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Una giornata in Paradiso a Cantine del Mare tra vigne e fornelli con Gennaro Schiano

Pubblicato in: I vini da non perdere
Campi Flegrei Bellezza infinita

di Giulia Cannada Bartoli

I Campi Flegrei sono conosciuti da millenni per la loro bellezza e unicità di terra, dove i quattro elementi della natura danno vita a qualcosa di molto simile al Paradiso, anche se in questi giorni tanti abitanti vorrebbero fuggire… dobbiamo resistere e lottare per questa terra unica al mondo.

Goethe nel suo “Viaggio in Italia” così descrive i Campi Flegrei: “brevi e felici passeggiate in carrozza o a piedi attraverso il più prodigioso paese del mondo. Sotto il cielo più limpido, il suolo più infido; macerie d’inconcepibile opulenza, mozzicate, sinistre; acque ribollenti, crepacci esalanti zolfo, montagne di scorie ribelli a ogni vegetazione, spazi brulli e desolati, e poi, d’improvviso, una verzura eternamente rigogliosa, che alligna dovunque, può e s’innalza su tutta questa morte, cingendo stagni e rivi, affermandosi con superbi gruppi di querce perfino sui fianchi d’un antico cratere. Ed eccoci così rimbalzati di continuo tra le manifestazioni della natura e quella dei popoli. Si vorrebbe riflettere, ma ci si sente impari al compito.”.

Spiaggia di Acquamorta

 

La leggenda di Acquamorta

In una delle insenature di Monte di Procida, si nasconde la spiaggetta di Acquamorta che accoglie un graziosissimo porto rivolto verso l’isola di Procida. È una meta romanticissima e molto gettonata, soprattutto per la meravigliosa vista che regala all’alba e al tramonto. Il curioso nome deriva da un’antica leggenda legata alle sue origini. Si narra che, in questo luogo, vivessero un pescatore e sua figlia di nome Acqua. Un giorno, la fanciulla si ritrovò in balìa delle onde, rischiando di annegare, ma fu salvata da un giovane pescatore procidano. Da allora, i due si sentirono uniti da un profondo legame e facevano di tutto per potersi incontrare nella piccola spiaggetta nascosta dall’insenatura. Qualche tempo dopo, alla notizia che il suo amato aveva perso la vita in un tragico incidente in mare, Acqua non sopportò il dolore e decise di lasciarsi annegare per ricongiungersi per sempre con lui. Da questa triste e suggestiva leggenda, gli isolani hanno deciso di dare alla spiaggia il nome di Acquamorta, a testimonianza dell’amore che legava i due giovani protagonisti della storia.

La storia di Monte di Procida e del vino montese

Dopo la fondazione della colonia di Miseno, Monte di Procida ne fu parte integrante, tanto da assumere il nome di Monte Miseno. Lo splendore dei Campi Flegrei iniziò ad appannarsi nel V secolo d.C., quando i barbari devastarono il territorio, spingendosi fino a Baia e Miseno. Da Cuma, Pozzuoli e Miseno molti evacuarono verso Napoli, altri rimasero a coltivare e a navigare. Intorno all’anno 850 d.C. Miseno venne distrutta dai saraceni. I cittadini di Miseno scapparono: una parte verso l’isola di Procida, un’altra fino a una zona pianeggiante: l’odierna Frattamaggiore. Cancellata Miseno, il suo territorio fu aggregato all’isola di Procida, lasciando il territorio sulla terraferma in uno stato di completo abbandono. Il monte si era ricoperto di vegetazione selvaggia, una foresta quasi inaccessibile, tanto che nella seconda metà del XV secolo Re Ferdinando I aveva destinato “il Monte” alla caccia reale. Il vero e proprio ripopolamento iniziò per opera dei procidani solo nel XVII secolo, quando il Monte aveva assunto ormai il suffisso “di Procida” a evidenziare la stretta connessione con l’isola. Con il passare del tempo, i coloni procidani consolidarono la loro presenza sul Monte e intorno alla metà del 1600 venne costruita la prima cappella, che sarebbe poi diventata la chiesa della Madonna Assunta, la santa patrona. Si procedette al disboscamento graduale; s’iniziò prima a seminare il grano, poi a coltivare le viti per produrre il noto vino montese. Il potenziamento dell’allevamento degli animali da cortile, in particolare dei conigli nei caratteristici fossi, e la sistemazione a terrazza dei terreni diede un grande impulso al decollo di Monte di Procida.

