di Annito Abate
«Seconda stalla a destra, questo è il cammino e poi dritti fino a Miscano, poi la strada la trovi perché porta ai formaggi da Re».
Non me ne voglia Bennato se “attraverso” in maniera differente la sua “isola che non c’è”, percorrendone una via “lattea” alternativa e spingendomi lontano, nell’alto sannio beneventano, fino a raggiungere l’ultimo paese ad oriente della Provincia che spinge il suo territorio fino ai confini con la Puglia.
L’O.N.A.F. (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio), all’interno del Corso di Primo Livello, ha organizzato una giornata di “studio” e degustazione dei famosissimi Caciocavalli di Castelfranco in Miscano con visita ad alcune aziende di produzione e trasformazione del latte; appuntamento all’uscita di Benevento Centro per raggiungere le “terre ad oriente”.
Il tempo non promette nulla di buono e so che si dovranno raggiungere altitudini abbastanza considerevoli, certamente ben oltre quelle collinari; qualcuno decide, pertanto, di equipaggiarsi a dovere ma lungo il cammino la luce riesce a passare oltre le nuvole e ad illuminare il paesaggio che si accende di colori vivi passando dal verde dei campi di grano, già in fase di crescita, al marrone di quelli appena seminati.
Alle 11:04 “bussiamo” alle porte di Castelfranco in Miscano nelle Terre del Fortore, ad attenderci c’è già Michele, con altre tre persone, pronto a scortarci fino alla sua Azienda Lattiero Casearia.
L’etimologia di questo Paese, poco meno di mille abitanti, unisce i tre concetti di fortezza (l’antico castello), di libertà (il territorio franco) e di natura (il fiume Miscano), sorgendo alla confluenza di tre Terre di confine tra Sannio, Irpinia e Puglia; il suo paesaggio è prevalentemente pianeggiante e circondato da campi coltivati a cereali e pascoli che hanno favorito la nascita di fattorie attrezzate per l’allevamento di ovini e bovini.
Al di sopra dei tetti delle case allineate la linea lontana dell’orizzonte è ritmata dalle pale del “Parco Eolico” che bianchissime ruotano lente e costante, arricchendo il paesaggio.
Da queste parti il vento è una cosa seria e si fa sentire in moltissime giornate dell’anno, ora ad intrufolarsi tra i rami dei alberi radi e sparsi tra le pieghe delle alture arrotondate, ora sorvolando pecore e mucche al pascolo, oppure andando ad accarezzare il grano per formare un mare di onde dorate. Le macchine del vento ci accompagnano su per i colli, si percepisce che stiamo salendo, che si sta per raggiungere la parte più alta del paesaggio; il cielo sembra più vicino e, ad ogni curva, sembra quasi di dover scorgere uno strapiombo, ma la natura ci regala dolci e variegati, pendii con tinte quasi ipnotiche che preparano alla calma vegetazione boschiva della vetta.
Da queste parti l’attività prevalente è l’allevamento del bestiame che qui assume un particolare valore poiché è fondato su razze autoctone; non è un caso che da qui passava il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, autostrada della transumanza “percepibile”, in molti tratti, ora per un inatteso pianoro scampato alla trasformazione del suolo, ora per i resti lapidei delle vecchie fontane ed abbeveratoi degli animali in transito.
Passando dalla collina ad un paesaggio già pedemontano raggiungiamo il “Caseificio Miscano” nella Contrada Searusso dove si produce, soprattutto, il Caciocavallo di Castelfranco in Miscano, prodotto in maniera artigianale per tutto l’anno con latte vaccino; ottimo è quello fatto in primavera, quando il bestiame si alimenta ancora all’aperto, prima di essere portato nelle stalle a trascorrere il freddo inverno.
La stagionatura può essere di poche ore o pochi mesi (2 o 3) e dona un prodotto fresco tipo scamorza, oppure di oltre un anno e regala complessità di profumi ed aromi e sapori intensi e persistenti.
Abbiamo degustato un caciocavallo stagionato 12 mesi, crosta sottile giallo paglierino, pasta interna più chiara, profumi fini, anche con note vegetali ed aromi che volgevano verso leggere note tostate e di frutta secca; un piacevole piccante ha accompagnato i sapori in equilibrio, buona la persistenza.
