di Andrea Guolo
Quando un format nasce in Abruzzo e si espande non solo in Italia, ma riesce anche a far breccia oltre confine in Asia e in Europa, è già di per sé una notizia. E non stiamo parlando di Niko Romito, che tutto questo è riuscito a farlo in collaborazione con gruppi che hanno le spalle ben più che quadrate, come ad esempio Bulgari Hotels (proprietà di monsieur Bernard Arnault, Ça va sans dire) per la ristorazione negli hotel di lusso, o Eni lungo le Statali per Alt Stazione del Gusto. Stiamo invece parlando di Trieste Pizza, una società familiare nata sulla spiaggia pescarese e cresciuta grazie a un prodotto non certamente tipico abruzzese. Questi fanno la pizza! E sono riusciti, partendo da Pescara, ad aprire tredici locali in Italia e quattro all’estero. Come hanno fatto?
L’ultima apertura è avvenuta in una città del cuore dei proprietari, Riccardo Ciferni e Laila di Carlo, marito e moglie. Si tratta di Bologna, che per chi arriva dalla costa adriatica è sempre stata – e sempre sarà – un punto di arrivo, prestigioso tanto quanto Milano, perché Bologna è una calamita, un magnete in grado di attrarre l’imprenditoria marchigiana, abruzzese, pugliese, perfino quella veneta che potrebbe vivere concentrata su se stessa, ma Bologna è pur sempre Bologna, la grande città che manca ai veneti, per quanto non sia poi enorme. E qui, sotto le Due Torri, nel cuore della città universitaria, Trieste Pizza ha aperto il suo secondo “big store”, un locale di dimensioni importanti esattamente come lo è quello originario di Pescara. L’avvio è stato molto promettente, pur in presenza di una concorrenza piuttosto consistente nel capoluogo felsineo, dove sulla pizza sharing domina il marchio local più noto nel mondo ovvero Berberé e dove sulla pizza “slice” c’è la presenza consolidata di Altero – celebrato anche da Lucio Dalla in una sua canzone, Dark Bologna – e quella più recente e altolocata di Forno Brisa, giusto per citare i leader di mercato.
Eppure la pizza – pizzetta, in realtà – di Trieste ha un posizionamento diverso, e anche un prezzo differente. Una margherita costa due euro e cinquanta, una diavola (con il salamino piccante della macelleria Ginestra Villa Celiera) tre euro e settanta centesimi. Ottima qualità dell’impasto, cottura fragrante e ingredienti di qualità. What else, direbbe mr. Clooney? Una sola è ideale per merenda, con due si fa una cena (se la bontà non vi induce a ordinare la terza…). Siamo ben sotto il prezzo medio di una pizza normalmente pagato in una città del nord, dove i dieci euro per la margherita sono ormai la regola, senza voler ambire a vette briatoresche. Una pizza accessibile e che strizza l’occhio a una clientela giovane. Non a caso, Trieste Pizza si è insediata in via Zamboni 24, captando così gli studenti universitari di giorno e il popolo della movida alla sera, chiudendo i battenti giusto in tempo (ore 02.00) per evitare il peggior giro notturno che da decenni crea problemi nel quartiere.
Vincerà la sfida questo locale perfino troppo grande, per le esigenze almeno teoriche di una pizza al padellino (che in chiave take away potrebbe accontentarsi di un bugigattolo)? Difficile dirlo, Bologna è una città imprevedibile, ma i proprietari del marchio sono convinti che il progetto sia vincente, e chi possiede le mura concorda con loro, tanto da aver concesso condizioni di riguardo alla coppia Ciferni e di Carlo.
Diversi punti giocano a loro vantaggio. Primo: Trieste Pizza è un mito in Abruzzo, a partire da Pescara dove ha ben tre punti vendita (più Silvi Marina, Montesilvano, Ortona, Francavilla al Mare), e se solo la comunità abruzzese presente nel capoluogo dell’Emilia Romagna decidesse di “adottare” questo simbolo della propria regione, allora il gioco è fatto. Secondo: la concorrenza è tanta ma non su questo tipo di prodotto, perché la “pizza al padellino” di Trieste Pizza è qualcosa di molto diverso da quella al taglio di Altero sul target entry level, di Forno Brisa sul target “agro-chic”, di Pistamentuccia – in attesa che a Bologna arrivi Alice Pizza – sul target romano/scrocchiarello e di ‘O Fiore Mio se ragioniamo nel top di gamma, senza dimenticare Certo, Mozzabella, Ben Cotta e altre realtà presenti in città.
Questa non è una pizza di strada o almeno non necessariamente, questa è una “pizzetta” che si può mangiare al tavolo con soddisfazione, assaporando un prodotto ideato nel lontano 1958 con i suoi 16 centimetri di diametro, impasto bio, cottura sul padellino di ferro in forno elettrico a 380 gradi, impasto realizzato in loco – e non in un centro cottura – partendo da un semilavorato che rappresenta per Trieste Pizza la propria “ricetta segreta”, il know how aziendale, e che diventa così uno degli asset del modello franchising, laddove viene applicato. Ma non divaghiamo e arriviamo al terzo punto: se Trieste Pizza è riuscito ad aver successo a Roma, dove aprirà il prossimo punto vendita (numero 14 in Italia), e anche all’estero su New York (un punto vendita nella Trentesima strada), Dubai (due, di cui uno stagionale) e Ho Chi Minh, con il marchio Tonda Pizza, perché non dovrebbe riuscirci a Bologna? Attendiamo l’esito nei prossimi mesi.
All’inizio di questo pezzo abbiamo citato Niko Romito, e allora chiudiamo il racconto con il nome di un suo stretto collaboratore, l’head sommelier Gianni Sinesi (Casadonna Reale), che ha creato con la cantina Reale di Popoli una linea di vini dedicata alle pizze di Trieste. Sono vini artigianali, esattamente come lo è la pizza. Ma, non ce ne voglia Sinesi, la pizza ci è piaciuta di più.
Trieste Pizza
Via Zamboni, 24f – Bologna
051.0953555
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