di Mimmo Gagliardi
I viaggi di ritorno sono sempre fonte di tristezza. Si vivono male perché segnano il ritorno alla realtà metropolitana, che le vacanze sono finite e si torna a vivere in pantaloni lunghi, camicia e scarpe chiuse abbandonando spiagge, monti, boschi e campagne.
Per tutti è così, ma non per me!
Infatti da sempre cerco di stemperare il dispiacere del rientro facendo qualche sosta da amici che vedo di rado lungo la strada che devo percorrere. Così, di buon mattino, lascio la fresca pineta gallipolina, che è stata la mia tana nei giorni di Lucifero, per tornare a Napoli. L’itinerario, questa volta, prevede due soste: una a Sava (leggi Gianfranco Fino) e l’altra a Gioia del Colle (leggi Pietraventosa).
Il pensiero di rivedere i miei amici mi rallegra, così come bello è il ricordo dell’esperienza della vendemmia salentina di Negramaro e Primitivo cui ho assistito nei giorni precedenti. Da Rivabella percorro una parte della litoranea in direzione Taranto godendomi il paesaggio mozzafiato della Puglia. Qui i campi di grano (ormai mietuto), gli oliveti ed i vigneti si alternano alla vista fondendosi con la linea di costa, a volte quasi fino a tuffarsi in mare. Una costa a tratti rocciosa e frastagliata, a tratti lineare e fatta di sabbia chiara e fine.
Appena superata la splendida spiaggia di Punta Prosciutto lascio il mare per deviare verso l’interno. Un cartello mi annuncia che sono entrato nella terra degli antichi Messapi e, subito dopo, un secondo banner mi comunica che mi trovo nella terra del vino Primitivo di Manduria. Sava (TA) è una piccola cittadina dove hanno sede molte cantine sociali, o cooperative vinicole e pochissimi piccoli produttori da poche migliaia di bottiglie. Gianfranco Fino, appartenente alla seconda categoria ma personaggio che non necessita di presentazioni, mi attende sull’ingresso della sua cantina e, nonostante me la sia presa comoda godendomi il viaggio, mi accoglie comunque con un sorriso e con la cortesia che hanno sempre contraddistinto lui e la sua vulcanica consorte, Simona Natale.
Senza indugio alcuno ci dirigiamo verso i vigneti ad alberello, di cui sono innamorato. Gianfranco ci tiene particolarmente a farmi conoscere e comprendere a pieno il suo progetto enologico. I terreni dove si producono l’ES (circa 7 ettari) e lo JO (circa un ettaro) sono dislocati in più punti, distanti tra loro e, forse, è proprio questo ad essere il punto di forza di questi vini. Posso ammirare un vigneto con alberelli di età relativamente “giovane”, circa 40-50 anni e un secondo con piante di circa cento anni. Gli alberelli pugliesi sono delle vere e proprie sculture. Spuntano dal terreno e, come tentacoli nodosi, si protendono verso l’alto sostenendo i (volutamente) pochi grappoli. La composizione dei terreni è la classica presente da queste parti con rocce sciolte ricche di ferro (da qui il caratteristico colore rosso) misto a rocce calcaree, presenti in banchi o in massi e sassi, talvolta affioranti.
Gianfranco adotta un’agricoltura di tipo biologico, priva di ritrovati chimici (infatti tra le viti si trovano anche altre piante ed erbe) e che si affida a minimi trattamenti a base di zolfo e rame. Tale principio di conduzione dei terreni e delle piante, associato ad una resa quantitativa minima pretesa dalle viti, consente di migliorare la qualità delle uve che giungono in cantina per la vinificazione.
L’uva è matura. Alcuni grappoli presentano acini con principi di appassimento e nei prossimi giorni verrà raccolta. Con Gianfranco assaggiamo un acino maturo ed uno appassito: la preponderante acidità è percettibile già nella polpa e nel succo del frutto, così come netta è la ricchezza materica ed aromatica della buccia. Il chicco appassito, poi, è una goduria per il palato, tanto che Gianfranco mi conferma che in quest’annata, viste le particolari condizioni di integrità e salubrità delle uve, produrrà anche un passito che, una volta tornati alla base, potrò assaggiare poiché già vendemmiato qualche giorno prima.
Facciamo ritorno in cantina lasciando la distesa di alberelli a crogiolarsi al sole e mi viene concesso un assaggio dalle vasche dell’ES 2012 e del passito. Ovviamente si tratta di poco più che succo d’uva, ma vi assicuro che, come dagli acini assaggiati in campagna, già si può percepire la stoffa di cui saranno fatti entrambi i vini.
