Quando penso a questo prestigiosissimo Domaine così ricco di storia e di blasone incontaminato, a me invece vengono in mente più punti interrogativi che esclamativi.
Alla fine delle fini quel che conta è quello che ti ritrovi nel bicchiere e quindi non mi sta bene trovare un repertorio di così tanti e straordinari grand cru regolarmente sotto tono, al punto da scendere quasi sempre anche sotto la piacevolezza di molti premier o cru village di produttori meno blasonati a ma più attenti a quello che mettono in bottiglia.
Poi, a ben guardare, i flaconi scelti per contenere le cose migliori ( spesso molto buone ) sono diversi da quelli delegati a contenere i vini meno convincenti.
Sarà una caso?
Non so.
Ripeto, su questo Domaine i punti interrogativi li pongo io a chi legge perché veramente mi fa strano che Chambertin, Clos de Bèze, e Clos St. Jacques siano spesso il manifesto della territorialità nobile e classica di un certo savoir faire che pesca il meglio dalle indubbie profonde conoscenze maturate nei secoli, mentre gli altri fratellini siano così in difficoltà. E allora perché gli altri grand cru sono imbottigliati in formato diverso, e soprattutto perché sono quasi sempre insoddisfacenti? E ancora, come mai questi vini sono comunque tra i primi a finire esauriti sui listini?
Ragazzi, oh , ragazzi, i testi sacri confermano che questo Domaine non ha eguali quanto a nobiltà di terroir a disposizione , anche se la ripresa considerazione è più evidente negli ultimissimi anni, mentre nel recente passato le opinioni erano giustamente più tiepide.
E anche i listini e le relative quotazioni spesso confermano che un Clos St.Jacques premier cru è venduto a prezzo superiore di alcuni Grand Cru come Ruchottes, Mazis, Clos de La Roche o Charmes.
Tutto questo castello di pensieri poi si smonta se ti metti davanti ad un bicchiere di Clos St.Jacques 1999 che potrebbe rappresentare ancora oggi l’archetipo della più sottile espressione di quell’appezzamento apparentemente defilato ma che consente a pochi produttori che ne hanno un pezzetto di fare tra i vini più verticali ricavabili da un Pinot Noir.
Questo vino raccoglie l’essenza di quello che ha nutrito la pianta fino portarti in bocca la mineralità dell’ossido di ferro.
Sono momenti intensi questi. Indimenticabili.
Il rubino tenue e rarefatto, i sentori che invitano a la mente a destreggiarsi in esercizi di memoria olfattiva aperta su un bouquet stretto, fissato sul posto, la trama finissima dei tannini, l’autorevolezza senza compromessi e senza ruffianate in bocca.
Non scherziamo, questa è roba seria, come alcune perle degli ultimi millesimi, sempre giustamente dominati da sua maestà Chambertin, ma il vino del cuore di questo Domaine rimane per me il Clos St.Jacques, che per territorio ed esposizione secondo me non è secondo a molti grand cru e in effetti lo è diventato virtualmente, perché il mercato non è sciocco e va a premiare con i prezzi migliori i prodotti migliori.
Qualità in crescita dicevo, grazie al progresso cercato da Eric Rousseau sui suoi 14 ettari : 2 di appellations village, 3,5 di premier cru e addirittura 8,5 di grand cru, tutti collocati all’interno del comune di Gevrey Chambertin con l’eccezione di Clos de la Roche, situato al confine ma già facente parte del comune di Morey Saint Denis.
L’età media delle vigne (11.000 piedi per ettaro) non è però ancora all’altezza di altri importanti Domaine, rimanendo sotto la quota del mezzo secolo. Una tendenza verso il biologico si sta affermando anche qui, e i risultati nel bicchiere confermano. I rendimenti dichiarati si attestano sui 30/40 ettolitri vinificati come piuttosto ben dettagliato all’interno del sito di cui alleghiamo il link e affinati totalmente in legno nuovo solo nel caso di Chambertin e Clos de Bèze .Parzialmente per il Clos St.Jacques e con legno di secondo o terzo passaggio per gli alti vini, grand cru e premier cru che siano, a sottolineare ancora la mancanza di materia prima utile per sostenere il peso di un elevage “aggressivo” .
La produzione dichiarata è di circa 65/70.000 bottiglie all’anno e distribuite piuttosto oculatamente, e quindi rintracciabili con una certa facilità sulle carte dei ristoranti di fascia medio alta e presso le enoteche di pari livello.
I prezzi di mercato , prendendo per comodità l’unità di misura del buon millesimo 2006 , si attestano sui 300 euro per lo Chambertin, 250 per il Clos de Bèze e 150 per il Clos St.Jacques.
Gli altri stanno mediamente sotto o abbondantemente sotto i 100 euro, ma a questo punto ricorderei una frase di un broker francese che sul tema Chambertin mi disse seccamente.
“ ci saranno almeno una ventina di Chambertin per cui non spenderei neanche 20 euro…”
Per carità, non è questo il caso, però rischiare una delusione su un Mazis o su un Ruchottes dopo averlo pagato 100 euro diventerebbe avvilente. Quindi , alla fine andrei ancora una volta saggiamente verso il bottiglione del vecchio e solido Clos St.Jacques!
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