Nel 1642, la Mensa arcivescovile di Napoli, in seguito alla favorevole risoluzione della vertenza legale con il Regio Fisco per il possedimento del Monte, decise di concedere in enfiteusi vari lotti di terreno ai braccianti procidani. Con la concessione in enfiteusi dei terreni iniziò il vero e proprio insediamento sul Monte, dapprima come pendolarismo giornaliero, poi come residenza stagionale, fino alla creazione di stanziamenti permanenti dalla prima metà del XVIII secolo. I primi coloni che arrivarono sul Monte iniziarono a piantare principalmente alberi da frutta: limoni, arance, mandarini, pesche, pere, mele e soprattutto la tanto amata vite. I contadini procidani scoprirono ben presto che il vino prodotto sulla borgata Monte, grazie al fertilissimo terreno, alla maggiore elevazione, all’esposizione ottimale e al favorevole microclima, era decisamente migliore del vino prodotto sull’isola con le stesse uve, tecniche, metodi e strumenti. I coloni procidani si insediarono quindi stabilmente sul Monte fino a far registrare nel 1829 , 1.500 abitanti. Il vino prodotto sul Monte divenne ben presto apprezzato in tutta Napoli e provincia e la richiesta superava sempre la produzione. Il vino montese inizialmente viaggiava esclusivamente per mare all’interno di barili di legno (varrili) di 43,62 litri e in piccole botti di circa 250 litri (meza votta) trasportati su piccole imbarcazioni a vela, dapprima via Procida e in seguito direttamente da Torrefumo verso Pozzuoli e soprattutto verso la città di Napoli. Successivamente, grazie anche all’ampliamento della rete stradale, per contenere i costi e comunque nei periodi di mare agitato, il vino veniva trasportato anche su carrette trainate da asini, buoi e cavalli. Su un carretto si riuscivano a caricare fino a 24 barili. Nelle annate buone, da un moggio (nu’ muoio) di terreno montese, corrispondente circa 3.365 mq, i contadini riuscivano ad ottenere fino a 3 botti di vino, oltre tantissimo vinello e aceti vari. Ogni botte poteva contenere fino a 492 litri. Si producevano principalmente aglianico, piedirosso (pière palùmme) e falanghina. Sul Giornale delle Due Sicilie del marzo 2017, fu pubblicato quest’annuncio: “Nella cantina, Strada porto n.10, detta del Romano, si trovano vendibili a prezzi discreti, ottimi vini del Monte di Procida, Forio d’Ischia, di Somma e di Palma economici“

Ma che prezzi aveva il vino montese? In un numero del Giornale delle Due Sicilie dell’anno 1821 comparve il seguente annuncio corredato di prezzi: “Nell’antico magazzino di vino e ristoratore in Toledo, strada porta Carrese di Montecalvario n.86-87-88, si trovano vendibili i generi seguenti vini in barile di Posillipo ducati 1,50; Gragnano ducati 2,40; Lagrima della Torre del Greco ducati 3,00; S.Eufemia ducati 4,20; Monte di Procida ducati 4,20” Insomma il vino di Monte di Procida era il più costoso con prezzi anche doppi o quasi triplicati rispetto ad altri famosi e ottimi vini del Regno. Solo il S.Eufemia era venduto allo stesso prezzo, ma su di esso gravavano le non trascurabili spese di trasporto dalla lontana provincia di Reggio Calabria fino a Napoli.