Vista giungere l’ora di pranzo, i coniugi Fino ci chiedono di accomodarci con loro ed i collaboratori di cantina, per la pausa pranzo. Chi ritiene che qui si consumi un pasto frugale o che, addirittura, si addenti un panino mentre si lavora, ha sbagliato indirizzo. Per Simona il pranzo è un momento sacro e tutto, anche le attività febbrili di una cantina in vendemmia, può attendere un po’ prima di proseguire. Così tra chiacchiere e risate, gnocchi e parmigiana di melanzane, ci concediamo un sorso del bellissimo JO 2010 (solo un sorso, perché devo guidare). Di ES, il pluripremiato e notissimo primitivo di Manduria di Gianfranco Fino hanno parlato in tanti, ma di JO, da uve negramaro, se n’è parlato di meno, anche se il vino, a mio modo di vedere, non è inferiore al suo più famoso fratello.
JO annata 2010, Negramaro Salento IGT, da uve negramaro 100%, 14,5%. Il nome gli proviene dal mare Jonio, che lambisce le coste tarantine, ma che è anche l’antico nome del negramaro. Macerazione in inox, 9 mesi in barrique e 6 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Rosso rubino brillante e profondo, mediamente impenetrabile. Al naso un ventaglio di sensazioni che vanno dal fruttato al floreale con ciliegie, fragoline, rosa e aromi speziati di tabacco, cacao e tostatura. In bocca è corposo, morbido, fresco e ben sostenuto da un tannino dolce e levigato. Bello l’equilibrio e la persistenza gustativa. Un vino bello ed elegante da abbinare con cura a piatti importanti della tradizione locale e non. Gianfranco impegna la massima attenzione nella vendemmia, che viene effettuata manualmente con sosta delle uve in camion refrigerati per rinfrescarle prima di procedere alla selezione dei migliori grappoli da inviare alla vinifcazione.
Purtroppo è arrivato il momento di lasciare Sava e dirigermi verso Gioia del Colle, dove mi aspetta un’altra cara amica, così saluto Gianfranco e Simona, che ringrazio per la loro proverbiale ospitalità e riparto in direzione Taranto.
Gli onnipresenti vigneti e oliveti lasciano il passo a campi di grano e poi a terreni incolti e alle fabbriche della zona industriale tarantina, tra cui spicca l’ILVA, cupa, grigia e triste, circondata da serbatoi di carburante. Il porto è un brulicare di petroliere e navi mercantili ma, in quella costa violentata dalle esigenze di industrializzazione dell’uomo, si riesce ancora a cogliere qualche segno della sua antica bellezza.
Prendo l’autostrada e, appena 500 metri dopo l’uscita di Gioia del Colle, giungo davanti ai cancelli di Pietraventosa, nella terra del vino Primitivo di Gioia del Colle. Marianna Annio mi accoglie con un sorriso. Insieme al marito Raffaele stanno affrontando la vendemmia in contemporanea con i lavori di ristrutturazione della cantina, così, viste le mie competenze tecniche di geometra, la visita si tramuta in un sopralluogo tecnico, cosa che non ha fatto altro che amplificare la gioia di trovarmi lì.
Con Marianna facciamo un giro dei vigneti, che sono dislocati in vari punti del territorio: molto interessante è quello adiacente alla cantina, dove il terreno costituisce uno strato di circa 50-60 cm disteso su un unico blocco calcareo di dimensioni colossali e che si estende sotto tutti i suoli circostanti.
Anche nei vigneti di Pietraventosa ritrovo gli stupendi alberelli di primitivo. Singolarità del luogo è la presenza, nelle campagne, di alberi da frutto frammisti alle viti, per consentire il massimo sfruttamento dei terreni per più mesi l’anno. Proprio per questo utilizzo plurimo dei suoli, Marianna, infatti, utilizza solo sostanze naturali poiché, per salvaguardare il delicato equilibrio biologico instauratasi tra le differenti colture, l’agricoltura deve essere quanto mai non tossica e non invasiva.
Anche qui alcuni grappoli presentano segni di appassimento e verranno vendemmiati nei prossimi giorni. Gli acini delle uve di Pietraventosa sono ricchi di acidità, aromi e materia come l’uva saggiata poco prima nei vigneti di Gianfranco Fino.
