Decisamente le vendemmie 2004 e 2005 segnano il boom del Fiano fuori dall’Irpinia, stavolta non solo in Cilento, ma un po’ ovunque: oltre che in Sicilia con Planeta e in Basilicata dove allo storico Paternoster si affianca Bisceglia di Lavello che propone, prima azienda non campana, un Fiano di Avellino docg, ora esce in purezza anche nel Salento e nel Barese. In Puglia la tradizione c’è sempre stata, ma veniva utilizzato soprattutto per profumare il Bombino, uva di miserrima qualità olfattiva. Ma è soprattutto il risveglio del Sannio a colpire gli appassionati: La Guardiense, Torre Gaia, Fattoria Monserrato, Terre Stregate, e adesso anche Fattoria La Rivolta, le cui vigne sono sdraiate alle falde del Taburno proprio a fianco a quelle di Libero Rillo. I vini di Paolo e del suo socio Sasà, pensati da Angelo Pizzi, hanno una caratteristica tipica di tutti i prodotti del Sannio: stare al top in Italia per il rapporto di soddisfazione per il consumatore, neanche Puglia e Sicilia riescono a competere perché i vini sotto i cinque euro di queste due regioni sono sicuramente buoni ma un po’ piallati, direi banali. Invece le bottiglie sannite rivelano sempre una tipicità di territorio che li rende immediatamente riconoscibili ed è questo il motivo per cui nei concorsi «coperti», ossia quelli in cui si assegna il voto senza conoscere l’etichetta, sono sempre in grande spolvero, come è accaduto con Impeto di Torre del Pagus, prima fra oltre 300 rossi del Sud al concorso Ersac di dicembre. Ma veniamo al Fiano Sannio doc (il disciplinare del Taburno non lo prevede in purezza) della Rivolta: giallo paglierino, ha buona intensità e persistenza sia al naso che in bocca, caldo, ben equilibrato, rivela la vocazione per i piatti della cucina di mare campana a cominciare dai quei calamaretti su vellutata di spollichini di Rocco Iannone al Pappacarbone. A differenza della mineralità tipica dell’Irpinia, in questo caso prevale la frutta, pera bianca, accompagnata da sentori di erbe di campo. Il Fiano ha fatto bella mostra di sé, così, semplicemente pensato in acciaio, ieri sera nell’atelier di Luciano Ferrara a corso Vittorio Emanuele, nel cuore di Napoli, al secondo appuntamento «wine&foto», abbinamento tra arte del vino e quella della fotografia che ha fatto incontrare due persone innamorate del proprio lavoro. Completa una batteria di bianchi di tutto rispetto, a cominciare dalla mitica Coda di Volpe, ormai collaudata, la rappresentazione del livello più alto raggiunto da questo vitigno in Campania assieme all’Alopegis di Salvatore Molettieri.