di Monica Piscitelli
Un coniglio figlia, forse anche una donna. Ma una pizza?
Ricominciamo daccapo. La Pizza figliata non è quel che sembra: non è una pizza ma un dolce del quale davvero in pochi hanno sentito parlare. Si tratta per lo più di coloro che hanno avuto una tata che la preparava o una nonna che, pur con tutte le varianti per venire incontro ai gusti dei nipotini schifiltosi, la faceva in casa a Natale e la conservava fino a febbraio, visto che più “stava” e più diventava morbida e saporita.
In occasione della presentazione della Condotta Slow Food di Caserta guidata da Francesco Marconi, in compagnia del neofiduciario e dell’ex sindaco di Camigliano Cenname, comune che ne vanta una delle versioni più accreditate, alcuni giorni fa, ho potuto apprezzarne al Palazzo Lanza un’intera “verticale”. Quattro esemplari molti diversi tra loro, per la verità: due di Camigliano, uno di Bellona opera di una ottantenne signora dalle mani d’oro e, infine, uno di Vitulazio.
Scopo della iniziativa annunciare l’avvio della lunga procedura che potrebbe in un futuro portare la Pizza Figliata a diventare Presidio Slow Food. Un risultato che sarà possibile solo con l’impegno della Comunità che intorno al prodotto si sta compattando superando le inutili rivalità tra comuni relative alla sua paterni.
Nel corso della chiacchierata serale che ho accompagnato, tutti hanno infatti convenuto che la valorizzazione della Pizza Figliata “può costituire un’importante opportunità di sviluppo per l’economia locale e un efficace attrattiva turistico-gastronomica oltre a contribuire significativamente a rafforzare l’identità culturale locale”.Definito un dettagliato e condiviso “disciplinare di produzione”, per l’esatta identificazione del prodotto, Slow Food Caserta di è detta pronta a promuovere ulteriori incontri nei comuni della zona di origine del prodotto per permettere la più ampia partecipazione della comunità locale al progetto.
Le origini:
Le ricerche condotte fin qui sembrano confortare l’idea che il dolce risalga almeno ai primi dell’Ottocento e che abbia delle affinità con un altro prodotto che è già Presidio a Pitigliano (Grosseto), in Toscana: lo Sfratto di Goym (info: responsabile Presidio Pizzinelli Giovanna email: gio.pizzinelli@libero.it ).
Si tratta di un tipico dolce ebraico la cui origine risale alla metà del XVII secolo. Nei primi anni del 1600, infatti, gli ebrei che abitavano nella zona furono costretti da un editto del Granduca di Toscana Cosimo II dei Medici a lasciare le proprie abitazioni ed a concentrarsi in una zona: il “ghetto”, a ridosso della Sinagoga. Lo sfratto fu intimato dall’Ufficiale Giudiziario e dal Messo Notificatore mediante il gesto rituale di picchiare sulla porta delle case ebree con un bastone. Gli ebrei di Pitigliano e Sorano, 100 anni più tardi, vollero ricordare le imposizioni subite tramite la creazione di questo dolce che assunse nome e forma di questa triste vicenda (Fonte: “L’ebreo errante tra arte e storia nella Maremma collinare” ).
La differenza sostanziale tra questo dolce della tradizione toscano e la Pizza Figliata, infatti, è che quest’ultima, pur avendo forma di bastone, è poi attorcigliata in forma di ciambella aperta da un lato e infornata così. A parte questo, i due dolci sono quasi coincidenti negli ingredienti: miele, noci, scorza d’agrumi (arancio, per lo più), con le varianti dei semi di anice e noce moscata. Ma anche, nella versione casertana, di nocciole, uvetta e cioccolato.
Il dolce e la preparazione:
La Pizza Figliata, prodotta in casa in alcuni comuni dell’alto casertano, tra i quali Camigliano, Bellona, Pignataro Maggiore, Pastorano, Vitulazio e Giano Vetusto, sembra si chiami così perché è il dolce della natività per eccellenza, anche se taluni sostengono che si chiama così perché tende a spaccarsi in varie pallottole mielose.
E’ costituita da una pasta esterna fatta di farina impastata con le uova, l’olio d’oliva, lo zucchero ed il vino bianco e lavorata al mattarello fino ad ottenere una sfoglia sulla quale sono distribuite le noci fresche (pestellate, o anticamente schiacciate con una bottiglia di vetro), le scorzette di agrumi e il miele. Dunque la si arrotola su sé stessa per formare un cilindro lungo 50 cm circa e spesso 6 cm che è ripiegato a ciambella spiralata. Questa viene cotta in una teglia unta con olio d’oliva in un forno da panificazione alimentato a legna (anticamente sembra si friggesse in abbondante olio). Quando si è raffreddata la si guarnisce con miele e poi ancora con zucchero. Infine: c’è chi la decora con le noci e chi con piccoli confettini colorati.
Le foto del collage sono di Alessandro Manna