In cantina Marianna mi porta nella bottaia, che è stata totalmente ricavata nel banco di roccia calcarea. Il colpo d’occhio dell’ambiente, sapientemente illuminato, è molto suggestivo. Come detto i lavori di ristrutturazione sono ancora in corso e non è ancora pronta una sala di degustazione. Ma siamo in “famiglia” e quindi usiamo le botti per garantirci un appoggio e stappare i tre vini di Pietraventosa attualmente in commercio: l’Allegoria 2010, l’Ossimoro 2008 e il Primitivo Riserva 2007.
Non contenti, complice il simpatico Raffaele, virtuoso ingegnere meccanico per vocazione e professore per lavoro (ha progettato e fatto realizzare lui tutti i contenitori e i macchinari aziendali) ci procuriamo un “mariuolo” e procediamo anche all’assaggio della riserva 2010 dalla barrique.
Naturalmente, dovendo fare ancora circa 300 Km di guida prima di aprire la porta di casa, provo appena un sorso di tutti i vini, quanto basta per poterli apprezzare:
Allegoria annata 2008. Primitivo di Gioia del Colle DOC, 13,5%, solo inox. Un vino fresco e agile da bere a tutto pasto e con pietanze non necessariamente complesse. Il colore rosso rubino ancora ben cangiante lascia presagire sia ancora vispo, nonostante le quattro annate trascorse dalla sua vinificazione. Al naso si percepiscono sentori di prugna e fichi secchi, mandorle ma anche qualche lieve nota balsamica. In bocca è fresco, morbido, con tannini leggeri e vellutati. Un vino che è molto vicino all’apice della carriera e che oggi denota un bell’equilibrio. Bello il finale con note di mandorla. Allegoria, come recita il suo nome, scimmiotta i grandi vini ma, nella sostanza, non gli è inferiore (se non nel prezzo). Una vera sorpresa.
Ossimoro annata 2008. Murgia IGT, da uve Agliani co e Primitivo di Gioia del Colle, 13,5%, solo inox. Il blend tra aglianico e primitivo promette faville. Il colore è un rosso rubino carico e abbastanza impenetrabile. La ricchezza materica dell’aglianico ben si fonde con l’aromaticità del primitivo. Al naso si percepiscono frutti maturi e secchi (fichi, prugne, ciliegie) con note speziate di pepe e tabacco. Al gusto si colgono la morbidezza del primitivo e la forza tannica dell’aglianico, che si uniscono in un sorso pieno, rotondo e gradevole, sorretto da una bella acidità (il vino non è filtrato). Un vino descritto benissimo già dal suo nome e che è destinato ad abbinamenti con pietanze consistenti o per una chiacchierata tra amici attorno a un bel tagliere di formaggi e salumi.
Riserva di Pietraventosa annata 2007, Primitivo di Gioia del Colle DOC, 15%, diciotto mesi in barrique e un anno in bottiglia. Siamo davanti a un vino importante. Non solo per la sua alcolicità, dichiarata al 15%, ma per ciò che è in grado di esprimere nel calice. Riserva è ottenuto dalla selezione dei migliori grappoli prodotti nei vigneti ad alberello, e solo nelle annate in cui la qualità delle uve soddisfi Marianna e Raffaele (la 2009 non è stata prodotta, ad esempio). Il colore è un rosso rubino carico con forti riflessi granata, poco penetrabile. Al naso presenta un alternarsi continuo di sensazioni che vanno dalla frutta secca alla confettura, dal floreale alla paglia, con un filo conduttore di aromi speziati di cacao e tostatura. Va servito decantato per almeno un’ora, ma, anche dopo averlo versato, cambierà nel calice fornendo sempre diversi stimoli olfattivi. Al gusto si coglie la pienezza del vino grazie allo splendido equilibrio tra alcolicità e acidità. La bella trama tannica assicura un sorso morbido ma gradevole. Bel finale fruttato. Vino quasi da meditazione più che da pasto. Sicuramente vanno scelti con cura gli abbinamenti.
Due parole sul sorso di Riserva 2010 fatto dalla botte dove si sta ancora affinando. Promette benissimo e possiede, ad occhio, un’acidità più spiccata rispetto al 2007. Lo aspettiamo.
Sono costretto a congedarmi anche da Marianna e Raffaele, ma non senza aver raccolto i saporiti fichi di Gioia del Colle, di cui il profumo e il sapore ritornano nel Primitivo di qui. Spero di tornare presto in Puglia a controllare i lavori alla cantina di Pietraventosa e la maturazione del passito di Gianfranco Fino. Intanto porto con me a casa i fichi e qualche bottiglia di vino, insieme al ricordo di un viaggio di ritorno che è sembrato più una gita fuori porta. Così ho reso meno mesto il mio rientro a casa e al lavoro. Provare per credere!