Di quella terra e di quei vigneti, oggi, a Monte di Procida è rimasto veramente poco. I contadini sono quasi del tutto scomparsi e di vino se ne produce poco, a parte qualche rara eccezione, si vendemmia e vinifica per il solo consumo personale.

Gennaro Schiano, classe 1972, montese doc, è una di queste eccezioni. Gennaro in campagna ci è praticamente nato: dai 7 ai 14 anni, dopo la scuola aiutava papà Vincenzo, conosciuto come “Cucuzzella” , poiché coltivava zucche e zucchine. Mamma Gelsomina, detta “ ‘a cestarella”, per via degli occhi acuti come il falco (cestariello). Gelsomina, con i suoi occhi attenti, è stata un’antesignana della selezione delle uve. L’uva raccolta nelle “fescine”, veniva trasferita nei “tennellone” e poi nei “miez tiniell” (casse e cassette di legno) veniva rovesciata sul tavolo, dove Gelsomina imponeva il controllo acino per acino! Le “fescine”, ancora appese in bellavista in cantina, sono esattamente le stesse ceste coniche a punta ancora utilizzate per la vendemmia dell’Asprinio di Aversa… mi racconta Gennaro, che in quegli anni anche nei Campi Flegrei la vite si coltivava con l’ “alberata”, ovvero con tutore vivo e che tra le sue vigne ancora c’è qualche vecchia vite maritata.

L’azienda agricola di quegli anni era florida, c’era qualche mucca da latte che si consegnava al mattino presto allo zio Valentino, pasticciere in Bacoli e cinque o sei maiali. Ancora, conigli e galline ovaiole.  Gennaro andava in campagna con il padre, sacchi di juta intorno le scarpe, per non sporcarsi e bagnarsi. Si piantavano ortaggi, fave, piselli. C’erano alberi da frutta e naturalmente, viti di piedirosso e falanghina dalle quali si produceva vino sfuso.  Terminata la scuola, a 14 anni, Gennaro decide di raggiungere la sorella in America per lavorare come cuoco. La sua esperienza americana dura dieci anni. Rientrato a casa, papà Vincenzo era invecchiato e non ce la faceva più a lavorare in campagna. Le leggi erano cambiate, non era più possibile tenere mucche e maiali… Gennaro decide allora di cambiare strada e dedicarsi alla ristorazione: con un amico apre un ristorante a Formia, la società ancora esiste ma il nostro vignaiolo ha sempre meno tempo da dedicarvi.

Nel 2003 un nuovo cambiamento di rotta, stavolta definitivo: Gennaro, contadino fin nelle ossa, decide di aprire una cantina e di dedicarsi alla produzione di vino di qualità a Monte di Procida, da nove anni era stata riconosciuta la Doc Campi Flegrei.

Da allora, è quasi storia recente: ho conosciuto Gennaro proprio in quegli anni, ai tempi delle selezioni per la Guida Vini Buoni d’Italia. Vigneti meravigliosi, terrazzamenti flegrei affacciati sul golfo di Pozzuoli. Pali di castagno dei Monti Lattari che durano anche 15/20 anni, viticoltura eroica si: si lavora a forza di braccia e di zappa, non c’è acqua, soltanto quella raccolta dal cielo nelle “catene” le fosse che si scavano ai lati del vigneto e nelle vicinanze del bellissimo orto di circa un ettaro dove Gennaro orgogliosamente coltiva ortaggi di ogni genere, fave, i piselli Santacroce, la cicerchia flegrea e il pomodoro cannellino flegreo di collina. La squadra della vigna è formata da quattro “giovanotti”: Daniele, originario del Ghana, con Gennaro da dieci anni, Gigino ‘O Stacchiello, Gigino ‘O Storino e Michele Bicicletta, gli ultimi tre viticoltori montesi da generazioni.