Ingredienti di questo meraviglioso prodotto: latte, siero, sale, acqua, caglio di vitello e, all’occorrenza, fermenti liofilizzati.
«Riceviamo il latte da tante piccole stalle della zona, massimo 15 capi ognuna» ci spiega Michele circondato da moglie, padre e madre evidentemente. «Questa è la centrifuga con setaccio, questo il pastorizzatore, le vasche di deposito e sgrondo» continua il casaro, spiegando i vari percorsi che il siero compie per trasformarsi in ricotte e creme. «Sui “tavoli” si estrae il “filo” di pasta che viene raggomitolato, lavorato, formato a mano con testina e mandato in salamoia».
Al suono di questa ultima parola il mio sguardo, seguendo il dito del produttore di caciocavalli, si posa su una vasca rettangolare dove galleggiano silenti “lattiginose boe” a forma di pera, tutte simili e rigorosamente munite di rigonfiamento sferico sulla sommità utili a “strozzare” le forme durante la stagionatura che avviene in coppia ed, appunto, a cavallo di travi.
Alta è la tentazione di toccare queste morbide forme ed è solo la visita successiva che mi fa desistere.
Entriamo nell’altro caseificio, più grande e con macchine per lavorazioni più automatizzate, ne usciamo che è mezzodì e, ritornando “sul luogo del delitto”, ad attenderci c’era un “banchetto lattiero-caseario”: bocconcini e trecce di mozzarella, scamorze arrotolate e ripiene con olive, prosciutto e rucola, formaggio primo sale, ricotta e naturalmente la vera ragione della nostra macinata di chilometri, la degustazione del Caciocavallo di Castelfranco in Miscano. Pane di Montecalvo, veramente eccellente!
Saliamo di quota e raggiungiamo l’Agriturismo “Casearia” sul Monte Tufara per visitare l’allevamento e per una “sosta pranzo”. Il corridoio delle stalle separava, con sconcertante simmetria, le vacche di razza bruna e frisona che sornione ammiccavano sfoderando sguardi dolci per ottenere più cibo; l’ottimo fieno era disposto in balle dalle quali i bambini presenti ne strappavano grandi fasci per sfamare i vogliosi animali.
E’ ormai pomeriggio inoltrato quando visitiamo l’Azienda Agricola dei Fratelli Marcantonio, sempre in vetta, qualche tornante più in là.
300 capi di cui 100 in lattazione, circa 20 quintali di latte al giorno di alta qualità conferiti prevalentemente alla Parmalat; una prima stalla, poi in salita, è quasi buio, scarpe nel fango verso la seconda stalla.
Tutto è automatizzato e computerizzato e le mucche si vanno a mungere da sole, presentandosi ai cancelli dove precisi laser eseguono una scansione delle quattro mammelle prima dell’intubazione per la liquida estrazione.
Siamo circa un metro e mezzo più alti del locale dove avviene il “deposito lattico”, le mucche sono in fila, le più disinibite fanno tutto in nostra presenza, ne una resta tra il cancello ed il resto della stalla: «la nostra presenza la intimidisce» dice l’allevatore cicerone; in effetti l’espressione dell’animale tendeva a confermarlo visto che, testa piegata su un lato, la vacca sembrava in procinto di arrossire.
Di ritorno verso la casa del casaro, assistiamo alla realizzazione di un Caciocavallo con metodo molto tradizionale, quasi un contrasto voluto con le innovazioni viste pocanzi: da mani artigiane ai piedi un tino in legno fumante, un melone prendeva forma dalla calda pasta attorcigliata, trasformandosi poi in una sorta di medusa dalla quale sarebbe fuoriuscita la testina per l’impiccagione del formaggio.
Applauso dei presenti!
Torniamo nel primo pomeriggio ci avevano detto gli organizzatori del “candido tour”, qualcuno aveva anche azzardato una previsione numerica ed ha detto 16,00, l’espressione dei volti dei tifosi più sfegatati era apparsa allora più distesa.
Quando alle 20,00 i fari della macchina fendevano ancora le nebbie del Sannio solo la stanchezza e la soddisfazione per quanto vissuto hanno permesso di “godere” dei calcistici risultati in differita, ma solo per gli amanti di questo sport.
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