiversità

Pubblicato in: Città e paesi da mangiare e bere

di Giulia Cannada Bartoli

Certe giornate, certi momenti ti occupano per sempre l’anima, e gli occhi occhi: istanti fotografati con la mente e catturati con  il cuore, persino con l’effetto sonoro, ti pare di risentire ogni voce , ogni suono,anche il più impercettibile,  appena il ricordo si fa strada nella tua testa, a volte lo sogni. Ciò può verificarsi solo in alcuni luoghi, via dalla folla, via dal sé, intrappolato in, spesso inutili, brighe quotidiane e  nella vita programmata, quasi già scritta.

Si può, però,  decidere, almeno per un giorno,  di sterzare, virare  a 360°dal sentiero battuto. Ecco che i sensi si risvegliano, si ha voglia d’aria pulita, spensieratezza e  libertà. Ci si sente in allerta,  pronti a passare dall’assopimento della mente  alla piena coscienza delle cose importanti: l’uomo, la Terra, Madre Natura, i colori, il verde, l’azzurro, il giallo, i fiori, le ginestre , poi le faggete folte e infine le conifere: eccoci siamo sul Monte Pollino a oltre 1500 metri sul livello del mare.  Il massiccio svetta maestoso sui piccoli paesi a valle, parte del parco nazionale.

In qualche modo, qui nulla è mutato. Certo, sono arrivate le comodità della vita moderna e della tecnologia, ma la gente, soprattutto gli anziani, è rimasta la stessa, nel modo di parlare,  nella fisionomia, nel  vestire,  nel sentire e nei rapporti interpersonali. Poco è cambiato, me ne accorgo entrando nel  bar dall’avventuroso  nome “  007” a  Terranova di Pollino.

Al banco due anziane figure, marito e moglie, mi salutano per primi e mi danno il “tu” come fanno con tutti. Mentre prendo il caffè, sbircio dietro una tenda: un juke box anni ’60 da una parte, che volentieri porterei a casa e, dall’altra,  le malefiche slot machines Las Vegas style.

Siamo in agosto, qualche turista si aggira per i vicoli stretti tra  vecchie case di pietra e nuove villette di cemento.

La maggior parte della gente è di qui, per lo più emigranti rientrati per le vacanze, il lavoro è poco e l’agricoltura ha perso  purtroppo la centralità di un tempo.  Passeggiando tra i vicoli, ecco il l’insegna che cercavo. Mi aspetta, dopo aver percorso ripide scalette, il sorriso rassicurante di Federico Valicenti, l’Oste sapiens di Terranova di Pollino, infaticabile ambasciatore della Lucania e delle sue eccellenze da quasi quarant’anni.

Il suo sorriso placa ogni affanno, ci si rilassa subito, basta affacciarsi dalla meravigliosa terrazza e respirare a pieni polmoni, aria di montagna, mista ai profumi che arrivano dalla cucina. Federico ha preparato un tavolo tondo, segno di convivialità, con un posto libero per lui che va e viene dagli altri, per nulla  rumorosi tavoli di ospiti,  con la stessa attenzione e voglia di apprendere. Ridendo, il Valicenti  mi fa : “qui persone a dieta, come vedi, non ce ne sono.” Alle sue spalle trionfa una spettacolare, gigantesca forchetta in legno, scolpita da un solo tronco e realizzata appositamente per lui da un amico e cliente, artista del nord Europa. Si aprono le danze,  – a farvi digerire ci penso io dopo,  – dice ridendo Federico. In un attimo  la tavola si affolla di giovani camerieri   (assunti e formati da Federico dopo il diploma di scuola alberghiera) con  una sequenza di antipasti che da sola vale il viaggio. Tutto autoctono, nessuna contaminazione extraregionale. Partiamo dalle bruschette con lardo e crema di peperoni di Senise, ancora fumanti.