Piedirosso e Falanghina, a piede franco, in diverse versioni: Brezza Flegrea, spumante di Falanghina metodo Charmat, da vigna in pianura, a Torregaveta, in località “Cavetiello”.

Luce Flegrea, da sette diverse vigne di Falanghina; Torrefumo, cru di Falanghina dalla bellissima vigna ad “anfiteatro, in località Bellavista; Sorbo Bianco, appena 1300 bottiglie di Falanghina da viti di 120 anni.

Un raro rosato da Piedirosso “Corallo Rosa”, prodotto solo in alcune annate, ultima la 2022, di cui vi racconto a breve…

“Terrazze Romane”, Piedirosso cru prodotto in circa 4.000 dalla vigna “anfiteatro”, “Sorbo Rosso”, Piedirosso da unica vigna che esce dopo due anni; Terra del Padre, appena 1300 bottiglie da vigna di 150 anni.

Cantine del Mare è da quasi 10 anni associata alla Fivi, in vigna si lavora con lotta integrata e trattamenti al minimo, addirittura nelle vigne in località Cigliano, non è necessario intervenire con lo zolfo, vista la vicinanza con la Solfatara!

A tavola con Gennaro… avevo avvisato il vignaiolo/cuoco della mia perenne dieta: si è limitato… zuppetta di cicerchie con crostini di focaccia cotta nello storico forno a legna di mamma Gelsomina (quello dal quale il nostro usa sfornare meravigliose pizze), a crudo olio Evo di produzione propria (Leccino, Itrana e qualche vecchia varietà locale).

A seguire un profumato risotto con broccoli e agrumi con topping di gambi di broccoli saltati con peperoncino e pane croccante aromatizzato alle alici. Chiusura con scorzetta di limone dell’orto grattugiata. Un piatto di campagna ma elegante, equilibrato e molto ben eseguito.

In abbinamento, ho assaggiato Brezza Flegrea 2022, lo spumante di Falanghina metodo Martinotti: giallo paglierino con qualche lampo dorato, perlage fine e di buona persistenza. Al naso affiorano note di erba tagliata e agrumate, seguono sbuffi di mandorla e nocciola tostata, il tutto avvolto da una piacevole scia minerale e marina, la vigna è in pianura, praticamente sul mare.  Al gusto arrivano agrumi e mandorla, chiudendo con la sapidità flegrea, dovuta al terreno di tufo giallo e all’onnipresenza del mare. Prezzo a scaffale sotto € 20,00

Luce Flegrea 2023 è la Falanghina entry level: giallo paglierino tendente al dorato. Al naso un leggero soffio d’idrocarburi, poi bellissime note agrumate e la tipica chiusura salmastra. Al gusto ritornano i sentori olfattivi, governati da freschezza e sapidità, segno di un ottimo lavoro in campo e in cantina. Prezzo in enoteca € 16,00

Torrefumo Falanghina 2021, è la bottiglia cru, dalla vigna Anfiteatro: il vigneto è stato impiantato in un’antica cava di pietra tufacea di origine vulcanica, recuperata e rimessa in produzione che ricorda appunto un anfiteatro. E’ un vigneto di circa venti anni affacciato sul mare. di fronte a Procida e Ischia. Si presenta giallo dorato intenso e luminoso. Al naso note iodate, uno sbuffo d’idrocarburi, ginestra, agrumi flegrei e macchia mediterranea. La sapidità investe il palato, il sorso è fresco, bilanciato lungo e avvolgente. 2021… lunga vita assicurata. Prezzo in enoteca € 20,00

Vado via travolta da una sorta di “saudade”, una nostalgia di ritrovare al più presto tanta bellezza.

 

Cantine del Mare, Via Cappella IV traversa, 5 Monte di Procida 80070 (Na) – 081/5233040 Alessandra Carannante: 392 104 5555, Gennaro Schiano: 329 781 1787 – info@cantinedelmare.it – Enologo Arturo Erbaggio, ettari:11, bottiglie:40/50.000

 


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