di Gianmarco Nulli Gennari e Maurizio Valeriani
La cena organizzata nello scorso weekend presso l’azienda irpina Colli di Castelfranci è stata un’importante occasione per approfondire la conoscenza dei Taurasi prodotti in quello che è il Comune più alto, dal punto di vista altimetrico, dell’intera denominazione (a Castelfranci si arriva anche a 700 metri s.l.m.), e del Taurasi prodotto invece a Montemarano dall’azienda Amarano.
Con riferimento a Castelfranci Il suolo argilloso di origine vulcanica, le vigne allevate spesso a tendone (ma in Irpinia si chiama starza o starseta), i ceppi vecchi o molto vecchi (alcuni esemplari di un secolo d’età sono a piede franco), temperature e precipitazioni riconducibili più a un clima continentale che mediterraneo, con grandi escursioni termiche nei mesi più caldi, un ciclo vegetativo estremamente lungo (la vendemmia si conclude spesso a novembre, magari dopo la prima neve), donano all’aglianico di Taurasi prodotto in questo areale un carattere unico, forse più scontroso nei primi anni, ma che promette enorme longevità, dotato di freschezza e salinità che nei casi migliori integrano perfettamente la selvaggia tannicità e i muscoli caratteristici del vitigno.
In compagnia dei produttori (Colli di Castelfranci, Perillo, Boccella ed Amarano, l’unico fuori zona, con vigneti e azienda a Montemarano, a circa 500 metri s.l.m.) e della loro genuina ospitalità e gentilezza, degustatori e giornalisti hanno potuto così passare in rassegna un ampio arco di annate (dal 2003 al 2009) e testare anche un paio di bianchi di valore.
Si parte in realtà con il “fratello minore” del Taurasi, un aglianico più giovane che era già prodotto in passato ma che ha trovato da alcuni anni un’identità più solida grazie all’istituzione, all’interno della Doc Irpinia, della sottozona Campi Taurasini. Il Rasott 2009 prodotto dall’azienda Boccella è una piccola grande sorpresa: al naso dominano le note ferrose, ematiche, animali, terrose, poi emerge la caratteristica amarena; in bocca il frutto è croccante e succoso, la beva è slanciata ed energica, un vino equilibrato e dinamico nonostante il calore dell’alcol, di buona persistenza (88/100). La versione del 2007, invece, forse per l’annata calda, appare più alcolica, ma con buona materia e finale di frutti rossi e spezia (84/100).
È prodotto a Montemarano, invece, il Taurasi Principe Lagonessa 2008 di Amarano: inizialmente ridotto al naso, con note scure e di carne, poi si avvertono le spezie, i piccoli frutti rossi, la cenere spenta, la liquirizia; il sorso è ricco di frutto maturo e succoso, originato da uve raccolte tardivamente. Bell’equilibrio tra dolcezza e sapidità, buon allungo, nonostante una sensazione tannica ancora in evidenza, che si potrebbe assorbire con un ulteriore sosta in bottiglia (89/100).
Molto interessante il pari annata Taurasi Alta Valle 2008 di Castelfranci, che sprigiona profumi di sottobosco, spezie ed erbe aromatiche, china e menta; in bocca si avverte un frutto molto espressivo che ricorda la prugna, un’acidità sostenuta, tannini fitti e ben disegnati, un’ottima progressione gustativa verso il lungo finale fresco e agrumato. (89/100). Meno immediata e più austera la versione 2006, che all’olfatto dona sensazioni di lieve speziatura (pepe), poi cuoio, ciliegia, terra, tabacco; al palato il vino è ancora un po’ serrato, anche se sotto si avverte un frutto vivissimo e croccante, il tannino è leggermente polveroso. Potrebbe sciogliersi nei prossimi anni (84/100).
È sulle annate più mature che ha puntato Michele Perillo, da tempo convinto assertore della necessità di un prolungato affinamento in vetro dei suoi aglianico. Il Taurasi 2005 ha un naso schiettamente balsamico, con amarena, frutti scuri, note affumicate, una forte vena di roccia e mineralità che torna anche in bocca, dove sfodera grinta e tannini saporiti, quasi masticabili, per chiudere fresco e abbastanza persistente (88/100). Ma è la versione 2004 che ci conquista: è per noi il campione della serata. Profumi molto intensi di sottobosco, cuoio, tabacco, cenere; grande spinta al palato, trascinante, sale, acidità, succo, tannino cremoso, svolto magistralmente; mantiene intensità ed espansione nel lunghissimo finale (92/100). Non gli è così distante la Riserva 2003, che parte timida all’olfatto, con sentori leggermente evoluti di frutta matura, poi spezie e cacao; si avverte l’annata calda e l’affinamento prolungato in botte. L’ingresso è morbido, ma ben contrastato dalla freschezza acida; da centro bocca in poi decolla e mostra struttura, energia e carattere da vendere, con succo vivissimo. La persistenza è lunga e profonda su note ancora di cacao, di pepe bianco e di agrume (90/100).
A tavola, più tardi, i commensali hanno potuto assaggiare anche due bianchi “insoliti” perché prodotti fuori dalla zona classica dei vitigni, la Coda di Volpe 2010 di Perillo e il Fiano Paladino 2010 di Castelfranci (che infatti sono etichettati come Irpinia Doc). Il primo presenta sentori di frutta (pera e ananas), fiori bianchi e lievi note minerali, al palato è rotondo e dolce ma con una bella scia di succo e acidità agrumata, la chiusura è pulita, elegante e floreale. (85/100). Il Fiano, ottenuto da una raccolta tardiva, ha un bel naso di frutta gialla (pesca), agrumi, erbe aromatiche; il sorso è fresco, sottile ma di carattere, sapido, equilibrato nonostante l’alcol, nel finale emergono la pera e la nocciola (85/100). Due ottimi bianchi mediterranei ma dal deciso carattere nordico, con ottime prospettive di evoluzione.
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