Il pane abbrustolito nel forno a legna è fantastico, Fare il Pane e’ un ‘arte antichissima, ancora viva in tutta la Regione. Sulle pendici del massiccio del Pollino, a Cerchiara di Calabria,  (l’origine di Terranova di Pollino si fa risalire alla seconda metà del 1500 ad opera di Fabrizio Pignatelli, appunto Marchese di Cerchiara). il Pane ha una forma di una strana pagnotta “con la gobba” del peso di 2 o 3 chili, e si mantiene morbido e saporito  per due settimane. Impastato a mano con il sessanta per cento di farina di grano tenero integrale e il quaranta per cento di grano duro rimacinato, lievito madre, sale e acqua di sorgente, viene lasciato a lievitare per due ore e poi cotto nel forno, utilizzando legna di quercia e di faggio, per quattro ore. Con il marchio del Parco Nazionale del Pollino, che lo riconosce come prodotto tipico dell’area protetta, questo pane  ha oggi un altro riconoscimento: Cerchiara è stata infatti inserita tra le “Città del Pane“, di cui fanno parte i luoghi più significativi della panificazione tradizionale italiana.

Il pane accompagna un misto di salumi di produzione propria di Federico. Passiamo  agli antipasti caldi, siamo preoccupati, Federico ci rassicura: con calma, non c’è fretta .” Due piatti terragni e originali: Tortino di patate rosse con salsiccia lucana e pipi cruschi,  poi un divertente omaggio ai 150 anni dell’unità d’Italia: crespelle, o meglio,  pettole di farina  di grano carosella ( in italiano –maiorca-, si tratta di una varietà che cresce a 1200 mt. con lunghi filamenti simili a capelli, da qui il termine “carusella”).

Tortino di patate rosse, salsiccia lucanica e pipi  cruschi

Quella rossa è stata impastata con acqua, farina,  polvere di peperone di Senise e farcita con  caciocavallo; la bianca solo con  acqua farina e farcitura di prosciutto crudo di montagna, per decoro un piccolo asparago selvatico della Val d’Agri, a dimostrazione del continuo peregrinare di Federico in tutti gli angoli della sua Lucania.


Gli antipasti avrebbero potuto continuare , ma, abbiamo pregato l’oste sapiens di passare ai primi, tra tutti i Cavatelli di mischiglio della Contea di Chiaromonte alle cinque erbe, il viaggio della Lucania in un piatto. Con dispiacere soprassediamo all’assaggio delle eccellenti carni, agnello e capretto sapientemente acquistati e cotti alla perfezione. Ci lasciamo tentare da un dessert tutto di montagna: ricotta tiepida ai profumi di cannella, mandorle e miele di castagno, capace di mettere chiunque di buonumore.

 

Caffè rosolio di liquirizia o finocchietto  e via in marcia per la digestione.

Siamo diretti a San Severino Lucano, il paese più vicino al Santuario della Madonna del Pollino. Saliamo attraversando alcuni piccoli centri agricoli,  Torre e Salice.

La strada si fa  sterrata con una serie di “digestivi” tornanti, tra faggete prima e, più in alto,  conifere. Il santuario si trova  a 1500 mt,  su un costone dal panorama mozzafiato, nei pressi la piccola cappella con la   statua lignea della Madonna del Pollino.

Siamo in un luogo puro, sacro, mi si passi il paragone blasfemo: ritengo che la terra di Federico Valicenti sia altrettanto divina, ricca di eccellenze semplici, templi del gusto tra le mani del nostro oste, attento e studioso ricercatore delle tradizioni orali tramandate dagli anziani, un patrimonio inestimabile.  Dopo quasi 40 anni  Federico è diventato un profondo conoscitore  della storia di ogni singolo prodotto della sua Basilicata, la Terra dei Re e del Fuoco, lo  stesso che arde nel suo cuore e nella sua mente. Instancabile “brigante e cavaliere”, vagabondo del gusto, armato  di fucile con minimo quattro pallettoni:  passione, consapevolezza della sacralità del cibo, voglia di trasmettere il proprio sapere alle nuove generazioni  e “capa tosta” da vendere. Finora non ha mancato un colpo…que viva Lucania, adelante Messer Valicenti, Lunga vita a Luna Rossa.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version